Italicum, dai partitini al Quirinale c’è chi tenta il sabotaggio
I cespugli delle due coalizioni tramano contro l’asse Renzi-Berlusconi sulla riforma elettorale. La regia di Napolitano dietro l’accelerazione anti Cav voluta da Grasso.
Ci sono quelli che puntano il dito contro la «tirannia della governabilità». Quelli che agitano lo spettro della cancellazione della rappresentanza per milioni di elettori.
Quelli che confidano nelle forche caudine parlamentari e scommettono sull’abile opera dei franchi tiratori, in particolare al Senato, l’aula destinata a compiere il gesto più innaturale: votare per la propria soppressione. Quelli che, facendo finta di ignorare un trend di lungo termine, accusano il sindaco di Firenze di aver restituito centralità politica al leader di Forza Italia, costruendo il perfetto trampolino per una sua nuova vittoria. Ma anche quelli che temono che la nuova regola del dialogo depotenzi la ventennale rendita dell’odio anti-berlusconiano, vera assicurazione sulla vita per una intera classe politica.
Sono tante le mine sul terreno dell’asse Berlusconi-Renzi. Alla vigilia della settimana decisiva – da martedì inizierà la discussione nell’aula della Camera del ddl di riforma della legge elettorale – i nemici dell’ «Italicum» affilano le armi e si preparano all’offensiva finale, visibile o sotterranea che sia. I «sospettati speciali», quelli su cui si appuntano i maggiori indizi e che appaiono come i più accreditati, aspiranti sabotatori, si ritrovano all’interno di una lista piuttosto nutrita.
Per molti tra coloro che remano contro c’è il capo dello Stato. Il motivo? Il format Renzi-Berlusconi è esattamente l’opposto della transizione morbida e della costruzione politico-giudiziaria su cui si regge il governo Letta, fortemente voluto proprio da Giorgio Napolitano. In questo senso molti pensieri si sono diretti verso il Colle quando Pietro Grasso, con decisione clamorosa, smentendo il consiglio di presidenza del Senato che aveva votato no, ha deciso di schierare Palazzo Madama come parte civile contro Berlusconi per la presunta corruzione di senatori, assestando un bel colpo all’alleanza Pd-Fi.
Nell’elenco non può naturalmente mancare il più naturale avversario dell’asse di ferro Renzi-Berlusconi, ovvero Enrico Letta, il «premier per caso» finito sulle montagne russe del nuovo corso imposto dal sindaco del Pd e ritrovatosi a co-gestire la cabina di regia del suo esecutivo. Nella lista non può non figurare Angelino Alfano, scippato della sua centralità politica dal cambio di schema in corsa e minacciato da una legge elettorale che taglia le ali a ogni ipotesi centrista e fissa la soglia di sbarramento a un 4,5%, asticella posta a un’altezza tutt’altro che rassicurante per il Nuovo Centrodestra.
Al «tutti contro due» partecipano naturalmente tutti gli altri piccoli partiti. Nichi Vendola, ad esempio, da una parte soffia sull’antiberlusconismo, dall’altra lavora per inserire un emendamento salva-Sel, ovvero una clausola per il miglior perdente di ciascuna coalizione. E di certo non si straccerebbero le vesti le altre forze a rischio soglia – da Fratelli d’Italia a Scelta Civica, dalla Lega fino ai Popolari per l’Italia – qualora l’Italicum inciampasse in aula.
Lo scenario di una trappola parlamentare al Senato non può essere escluso. In teoria i numeri ci sarebbero anche qualora dovessero votare la riforma solo Pd e Forza Italia, unendo i 108 senatori di Via del Nazareno con i 60 del partito di Piazza San Lorenzo in Lucina. Ma nel Pd i renziani «doc» non sono più di 25.
L’altro fronte quello degli «anti-patto», può contare sui 50 senatori grillini, sui 31 di Ncd, sui 15 della Lega, 14 del Misto, Per L’Italia 12, Per le Autonomie 12, Scelta civica 8 più parte del gruppo Gal, per un totale di circa 148 potenziali oppositori. Distanze non incolmabili che, salvo concessioni e accordi blindati, trasformeranno quella del Senato nella più classica delle votazioni thriller.