Storytelling su Lifestyle, Sport, Tech e Food

Kerouac, il mito letterario di una generazione che fa ancora discutere

Il mito letterario di un’intera generazione disprezzato e definito un “fascista” e un “ubriacone”. Jack Kerouac in Italia trovò l’ostilità dei principali ambienti letterati, in particolare della cultura di sinistra, quella che si definiva libertaria e progressista. Uno smacco alla figura di un uomo che per primo si scontrò con una società chiusa.

 

Erano i primi giorni di ottobre del 1966.

La nostra storia è ambientata in quell’anno che già prefigurava i tumulti e le tensioni del Sessantotto. Si gridava contro la guerra, la repressione e una società puritana e ipocrita. Giovani di sinistra, ma anche di destra, scendevano in strada a combattere quei poteri che minacciavano un’esistenza libera.

Ovviamente quando Jack Kerouac in un convegno a Napoli si dichiarò favorevole all’attacco contro il Vietnam e definì “cazzate” le rivendicazioni delle nuove generazioni, la platea non tardò a fischiarlo. Come poteva il mito di una generazione, quella che voleva la pace e la fratellanza, essere favorevole alla guerra?

Di origini cattoliche, legato profondamente alle filosofie orientali, anti-materialista e patriota, il suo curriculum non s’addiceva ad un ribelle: era bollato come un “controrivoluzionario”.

Il viaggio di Kerouac in Italia fu tutt’altro che positivo e proficuo. Tutto l’establishment culturale di sinistra guardo il vagabondo americano con occhi di disprezzo, dall’alto dei loro salotti. A loro confronto lo scrittore d’oltre oceano era un barbone, spesso ubriaco, anche in pubblico, e vestito con abiti logori. Come poteva parlare di un mondo nuovo, quando sosteneva di essere legato alla tradizione? Criticava la società del consumo e l’alienazione, ma non prospettava soluzioni radicali. Un nuovo Marcuse che si doveva allontanare e sul quale far ricadere una “damnatio memoriae”.

Nonostante queste credenziali poco amate a sinistra, la sua fama iniziava a farsi conoscere nel nostro Paese e già si parlava in Italia di “beat” e di “beatnick”: gli emuli non mancarono e addirittura nacquero a Roma salotti che volevano essere una trasposizione italiana della Beat Generation.

La casa editrice Mondadori, in occasione della pubblicazione di “Big Sur” nella collana Medusa, invitò il noto autore a Milano per presentare il volume e di conseguenza ottenere ampia pubblicità Quelli che dovevano essere giorni di fervore letterario si rivelarono noiosi e imbarazzanti per tutti: dai dirigenti aziendali e dai suoi molti amici italiani, cantautori e critici, al pubblico che dovette sopportare un uomo poco incline a parlare e soggetto ai postumi delle sbornie.

Il Kerouac che si presentò in Italia ormai era avviato verso la sua tragica fine, che avverrà nel 1969. Stava male fisicamente e psicologicamente, attorniato dai fantasmi e dalle paure derivanti da una vita frenetica e da un successo improvviso. Un uomo fragile e ancora alla ricerca di un Se che sembrava ancora lontano da raggiungere.

La delusione era forte: dov’era finito l’eroe-vagabondo di “Sulla Strada”? Su un divano a bere e a rispondere svogliato agli intervistatori. Andò ancora peggio a Roma e nelle principali città italiane. Ritardi e fuori programma rovinarono gli incontri e le uscite pubbliche.

Tutto ciò non poteva sfuggire ai suoi detrattori, come il noto critico Alberto Arbasino, il quale sulle pagine dell’Espresso, lo definiva uno straccione, un “Beatnick in pensione”; un ribelle che aveva abbandonato la guerriglia letteraria per vivere appartato e fuori dal mondo. Senza contare poi i giudizi letterari affrettati e molto negativi. Una vulgata volta a denigrarlo come uomo e come mito. La stella di Kerouac fu eclissata dalla cultura accademica e da quegli ambienti che avrebbero potuto accogliere il suo messaggio, ma che invece preferivano seguire il dogma e l’ortodossia.

Un uomo che parlava di libertà non poteva non esaltare la Grande Patria Russa. Invece Kerouac non solo disprezzava l’URSS, ma più volte prese in giro gli stalinisti e i loro propositi. Dov’era l’elogio del proletariato e del socialismo? Nelle sue opere gli ultimi furono descritti sempre con una vena religiosa e mistica. C’era il pericolo che i giovani potessero essere sviati dagli insegnamenti che i partiti stalinisti cercavano di inculcare in ogni modo.

La parola d’ordine era “distruggere”, abbattere un simbolo che stava diventando scomodo. Ecco quindi la campagna denigratoria portata avanti anche da giornali non schierati a sinistra come il Corriere della Sera. Non solo gli stalinisti, ma anche i liberali e i democristiani sembravano poco inclini ad accettare Kerouac. Preso da due fuochi, non pote che attendere la fine del viaggio e tornare negli amati Stati Uniti. I suoi amici scrittori non se la passarono bene neanche loro: la stessa Fernanda Pivana fu biasimata per questa amicizia così particolare.

Un frammento di storia poco ricordato, spesso rievocato nei tanti documentari, ma sempre citato, mai descritto nei minimi particolari. Sarà la vergogna per le colpe del passato?

Sta di fatto che gli stessi denigratori, quando fu annunciato al mondo la sua morte, non tardarono a piangerlo, dimostrandosi anche ipocriti oltre che maligni.