Storytelling su Lifestyle, Sport, Tech e Food

NUCLEARE/ Valsusa, continuano i trasporti di scorie: e in caso di incidente popolazione a rischio

Il passaggio era previsto per la notte tra il 13 e il 14 gennaio. Ma arrivata la “soffiata” ai membri del movimento antinucleare, il treno incaricato di trasportare scorie radioattive da Vercelli a Le Hague (Francia) ha rimandato il suo passaggio. Passaggio che comunque avverrà nel giro di questa settimana, forse la notte stessa della pubblicazione di questo articolo, come d’altronde hanno deciso in gran segreto la delegazione di responsabili e i Dirigenti della Pubblica Sicurezza vercellesi di ritorno la scorsa settimana da Parigi.

 

di Maurizio Bongioanni

Una cosa è certa: su questo particolare tipo di trasporto bisogna far sapere il meno possibile. L’obiettivo dichiarato delle prefetture è quello di non lasciarsi sfuggire informazioni circa la localizzazione del treno e quindi di scongiurare manifestazioni lungo la tratta che potrebbero, a detta loro, aumentare il rischio di incidenti. Come ha sostenuto l’assessore all’ambiente della Regione Piemonte, Roberto Ravello, a un “Tavolo di Trasparenza nucleare” in cui disse che “una popolazione informata rappresenta un pericolo per la sicurezza”.

Ma così facendo i Comuni interessati dal passaggio non conoscono nemmeno le procedure di evacuazione in caso di emergenza. Tanto da spingerne alcuni – il primo è stato Villarfocchiardo – a presentare un ricorso contro il Governo centrale, la Regione Piemonte e le prefetture per mancata informazione (basti pensare che il Consiglio dei Ministri, nel 2006, ha disposto l’informazione ex post, cioè dopo eventuale incidente). Senza parlare del fatto che far correre alla nazione un simile rischio significa vanificare il risultato di un referendum in cui il popolo sovrano ha dichiarato non solo di non voler centrali nucleari sul proprio territorio ma, come spesso si tende a dimenticare, di non voler correre alcun pericolo connesso al nucleare.

I convogli di cui stiamo parlando trasportano materiale irraggiato oltre il confine francese, all’interno della centrale nucleare gestita dall’Areva, a Le Hague appunto. Areva, tra l’altro, è la stessa azienda che ha progettato la realizzazione di diverse centrali nucleari in Italia. Per essere trasferite, le barre vengono caricate su appositi tir dal deposito di Saluggia e trasportate poi alla stazione di Vercelli dove vengono caricate su appositi convogli – denominati Castor – e dopo aver attraversato Novara e Mortara transitano lungo la Valsusa.

Qui incontrano spesso le proteste dei valligiani che dal 2011 si oppongono al passaggio di materiale radioattivo. Alla protesta si aggiunge la voce dei ferrovieri francesi, stanchi della disinformazione legata al rischio che incorrono venendo a contatto con questi convogli.

L’ultima spedizione però non è avvenuta verso la Francia ma -e questo risale a poche settimane fa – dal porto di Trieste: qui infatti sono arrivate le scorie da Saluggia ed esse sono state convogliate con quelle provenienti dalla Germania. Successivamente caricate su una nave merci, le scorie hanno preso il largo verso gli Stati Uniti.

Inutile qualunque commento relativo al rischio di disastro ambientale se mai una nave fosse affondata lungo il tragitto.

Il nostro Paese deve sistemare 80-90mila tonnellate di scorie. In parte sono all’estero a vetrificare, in parte le produciamo ancora (negli ospedali ad esempio). A Saluggia ci sono ancora il due per cento delle barre di combustibile irraggiato che facevano andare il reattore. L’Italia è l’unico Paese al mondo a non aver ancora indicato un sito di stoccaggio permanente delle scorie sebbene la legge ne abbia ordinato l’apertura già dal 2008.

Ma il problema del trasporto di rifiuti radioattivi – trasporto che serve a far guadagnare tempo al nostro Paese e rimandare le soluzioni a un imprecisato futuro – è un vizio che l’Italia ha già da prima della cessata attività nucleare voluta dal referendum del 1987: in quegli anni infatti venivano spedite a Sellafield, in Gran Bretagna. Poi nel 2007, l’allora Ministro allo Sviluppo Luigi Bersani firmò un accordo economico con il suo corrispettivo francese per l’invio di 235 tonnellate di combustibile irraggiato entro il 2015 per il riprocessamento e relativa vetrificazione, mentre il rientro degli scarti dovrà avvenire tra il 2020 e il 2025. Un accordo economico, insomma.

Una speculazione, per dirla con parole povere dal momento che per l’Italia si tratta di una spesa di 250 milioni, spesa destinata a salire. Nessuno sa spiegare cosa ci guadagni l’Italia. Forse si capirà approfondendo maggiormente l’aspetto militare: infatti il riprocessamento prevedere l’estrazione di plutonio dalle barre per essere reimpiegato a fini militari, in particolare nell’impiego di bombe atomiche.

Parliamo dei rischi. In caso di incidente, nel raggio di cinquanta metri si sprigionerebbe un’ondata radioattiva pari a 5,83 Sv (Siviert, l’unità di misura della radiazione). Secondo le tabelle scientifiche 6 Sv equivalgono a una morte certa. A duecento metri la radiazione scenderebbe a 3,47 Sv. I treni merci sono progettati per resistere a urti con velocità di cinquanta chilometri all’ora e a cadute non superiori ai nove metri.

Inutile dire che i percorsi di montagna sfiorano strapiombi ben più profondi di nove metri. I Castor vengono testati per resistere a cadute di nove metri su superficie piana, a un fuoco di ottocento gradi per mezz’ora e a un’immersione in duecento metri d’acqua per un’ora.

Molte associazioni, come ad esempio la rete francese Résau Sortir du nucléaire, giudicano questi test inaccettabili in un contesto di trasporto di scorie radioattive: incidenti frontali con mezzi di trasporto carichi di idrocarburi, la caduta da un ponte su una superficie irregolare o un affondamento in acque più profonde supererebbero di gran lunga le aspettative dei test. Inoltre, la dispersione anche di un solo grammo di plutonio in aree urbane provocherebbe l’evacuazione di migliaia di persone.

E a Saluggia di plutonio se ne trovano circa cinque chili.