Tutto quello che non vi hanno mai detto sul G8 di Genova
I segreti del G8 di Genova sono nascosti in “G8 Gate. 10 anni d’inchiesta”, lo sconvolgente libro scritto da Franco Fracassi, il reporter che in quei due giorni di paura e delirio lavorava, sul campo, come inviato dell’Agenzia AP.Biscom. “Allora nessuno se ne era accorto, ma sopra le teste di chi era sceso in piazza a protestare e di chi stava là per sedare le proteste, c’era qualcun altro che aveva pianificato e previsto ogni cosa, come in una partita a scacchi.” Un quadro agghiacciante, quello dipinto da Fracassi, che in questa intervista ci spiega e racconta i segreti del Truman Show più orrendo che la storia occidentale abbia mai visto.
Non si può certo dire che Franco Fracassi sia un tipo facilmente impressionabile. Ha visto dal vivo il crollo del muro di Berlino e i due colpi di stato in Russia, la caduta di Milosevic e la fine dell’apartheid in Sudafrica.
Il suo passato da inviato di guerra lo ha sospinto nei meandri dei peggiori conflitti internazionali degli ultimi anni: Israele-Palestina, Angola, Iraq, Afghanistan. E Ruanda, con un genocidio da più di un milione di morti. No. In effetti non è quello che si direbbe una persona impressionabile. Eppure….
“Il pronto soccorso del San Martino era affollatissimo (…) in attesa di essere visitato, decisi di chiamare la redazione (…) non ero in vena di convenevoli. Ero un fiume in piena (…) raccontavo di quello che mi era successo, della ragazza con la testa spaccata, dell’intervista ai poliziotti invasati (…) urlai anche che i poliziotti che mi avevano ridotto così erano dei bastardi! (…) a un certo punto non ressi più all’emozione e cominciai a piangere (…) nella mia carriera mi sono trovato tante volte in pericolo (…) ho assistito a scene raccapriccianti. Eppure, la giornata che avevo vissuto a Genova, in Italia, mi aveva sconvolto. Non ero preparato a un simile spettacolo (…) Oggi qui è morta la libertà! Questo non è un Paese libero! (…) Ci volle mezz’ora e molti scossoni da parte degli infermieri, perchè tornassi in me.”
Fracassi, famoso anche per il docu-film “Le Dame e il Cavaliere. Sesso e Potere una storia italiana“, di cui è regista, ha impiegato 10 lunghi anni per completare il libro inchiesta G8 Gate. Troppi misteri, troppi intrighi (internazionali), troppi testimoni con le bocche cucite.
I servizi segreti di mezzo mondo avevano pianificato a tavolino la distruzione del Movimento No Global e Genova è stato il colpo finale alle aspirazioni di quei neo-sessantottini che volevano cambiare il mondo.
Ma chi impartiva gli ordini? E perchè? Cosa si cercava di difendere? Qual era il pericolo rappresentato dai pacifisti anti globalizzazione? E ancora: perchè Giuliani è morto? Placanica è l’assassino? Cosa c’entra l’operazione Chaos, creata dalla Cia nel 1963 per placare le rivolte anti-Vietnam, con Genova e il G8?
Franco Fracassi riesce a dare una risposta a tutti questi interrogativi che arrovellano le budella di chi c’era e di chi avrebbe voluto esserci, di chi sosteneva quel movimento e cercava un mondo migliore, di chi non ha mai rinunciato a far valere i propri diritti. Che, però, durante quelle due giornate di sangue sono stati “momentaneamente” sospesi, messi in stand by.
Le forze dell’ordine, scese in campo per massacrare i manifestanti, non potevano permettersi il lusso – molto democratico – di rispettare i diritti umani. Guerra doveva essere e guerra è stata.
E allora la nostra intervista parte proprio dalle parole di un esponente delle forze dell’ordine, che Fracassi ha intercettato il giorno prima che iniziasse la mattanza.
“I no global sono delle bestie. Ma noi gliele abbiamo date di santa ragione. Ne abbiamo stesi tanti, ne ho stesi tanti. Non usciranno vivi da Genova.”
