ELDA LANZA/ La prima presentatrice della tv italiana
Il termine presentatrice lo hanno inventato per lei, “una presa dalla strada e messa lì”, una persona timida che “davanti a quelle telecamere poteva tutto”. Giorgio Gaber provava le canzoni nel suo salotto, lei che aveva una passione per Sartre, che “Umberto Eco era un monello che faceva scherzi malandrini” e Dario Fo “il ragazzo più intelligente e divertente che abbia mai conosciuto”… Benvenuti nel fantastico mondo di Elda Lanza.

Ha fatto la storia della tv. Ha incontrato e conosciuto alcuni tra i più grandi personaggi della cultura italiana e non: da Totò a Walter Chiari, da Ingrid Bergman a Vittorio De Sica… Ad ognuno regala un pensiero, poetico come la sua vita, piena di un amore “lungo sessant’anni”. Racconta della tv, del socialismo “che significava stare dall’altra parte”, del femminismo che “non ha prodotto soltanto donne nuove, ma anche nuovi uomini”. Racconta la sua passione per la vita con l’innata eleganza che l’ha sempre contraddistinta. Tra aneddoti e ricordi si scopre un passato nemmeno troppo lontano, spazzato via da un presente in cui “fare il peggio si può”. La straordinaria lucidità espressiva con cui Elda Lanza colora le sue risposte, affresca l’intervista di romantiche emozioni, restituisce l’immagine di una donna forte e rigorosa che ha saputo immergersi in un mondo nuovo – la televisione degli esordi – e prendere il meglio senza mai rinunciare ai suoi ideali…
Se Fulvia Colombo è stata la prima “signorina buonasera” della Rai, e quindi della televisione italiana, Lei è stata la prima presentatrice.
La Colombo era annunciatrice e io presentatrice, termine che hanno inventato per me. I due lavori erano sostanzialmente diversi, così come il nostro atteggiamento nei confronti della televisione. Fulvia Colombo era bellissima, elegante, piena di gioielli e scollature, sempre pettinatissima e truccatissima, era un simbolo. Io era una presa dalla strada e messa lì. Nessuno sapeva che cosa sarei stata e che cosa avrei dovuto fare. Ce lo siamo inventati. Nella stessa giornata passavo da un programma del pomeriggio, casalingo, a una rivista per la sera, cambiandomi soltanto il vestito. Quando la rivista era a Torino, mi cambiavo in macchina. La televisione per iniziare ha avuto bisogno di due gambe, e le ha trovate, buone tutte e due.
Ricorda il Suo primo programma?
Naturalmente, sì. L’8 settembre – casualmente una data storica – alle nove di sera è andata in onda dalla RAI di Milano la prima trasmissione sperimentale della televisione italiana: “Prego, signora”. Regista Franco Enriquez, assistente Dada Grimaldi.
E il Suo primo giorno in Tv?
Quale, di preciso? Quando sono stata invitata da Attilio Spiller, neo-direttore dei programmi della non ancor nata televisione, che avendo trovato la mia firma sotto un articolo di arredamento, sfogliando Grazia, mi credeva un architetto o comunque una giornalista a effetto? O quando Franco Enriquez mi ha piazzata davanti a una telecamera, Studio 1 di corso Sempione, e per quattordici volte, in più giorni, mi ha fatto dire ‘quello che ti salta in mente’? O quando un signore in camice bianco mi ha fatto un cenno con la mano e io ho cominciato a parlare, sapendo che ormai ‘ero in onda’? Io sono timida, lo era ancor più a vent’anni. Eppure una cosa ricordo perfettamente: quando vedevo quella lucina rossa della telecamera che si accendeva, diventavo una persona diversa. Davanti a quelle telecamere ‘potevo tutto’.
La rubrica che teneva su “Grazia” prima di andare in televisione parlava anche di arredamento, del connubio tra antico e moderno, allora – come oggi – di gran moda.
Si’, una rubrica senza molto scalpore, ma che mi ha portato fortuna. Allora questo connubio tra antico e moderno era adeguato alle nuove esigenze che la guerra aveva determinato .Molte famiglie, impoverite dalla guerra, si privavano dei mobili di casa per adeguarsi a case e a locali più piccoli. I nuovi locali della ricostruzione post-bellica avevano anche soffitti più bassi. Più che di una moda parlerei di un’esigenza pratica. Oggi forse è una esigenza estetica: che condivido. Anche la mia casa è assolutamente moderna.
