GIUSEPPE ONUFRIO/ Il Direttore di Greenpeace Italia è deciso: “I pazzi siete voi, se non andate a votare”
Giuseppe Onufrio è il direttore di Greenpeace Italia. Ed è con lui che abbiamo deciso di cominciare questa settimana santa, in cui diventa decisivo alzare il livello di sensibilizzazione e informazione, affinché tutti affrontino i referendum del 12 e 13 Giugno con lo spirito giusto. “Non far rappresentare il tuo pensiero da un altro. Qualunque cosa tu pensi esprimila.”
di Andrea Succi
Questo è uno dei tanti concetti chiave che Onufrio ci regala in questa chiacchierata molto aperta e altrettanto indiavolata. Nel senso che spesso ci troviamo a fare la parte dell’avvocato del diavolo, per dare una risposta a tutte quelle obiezioni che i nuclearisti portano per mettere il carro davanti ai buoi. Il nucleare è sicuro? E i reattori di terza generazione? Ci serve davvero per coprire il fabbisogno energetico? E le alternative, come le rinnovabili, rappresentano una strada pulita e perseguibile?
Giuseppe Onufrio incarna al meglio lo stile non violento, ma molto deciso, di Greenpeace. Le sue riflessioni, i modi con cui si esprime, ce ne danno assoluta conferma. E del resto se ne erano già accorti milioni di persone, quando lo hanno visto giovedì scorso ad Anno Zero mentre si confrontava con nuclearisti convinti del calibro di Chicco Testa e di quel Professor Franco Battaglia, sempre pronto a spararla grossa. “Battaglia bisognerebbe pagarlo, per noi è una fonte inesauribile di spunti. Più questi vanno in giro e meglio è per noi.”
Secondo te quando tornano a casa, dalla famiglia, dalla moglie, dai figli, dai nipotini magari, come possono continuare nella loro spudorata opera propagandistica verso il nucleare?
Battaglia dice anche un sacco di altre stupidaggini, persino sul solare. Chicco Testa invece ha cambiato posizione già quando era all’Enel, ma per lui è un discorso diverso: quando alcune persone che nella vita hanno avuto ambizione di potere entrano in contatto con interessi industriali di un certo tipo, poi fanno ragionamenti che non stanno in piedi.
Parliamo di uno che si dichiara allo stesso tempo ambientalista e nuclearista convinto. Una contraddizione pazzesca.
Ma non è l’unico. Ci sono anche nomi ben più importanti di Chicco Testa, ad esempio James Lovelock, che è stato uno dei padri dell’ambientalismo europeo e ha preso posizione a favore del nucleare, soprattutto in funzione anti carbone. Oltre a qualche altro furbetto, tipo uno dei nostri fondatori, Patrick Moore, che dagli anni ’80 si è messo a lavorare per l’Industria. Stessa cosa è successa in Italia, vedi il caso di Carlo Ripa di Meana o di alcuni esponenti di Italia Nostra, che si sono convertiti al nucleare.
E secondo te perché questi padri nobili dell’ambientalismo sono diventati testimonial del nucleare? Sono prezzolati dalla lobby che vuole il ritorno all’atomo oppure restano davvero convinti che questa sia la scelta giusta?
Noi non diamo giudizi sulle persone ma guardiamo alla solidità degli argomenti che loro usano. In un certo senso Fukushima è stata un punto di svolta, anche se il nucleare è in difficoltà da molti anni. Pensa che negli Stati Uniti l’ultimo reattore completato è stato ordinato nel 1974: i costi di questa tecnologia sono troppo alti per il mercato e in realtà tutti gli investimenti realizzati dagli americani, dal ’74 ad oggi, sono stati fatti per quei vecchi impianti.
E che mi dici allora dei reattori di terza generazione?