Le forze dell’ordine si sono presentate al G8 con l’idea di massacrare i manifestanti, a prescindere da quello che sarebbe successo. Quanto accaduto è stato pianificato. Un po’ come nel Grande Fratello, dove la bravura degli autori è quella di selezionare le persone giuste, metterle insieme, sapere come reagiscono ad ogni impulso e porli in condizione, di volta in volta, di agire nella maniera in cui gli autori vogliono che agiscano. A Genova è successa una cosa molto simile. Non si può prevedere la reazione di migliaia di persone nei dettagli, però conoscendo il comportamento delle masse, chi hai di fronte e la planimetria della città si può stabilire cosa dovrà succedere e quale effetto avere dai manifestanti.
Il Truman Show.
Ma così funziona. Ho intervistato Luigi Malabarba, un ex parlamentare che per 5 anni ha fatto parte del COPACO, l’ente di controllo parlamentare sui servizi segreti. Li ha conosciuti bene, sa come ragionano nell’ambito dell’ordine pubblico. E lui è arrivato alla conclusione che nell’ordine pubblico non c’è nulla di casuale, i servizi prevedono ogni cosa. E per un evento come il G8, organizzato con un anno e mezzo d’anticipo, dove sono stati coinvolti polizie e servizi segreti di mezzo mondo, anche di altissimo livello come la Cia, si può immaginare con quale livello di meticolosa pianificazione sia stato programmato il G8. Quello che è accaduto non è frutto del caso.
E quindi il morto…
…doveva far parte della storia.
Quando sei arrivato a Genova come ti sentivi? Ricordi le sensazioni provate?
Era una città spettrale, i genovesi erano scappati tutti. In zona Diaz, dove c’era il contro G8, la città si animava, così come sul lungomare, dove c’erano concerti ed eventi organizzati dai manifestanti. Per il resto era un luogo deprimente.
Si arrivava a quel G8 in una situazione di altissima tensione, dopo gli scontri di Goteborg e Napoli: tutto calcolato?
Si, si. C’è stata una lunga pianificazione, ma per tutti i vertici internazionali. Da Seattle in poi è stato tutto studiato, tutto provato, perché quanto accaduto a Genova era successo almeno una volta in un vertice internazionale dei due anni precedenti. Come se si fossero fatte tante prove generali di singoli spezzoni, per proporre – a Genova – la recita globale.
In quei fatidici due giorni come ti sei mosso? Dove alloggiavi? Avevi paura?
Paura no, nel senso che sono andato anche in Ruanda, insomma… Però nei momenti in cui c’erano i punti più caldi, gli eventi più drammatici, questi lasciavano il segno. Anche se l’agenzia (AP.Biscom, ndr) mi aveva prenotato ben due stanze di albergo, anch’io come altri ho trovato dei ragazzi che ospitavano gente, ammassati in un appartamento. Le due notti ho dormito lì.
Quali sono stati i tuoi movimenti da quando è partito il corteo dallo Stadio Carlini?
Eravamo in parecchi all’agenzia e ognuno aveva un compito: il mio era quello di seguire gli scontri, non le tute bianche. E gli scontri erano altrove, anche molto presenti, rispetto alla partenza del corteo. Mentre aspettavo l’arrivo delle tute bianche a un certo punto ho telefonato ai miei caporedattori – considera che c’era un’inviata, Angela, che stava insieme alle tute bianche – e ho detto di farla andare via, perché sapevo che con l’arrivo del corteo sarebbe scoppiato l’inferno. Non ci voleva un mago. Non so se non glielo hanno detto o se non se n’è andata, ma quando l’hanno rintracciata, nel pomeriggio, si trovava sulla terrazza di un palazzo, completamente in stato di shock. Si era trovata in mezzo al delirio.
Anche il movimento delle tute bianche aveva interesse ad essere teleguidato? Anche loro avevano un ruolo come quello dei Black Block?
In tutte le organizzazioni di protesta ci sono degli infiltrati. Ed è una cosa normale, anzi sarebbe strano il contrario, perché i servizi segreti fanno questo di mestiere. Il problema è capire se i servizi stavano lì per monitorare, per cercare di prevenire ed evitare gli scontri o per aizzare. Per quanto mi riguarda le tute bianche appartenevano alla categoria dei manifestanti poco intelligenti, nel senso che sapendo come si era arrivati a Genova e vedendo quello che stava accadendo potevano evitare alcune cose: se entri in una gabbia con un toro e sei vestito di rosso non fai nulla di male ma sai che il toro ti caricherà. Ma non saprei dire in che modo hanno inciso gli infiltrati nel comportamento delle tute bianche.
In questi giorni è stato inaugurato il sito Ioricordogenova.com : qual è l’istantanea che proprio non riesci a rimuovere?