Lei era socialista, “di quel socialismo vero di allora”.
Sì, ricordo quegli anni con molto rimpianto. Essere socialisti significava essere dall’altra parte, con gli intellettuali, i lavoratori. Gli studenti. Ho amato Nenni, ma anche Berlinguer e Amendola. Quando il socialismo è diventato salotto, ho rinunciato alla tessera. Ma naturalmente io non sono cambiata.
Gaber ha detto che l’Italia ha avuto il peggior partito socialista della storia.
Giorgio Gaber era mio amico. Prima di incontrare Ombretta Colli, frequentava la nostra casa con la compagna di allora, Maria Monti. Alcune delle sue canzoni sono state provate nel nostro salotto, davanti a un camino acceso, la chitarra, fette di pane e salame nel piatto. Una delle sue canzoni, “Le strade di notte”, mi commuove ancora. Sul socialismo che ha conosciuto lui, ha ragione. Ma io ero arrivata prima.
Cosa ricorda di Gaber?
Giorgio Gaber era speciale perché era intelligente e umanissimo. Educato, perbene, riflessivo. Spiritoso e altruista. Ho letto da qualche parte che fosse modesto: mai. Era timido, ma sapeva assolutamente quanto valesse e che cosa pretendere. Mi è difficile parlare di Giorgio senza commuovermi. Non amava i complimenti e la stupidità lo rendeva furioso. Aveva pazienza, dote rarissima. Non ci sono episodi da raccontare: è stato un periodo della nostra vita in cui per caso, come spesso accade, ci siamo trovati compagni sulla stessa strada. Lui cominciava a cantare, io a lavorare in TV: tutte e due un po’ spaventati e impreparati, ma ostinati ad andare avanti. Giorgio è stato una delle persone che hanno inciso nella mia vita: in silenzio, soltanto con un gesto o con un sorriso.
La differenza più grande tra la tv di allora e quella di oggi.
Come paragonare il trenino a carbone della mia infanzia, con l’alta velocità di oggi. Il nostro era un giocattolo per signorine di buona famiglia. Questo di oggi è un carrozzone altamente tecnologico che deve saper raccogliere di tutto per tutti.
Pasolini definiva, in maniera sprezzante, la televisione come una qualcosa che “omologa le masse”, distruggendo la ricchezza della diversità, La definiva autoritaria e repressiva in quanto imponeva un unico modello culturale: quello del consumo. Lei cosa pensa di questo?
Difficile non essere d’accordo con questa definizione, per brutale che possa sembrare. Tuttavia non è possibile non tener conto del fatto che oggi il modello culturale del consumo è imposto da tutta la comunicazione, non soltanto dalle Tv.
Il femminismo: cos’era e cosa ha lasciato in eredità.
Ricordo che quando andavo a parlare alle operaie, in fabbrica, mi stupiva che l’unica parità che percepivano era quella che riguardava i salari. Credo che il femminismo, a parte le varie interpretazioni e qualche eccesso, ci abbia lasciato una maggiore consapevolezza, di ciascuno per sé. Il femminismo non ha prodotto soltanto donne nuove, ma anche nuovi uomini. Posso citare Sartre? Il femminismo, ha detto, è stata la più grande rivoluzione dell’era moderna. Scusate se è poco, e perdonateci qualche errore.
Ora nessuno sembra più farci caso, ma in tv tette e culi imperano: nulla a che vedere con il conformismo bigotto degli inizi.
Quando si parla di conformismo televisivo degli esordi forse non dobbiamo dimenticare che Italia fosse. La Democrazia Cristiana al governo; le donne a casa, soprattutto quelle anziane e senza lavoro; suor Pasqualina che guardava le nostre trasmissioni e ne riferiva al Papa, a volte telefonando alla direzione per rimproverare qualche atteggiamento o per esprimere soddisfazione. Le ballerine con le calze e a noi un vocabolario attentissimo, dove la vendita all’asta era vendita all’incanto; i membri del governo erano solo ministri o chiamati per nome; gli scapoli erano uomini non sposati… Oggi è facile dire che fosse un conformismo becero; ma quella era l’Italia nella quale cominciavamo a sentirci stretti. Ce ne siamo liberati poco alla volta per cadere in un conformismo opposto, ma altrettanto becero: fare il peggio perché tanto oggi si può. Le ragazze tette e culi sono almeno belle da vedere, chiedono soltanto di essere guardate. Che male fanno? Trovo peggiore il conformismo politico o sociale che nella nostra televisione abbonda sotto il cartello della libertà.
