Gian Maria Volontè: il ritratto di un mito
Uno sguardo fiammeggiante e generoso colorava di rosso l’animo ribelle di “uno dei più grandi attori del cinema mondiale”, come amava definirlo Francesco Rosi. Un uomo contropotere, che la rivoluzione l’ha fatta nella vita e nell’immaginario collettivo, prima ancora che sul set. Il 6 dicembre 1994 scompariva l’istrionismo naturalistico di Gian Maria Volontè.

La storia del cinema italiano e mondiale ha conosciuto tanti divi, ha visto carriere nascere e morire, si è beata di un’arte omnicomprensiva, dove differenti linguaggi – fotografia, letteratura, musica, recitazione… – cantano all’unisono, in un raffinato tripudio che rappresenta la vera forza del cinema.
Ma uno solo è stato l’attore “contro” per definizione.
Gian Maria Volontè. Che colpiva sempre diritto al cuore.
Come in “Quien sabe”, dove la sua natura politico-integralista lo costringe ad uccidere El Nino, il gringo americano; o come nel caso dell’incontro-scontro con Achille Occhetto, dove quella stessa natura, stavolta molto poco cinematografica, non gli impedisce di sferrare un pugno in faccia all’allora segretario del PCI.
Un pugno che, forse, era indirizzato a tutto il partito, non solo al suo rappresentante di punta.
I suoi occhi ribelli sprizzavano determinazione, la stessa che portava nelle discussioni partitiche:
“In lui c’era una personalità politica fortissima” diceva Occhetto, ricordando gli anni insieme a Botteghe Oscure. E sulla stessa lunghezza d’onda viaggiano le parole di Giorgio Albertazzi – che diede a Gian Maria il primo ruolo da protagonista, nello sceneggiato televisivo de L’Idiota – secondo cui “dai suoi occhi traspariva una tensione civile speciale”.
Fu il primo a battersi per il cosiddetto voce–volto.
All’epoca gli attori venivano doppiati in sala di registrazione, perdendo così una parte importantissima – la voce appunto – della fase interpretativa.
Nessuno aveva mai osato mettere in discussione questa granitica regola del cinema italiano, anche perché erano i produttori a volerlo – per ragioni economiche – e non era il caso di fare la guerra a chi poteva determinare le sorti di una carriera.
Un dogma, il voce-volto, per tutti ma non per Gian Maria Volontè, secondo cui il ruolo dell’attore doveva completarsi a 360°.
Grazie ad un fascino carismatico senza precedenti e ad una forza di volontà indistruttibile riuscì a coinvolgere buona parte della categoria attoriale e vinse la sua battaglia. Con conseguenze che oggi potremmo definire mobbing e che gli impedirono, per alcuni anni, di lavorare. Almeno in Italia.
La filosofia di Gian Maria, già drappeggiata sulla vela della sua barca, racchiudeva il senso delle cose, quantomeno delle sue cose:
“Si alza il vento, bisogna tentare di vivere”.
Esattamente ciò che riuscì ad Oreste Scalzone, il leader di Autonomia Operaia coinvolto nelle inchieste sugli anni di piombo, che – grazie a Volonté – scappò dall’Italia verso la Francia.
“Stavo decidendo una fuga forse senza fine”, ricordava Scalzone dopo la morte dell’amico, “e la possibilità mi venne offerta proprio da Gian Maria, che disponeva di una barca a vela con cui raggiungemmo la Corsica. E da lì mi sentii in salvo.”
Questa rivelazione, espressa da Scalzone il giorno dopo la morte di Volontè, sul set del film “Lo Sguardo di Ulisse”, risalta quanto mai la natura controcorrente di “uno dei più grandi attori del cinema mondiale”, come amava definirlo il suo mentore e amico, Francesco Rosi.
A cui lo legano alcuni tra i migliori film interpretati da Gian Maria – da “Il Caso Mattei” a “Uomini Contro”, passando per “Lucky Luciano” e “Cronaca di una morte annunciata” – che racchiudono tutto il talento cinematografico, la forza espressiva, la capacità interpretativa e la presenza scenica di Gian Maria.
Un grande attore, quindi, ma soprattutto un grande uomo di cui si sa ancora troppo poco, forse perché chi intimamente lo ha conosciuto conserva per sé, non senza un pizzico di gelosia, memorie e aneddoti.
La vita privata di Volontè si mescolava con la professione, in maniera così profonda da rendere spesso complicato l’uscita dal ruolo.
Tanti momenti di libertà assoluta Gian Maria li ha dedicati al mare, che traversava di notte con la sua Arzachena, una barca a vela di undici metri con cui trascorreva indimenticabili ore insieme alla figlia Giovanna. Che in un’intervista rilasciata qualche tempo fa a Vanity Fair ricorda:
“Era un padre molto materno, dolcissimo, ma che non faceva sconti. E allora, se il mare era gelato ma l’ancora andava disincagliata, mi faceva tuffare.”