Ma guarda che non ce n’è nemmeno uno che funziona! È come guardare la pubblicità di una nuova auto, sulla cui sicurezza nessuno ha avuto ancora autorizzazioni in merito, ma che già si cerca di vendere. Cosa che non succede in nessun altro campo. Stiamo parlando di una tecnologia inesistente, che già viene data per sicura da persone che non possono portare come prova le statistiche di comportamento di altre tipologie di reattori.
Vale a dire?
Se guardiamo al passato, i reattori americani – e Fukushima aveva un reattore della General Electric – furono “venduti” come reattori in cui i rischi di un rilascio negativo di reattività all’esterno erano di uno su centomila anni reattore. Questo vuol dire che se nel mondo esistono 400 reattori operativi, un incidente di questo genere si può verificare una volta ogni due secoli e mezzo. Ma questa tecnologia ha già dimostrato, per quel che si può vedere, che questa statistica non corrisponde al vero: di fatto abbiamo avuto prima l’incidente di Three Mile Island (nel 1979, ndr), poi altre tre fusioni e ora Fukushima. Una percentuale di rischio 30 volte più alta rispetto a quanto promesso dagli “esperti”.
Faccio l’avvocato del diavolo. Prima obiezione: questi incidenti tutto sommato possono capitare, perché a Chernobyl la centrale era datata, mentre nel caso di Fukushima non si poteva prevedere lo tsunami.
Anche se questi incidenti gravi sono rari, le conseguenze in realtà restano abnormi: a Fukushima 170 mila persone devono essere evacuate e non sanno se mai potranno più tornare; c’è un’area molto vasta che non potrà più essere coltivata per almeno due tre secoli. Tieni presente che in Giappone l’incidente è ancora in corso e ci vorranno anni per stabilizzare la situazione. I rischi legati a queste tecnologie si propagano nello spazio e nel tempo, andando ben al di là di ciò che è controllabile dall’uomo.
Seconda obiezione: senza nucleare non copriamo il fabbisogno energetico.
A livello mondiale, la quota percentuale di elettricità prodotta con il nucleare – perché il nucleare produce solo elettricità – è passata dal 17% del 1999 al 13% del 2009. E se invece guardiamo al complesso mondiale di tutti gli usi energetici, e parliamo di usi finali soprattutto, vediamo che il nucleare copre circa il 2% del consumo. Per cui è una tecnologia marginale, di cui possiamo fare a meno. Ci sono delle alternative, le rinnovabili, che costano meno, che hanno un potenziale tecnico ed energetico di gran lunga superiore e che hanno un impatto occupazionale che, a parità di energia prodotta, è dieci volte superiore al nucleare.
A questo punto la domanda sorge spontanea: se la logica, supportata dai fatti, imporrebbe di abbandonare la tecnologia nucleare, perché tanti ancora si ostinano in questo senso? Quali sono i segreti di questa lobby?
Siccome qualche impianto nucleare nel mondo alla fine verrà fatto, perché ci sono molti impianti che devono essere chiusi, si apre un mercato nel quale l’Enel vuole entrare. Perché? La caratteristica del nucleare è che il costo da sostenere è essenzialmente legato al costo dell’impianto, per recuperare il quale ci vogliono mediamente tra i quindici e i venti anni. Dopo, se è gestito bene, produce profitti. Si tratta di un mercato oligopolistico, con pochi grandi soggetti che hanno flussi di capitale giganteschi e che quindi si possono permettere anche di aspettare molti anni prima di recuperare l’investimento. In sostanza, il business del nucleare consente di controllare il mercato per lungo tempo, seppur con una tecnologia molto rischiosa e molto costosa. E mentre sul nucleare l’Enel non ha concorrenti, sulle rinnovabili ne ha tanti.
Anche sulle rinnovabili voglio fare l’avvocato del diavolo. Partiamo dal fotovoltaico: e del silicio con cui fare i pannelli cosa ne facciamo? Si tratta pur sempre di un rifiuto pericoloso…
Intanto ci sono già impianti che smaltiscono il silicio, anche se si sta andando in una direzione per cui si userà una tecnologia meno pesante dal punto di vista dello smaltimento. Ma soprattutto non è un tipo di rifiuto che ha qualcosa di minimamente comparabile alle scorie nucleari.