Lei ha conosciuto alcuni tra i più grandi personaggi della cultura contemporanea italiana e non. Un pensiero per ognuno:
Totò
A parte qualsiasi ovvietà sulla sua grandezza d’attore e la sua signorilità, era un uomo timido.
Walter Chiari
È stato il compagno più simpatico, allegro, divertente, intelligente e altruista che abbia mai avuto come partner.
Federico Fellini
L’ho molto amato e ammirato da lontano, non l’ho mai incontrato in televisione. Ai miei tempi lui era ancora giovane.
Vittorio De Sica
L’ho presentato una sola volta al Teatro Nuovo di Milano, in una trasmissione dal vivo – come si diceva allora. Io ero timida e intimidita, e lui è stato cortese. Forse in cuor mio l’avrei preteso affettuoso.
Domenico Modugno
Ricordo la sua prima volta in televisione, nella mia trasmissione pomeridiana, quindi negli anni ‘53/’54. In collegamento con uno studio di Roma lui ha cantato “U’ piscispada”. Era un artista che non aveva bisogno della TV per essere grande e conosciuto in tutto il mondo.
Ingrid Bergman
Di passaggio a Milano, intervistata in una trasmissione serale. A lei piaceva parlare italiano, credo fosse il suo periodo Rosselliniano, e io faticavo a capire quello che mi diceva e a tradurlo per gli ascoltatori. Molto cortese. Molto molto alta.
Jean Paul Sartre
Una passione. Spero si capisca che non sto parlando dell’uomo, ma del professore. Io ero iscritta a Filosofia a Torino, e Abbagnano ci parlava di esistenzialismo ma con una certa diffidenza. Incuriosita, forse più che interessata, sono andata a Parigi, mi sono iscritta alla Sorbona e ho passato quasi due anni avendo Sartre come professore. Posso aggiungere che se è vero, come ha scritto il padre della fenomenologia Edmund Husserl, che la cultura non è l’insieme e la quantità delle nozioni apprese ma qualunque cosa abbia la qualità di cambiarti la vita, io devo quel cambiamento al libro di Simone de Bauvoir, Il secondo sesso. E a quel professore un po’ bizzarro, isterico, intelligente, coltissimo, rivoluzionario.
Dario Fo
Il ragazzo più intelligente e divertente che abbia conosciuto – e la sua carriera mi dà ragione. Era ragazzo, aveva appena conosciuto Franca Rame e impazziva per lei. Al Piccolo lo avevano ingaggiato con Giustino Durano per uno spettacolo di mimo. Un intero spettacolo muto, fatto soltanto di gesti. Non ho mai visto niente di più straordinario e esilarante.
Umberto Eco
Quando la televisione cominciò ad assumere una fisionomia meno improvvisata, al settore Culturali arrivarono per concorso due neolaureati: Umberto Eco e Furio Colombo. Umberto era un monello irriverente. Oltre a combinare scherzi malandrini, ci recitava in rima le teorie di Kant o di Hegel, per fare il saputello. Non ci siamo più rivisti per anni, anche se io ho sempre seguito la sua storia e i suoi successi. Fino al giorno in cui ci siamo per caso incontrati a un mercatino di cose usate e ci siamo abbracciati come se ci fossimo lasciati il giorno prima. Da allora ci scriviamo per mail, ci spediamo libri, e non ci siamo più rivisti. Ma non occorre. Io so che lui c’e’.
Furio Colombo
Furio era educato, molto rispettoso, persino ansioso di capire quello che succedeva. Era uomo di carriera e carriera ha fatto, ed era uomo di grande stile e l’ha sempre dimostrato. Non l’ho più rivisto, ma ho letto i suoi libri, l’ho seguito sull’Unità, mi fa piacere sapere di averlo conosciuto.
Parliamo della Sua famiglia: estrazione borghese, Le hanno dato un’ottima istruzione, che per l’epoca era una fortuna.
Probabilmente la mia famiglia rifiuterebbe il termine borghese, ma certo l’ambiente e soprattutto la cultura cosmopolita che ho respirato sin da piccola, mi hanno molto aiutata a scegliere. Otto anni di collegio, la guerra, il periodo francese, professione in America: credo che tutto questo mi abbia aiutata a essere quella che sono: con ironia, un’anarchica molto disciplinata .