È una scena che riguarda alcuni ragazzi che facevano parte del gruppo dei registi – ce n’erano diversi, tra cui Monicelli, Scola e altri – intenti a filmare gli avvenimenti. Ovviamente non è che vedevi Scola con la camera in mano, queste piccole troupe di ragazzi facevano da aiutanti. E ne ricordo una in particolare, composta da tre persone, che filmavano mentre intorno infuriavano i Black Block. A un certo punto una donna che stava tra i contestanti – un’italiana del Nord – si è avventata come una furia contro una ragazza di questa troupe, urlando di buttare la telecamera. Gliel’ha strappata dalle mani e spaccata in testa. Una violenza gratuita, che tirava fuori l’odio. Quella scena era del tutto incomprensibile, mi ha lasciato basito.
In quei momenti non ti è mai venuta la voglia, anche solo per un attimo, di smettere i panni del giornalista e partecipare agli scontri?
No. Prendere parte agli scontri proprio non è nella mia natura, non per paura, perché praticamente come giornalista me li sono fatti tutti, sempre in prima linea e prendendomi tutte le mazzate del caso. Attengo al gruppo dei ghandiani, che ritengono sbagliato tutto ciò che ha a che fare con la violenza. Però, se non avessi fatto il cronista, avrei volentieri partecipato alle manifestazioni, in particolare a quella del sabato e non a quella del venerdì, perché la questione di invadere la zona rossa la vedevo più come una cosa scema simbolica che altro. Ma questa è una mia opinione, non sto condannando chi l’ha fatto.
Durante un’intervista al cantante dei 99 Posse, ci siamo detti che quella nuova ondata di movimento sessantottino è stata spazzata via proprio con Genova. E dopo si è cercato di rimuoverne gli effetti anche dall’immaginario collettivo. Che ne pensi?
Penso sia vero. Alla fine degli anni ’90 è uscito un film, Fight Club, che rappresenta esattamente quello che per me sono i Black Block, anche come spirito. Uno dei pregi del cinema hollywoodiano, almeno per chi lo osserva dal punto di vista storico, è che segue le mode. Quel film era l‘espressione dell’aria che si respirava. E poi non dimentichiamo che meno di due mesi dopo il G8 c’è stato l’11 settembre, che ha messo una pietra tombale sopra il movimento. Non si era più contestatori ma terroristi, o almeno si veniva additati come tali. E gli animi si sono molto placati.
Se il 68’ è stato spazzato via dall’immissione nel mercato globale delle droghe, e quindi quel movimento pacifista – dopato – si è sciolto in se stesso e trasformato in qualcosa di molto violento, con quella nuova ondata sessantottina sono stati utilizzati dei metodi diversi, più sottili.
È vera la questione delle droghe, però è vero anche – e questo fa parte della storia – che si parla di ‘68 ma tutto è partito agli inizi degli anni sessanta. C’è stato un processo che ha portato al ‘68. E nel ’63, da buone formichine che prevedono tutto, gli Stati Uniti hanno messo a punto un piano, “Operazione Chaos”, per far fronte a tutti i Sessantotto presenti nel mondo e stroncare la protesta. È andata avanti per almeno dieci anni e ha coinvolto tutto il mondo, in particolare il nord Europa. L’operazione prevedeva quello che è successo a Genova, ovvero la demonizzazione di chi protestava e la creazione della paura, sia in chi voleva andare a manifestare – poteva succedere di tutto – sia in chi non andava, proprio per paura dei manifestanti, dipinti come terroristi e cattivi. Questo meccanismo, adeguato ai tempi, si è verificato a Genova nel 2001.
Perché hai deciso di scrivere “G8 Gate”?
Intanto ho girato anche un film, che ha lo stesso titolo per altro. Però la verità è che volevo fare un’inchiesta perché io personalmente avevo bisogno di sapere come erano andate le cose. E anche perché, come al solito, spesso gli eventi vengono raccontati in tanti modi differenti, ma molto raramente, non solo in Italia, lo si fa tramite inchieste giornalistiche. Anche questa è stata una molla.
Perché vale la pena leggere “G8 Gate”?
Se si vuole andare al di là del racconto drammatico, che è sempre bene non dimenticare, se si vuole capire perché sono accaduti questi eventi, chi ci sta dietro e come funzionano certi meccanismi, se si vuole imparare qualcosa per poterlo poi applicare ad altre situazioni della propria vita, credo che questo libro possa essere molto utile.
Per approfondimenti
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