Eolico. Magari selvaggio. Interi territori hanno subito devastazioni ambientali, causa abuso di pale. In Molise, fino a qualche tempo fa, non si parlava d’altro.
Stai sicuro che la tecnologia si consoliderà, che le amministrazioni sapranno maneggiare sempre meglio certe pratiche, ma l’eolico si deve fare e si deve fare bene. Bisogna imporre degli standard su criteri di localizzazione. Si sta andando verso i parchi del futuro, composti da pochi oggetti grandi anzichè molti oggetti piccoli.
E il paesaggio?
Ma il paesaggio dovrà cambiare! Comunque! C’è una sola certezza: le rinnovabili si devono fare. Chi pensa che si debba mantenere il paesaggio come nel 1600 è dentro un pregiudizio fossile, cioè è dentro il pregiudizio psicologico di una società come la nostra che è abituata a cercare il gas o il carbone e campare con questo tipo di energia. Quella energia, oltre ad essere inquinante, è poca, oramai è in declino ed è origine di conflitti. E noi dobbiamo evitare al massimo di dover essere costretti a scannarci per arrivare a quell’energia.
Sono quasi convinto, ma…
Da questo punto di vista bisogna farsene una ragione: il paesaggio è un prodotto della storia dell’uomo e la storia di questo secolo ci porta a dover ripensare il nostro sviluppo industriale. Il principio dell’ecologia è simile al principio dell’economia: “nessun pasto è gratis”, quindi nemmeno le fonti rinnovabili sono completamente esentate da questo. Il problema per noi è scegliere che tipo di impatto vogliamo avere. Cosa è meglio? Nucleare e carbone insieme oppure una combinazione di fonti rinnovabili di vario tipo e di gas naturale?
I pazzi siete voi: ci racconti il senso di questa iniziativa?
C’è stata proposta da un gruppo di ragazzi, alcuni volontari di Greenpeace e altri no, e devo dire che è piaciuta moltissimo, anche per la sua capacità di promuovere un passaparola, vista la quasi totale assenza sui media della questione referendaria. Si tratta di un’iniziativa corretta, non violenta ma molto decisa, che rispecchia il nostro stile e soprattutto viene portata avanti dai ragazzi.
Greenpeace non è un’associazione per vecchi.
Non si tratta di questo, ma in un paese in cui tutti cercano di rappresentare i giovani noi abbiamo pensato che fosse meglio che a rappresentare i giovani fossero i ragazzi stessi. Abbiamo cercato soltanto di aiutarli e di concordare un minimo di linea, creando un palcoscenico in cui loro possano esprimersi e parlare ai ragazzi della loro età senza una mediazione diretta. Siamo in un momento storico particolare in cui ci si gioca un pezzo di futuro, che poi è il futuro soprattutto delle persone che oggi hanno tra i 20 e i 30 anni.
Una generazione agguerrita.
È la generazione che sta sul web, che ha un’altra mentalità e un’alta capacità di analisi rispetto a chi invece è cresciuto solo con la televisione. A seconda delle scelte che si fanno oggi si avranno più o meno possibilità di avere un futuro in settori innovativi, che fanno bene sia all’ambiente sia all’economia. Siamo tutti molto contenti di sostenerli e penso sia anche un contributo per cercar linguaggi nuovi.
Facciamo un giochino: sabato sera ti trovi davanti una persona che non ha la minima intenzione di andare a votare, anzi, se andasse a votare voterebbe no. Cosa t’inventeresti per convincerla?
Non far rappresentare il tuo pensiero da un altro. Qualunque cosa tu pensi esprimila. A me sarebbe piaciuto fare più dibattiti con chi è contrario, ma questo non è stato possibile perché ce lo hanno praticamente impedito.