Che ricordi ha dei Suoi genitori?
La risposta che mi verrebbe spontanea è pessimi. Poi ci ripenso, e il tempo mi ha insegnato a non aver memoria. Mio padre era un genio, suonava, dipingeva, viaggiava, parlava quattro lingue. Era un uomo charmant. Mia madre era una donna bellissima come un disegno di Antonello da Messina, aristocratica e repressa. Si sono separati quando io avevo tre anni e mezzo, non un gran che per farsene una ragione. Tutta la mia vita è dipesa, nel bene e nel meno bene, da quella loro decisione. Forse non sarei come sono se fossi cresciuta tra le loro braccia. Ma non lo saprò mai.
Uscita, dopo venti anni, dalla televisione, si è trasformata in uno dei primi guru della comunicazione.
Guru è un termine che non mi piace. Ero giornalista, sapevo scrivere. Quando mi sono avvicinata ai problemi della comunicazione d’impresa, avevo alle spalle anni di socio-psicologia e molti viaggi in paesi dove la comunicazione d’impresa era già matura. Ho scelto una strada difficile, in un periodo in cui le relazioni pubbliche (che allora ci ostinavamo a chiamare Public Relations) in Italia erano ancora sconosciute. Era un lavoro di prestigio: l’ho fatto bene per oltre trent’anni. Alcuni dei miei clienti mi mandano gli auguri di Natale ogni anno. I giornalisti che si occupavamo di redazionali-stampa, ricordano che ero intransigente e poco simpatica.
Era, ed è, considerata maestra del bon-ton: Lina Sotis cerca di imitarLa?
Per carità, come le viene in mente? In Italia il bon-ton è in assoluto competenza della signora Sotis. Non ho mai letto il suo libro, che ha avuto molte edizioni e molto successo, speriamo anche molto seguito. La signora Sotis è in assoluto l’incarnazione di quello che io so essere il bon-ton: naturalezza, stile, cultura, educazione, cortesia, eleganza, ironia. Spero di non aver dimenticato niente.
Lei è anche scrittrice: qual è il libro a cui si sente più legata?
Risposta difficile. Credo che ogni autore le direbbe che ciascun libro è figlio ‘ammé, per scarafone che sia. Comunque, ho pubblicato da sola su Lulu.com forse il mio romanzo più difficile, sull’amore. Non sono abituata a sognare, ma a volte penso che un editore potrebbe prelevarlo da Lulu.com in quanto di mia sola e assoluta proprietà, e stamparlo. Il tema omosessuale raramente e’ stato affrontato in modo così profondamente controverso. Ecco, questo romanzo mi piace. E mi piace, per motivi del tutto diversi, anche La stagione incerta (Marsilio): quella stagione in cui non si è più giovani e non si è ancora vecchi. E l’amore è parola incerta.
Cosa Le ha lasciato la TV e cosa ha lasciato Lei alla TV.
La televisione mi ha lasciato la gioia di interviste come questa. La percezione di essere stata Elda Lanza. Alla televisione non ho lasciato niente, neppure teche, perché ai nostri tempi non si facevano replay, e mai per trasmissioni del pomeriggio. Lo dico senza amarezza: sono cresciuta senza mai voltarmi indietro.
Il Suo programma preferito?
Difficile. Guardo poco la televisione, perché di solito nelle ore buone io sto al computer. I telegiornali – ora mi piace quello della Sette, perché Mentana è bravo e perché era al Liceo Manzoni di Milano con mio figlio: e anche se un po’ più grande gli ha insegnato la politica. Non mi piacciono i dibattiti politici. Mi annoiano i varietà. Che cosa resta? Ma quel poco me lo godo, la televisione è di casa in casa mia. Mi ha nutrita.
Qual è l’aforisma che più la rappresenta?
E’ una vecchia storia, era incisa in latino antico in un vecchio anello a sigillo di mio nonno. L’avevo persino fatta stampare sulla mia carta da lettere personale. “All’amico basti che io sia felice.” Come l’ha saputo?
Semplice fortuna…
Ora non ho aforismi ai quali riferirmi. Mi diverto quando ne sento di buoni, ma devono essere buoni davvero, e non importa se non mi somigliano.