Keith Haring, quando il writing divenne arte
16 febbraio 1991. Il mondo piangeva la scomparsa di Keith Haring, il più grande writer della storia.
Keith Haring fin da piccolo dimostrò una grande abilità nel disegno e in particolare nell’arte del fumetto. Classe 1958, è una leggenda dell’arte popolare americana ed internazionale e le sue opere hanno un significato inestimabile
Il genio di Keith Haring tuttavia fu all’inizio profondamente incompreso: i più non seppero comprendere la novità di un arte così bassa. Cosa voleva rappresentare con le sue figure stilizzate e per di più disegnate su muri e cartelli pubblicitari? Era, a detta di molti, puro vandalismo.
La sua biografia racconta che la carriera iniziò con qualche arresto. Amava disegnare su cartelli pubblicitari nelle principali stazioni metropolitane. Era una “galleria d’arte” molto frequentata e lì tutti lo avrebbero potuto ammirare.
Le forze dell’ordine naturalmente non la pensavano allo stesso modo e quindi dovette scontare giorni e giorni di carcerazione. La legge alla dine non vinse il suo proposito.
Iniziò a maturare un vivo interesse per quelle forme artistiche così strane e nuove.
Omini stilizzati si muovevano in grovigli di mani e strane posizioni. I suoi disegni erano dinamici e avevano un senso. La “popular art”, dovendo essere comprensibile a chiunque, veicolava messaggi sociali banali nel loro essere, ma “rivoluzionari” nel modo in cui venivano esplicitati.
Diversi galleristi di New York, la sua città natale, compreso il ben noto Andy Warhol, gli aprirono le porte dei più prestigiosi circoli culturali d’America. Le sue creazioni furono un successo. In pochi anni divenne l’artista più conosciuto nel mondo culturale internazionale. La sua fama raggiunse anche l’Europa dove espose e produsse numerose tele che andarono “a ruba” tra i più grandi collezionisti.
E non finisce qui. La sua concezione di arte popolare lo spinse a disegnare anche su t-shirt e oggetti ad uso quotidiano: tazze, piatti, mobili d’arredamento….qualsiasi cosa potesse essere veicolo di diffusione artistica.
Aprì un celebre punto vendita, il “Pop shop”, che proponeva al pubblico i suoi lavori più raffinati per essere poi venduti al migliore acquirente.
Il suo impegno sociale si consolidò inoltre anche in iniziative sociali e in campagne di beneficenza in particolare contro l’AIDS, di cui si ammalò verso la fine degli anni ottanta.
La sua personale battaglia con l’HIV la perse. Morì il 16 febbraio 1991, ma il suo nome ormai divenne un astro nel grande firmamento del mondo artistico mondiale.