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DIMISSIONI CONSIGLIERI ISERNIA/ Ecco la sentenza del Consiglio di Stato che legittima il centrodestra

Una cittadina intera è in fermento. Ci sarà o no il commissario? Entreranno i primi non eletti o è davvero finita per De Vivo? Sembrerebbe un caso unico quello di Isernia, tanto che il prefetto ha chiesto parere al ministero degli Interni. Infiltrato.it, però, è in possesso di un documento del 2005, una sentenza del Consiglio di Stato che farebbe luce sulla vicenda. Ugo De Vivo è caduto. E il centrodestra – contrariamente a quanto dicano i “democratici” pidiellini – ha ragionato a tavolino. In chiave assolutamente antidemocratica. Spiegata, poi, anche la tempistica. Non sarebbe infatti un caso che tutto sia accaduto prima della seduta numero uno: se fosse successo dopo, allora sì era possibile far entrare i primi non eletti. Leggere per credere.

di Carmine Gazzanni

Caduto o non caduto? Questa è la domanda che tiene in fermento la cittadinanza isernina sul futuro di Ugo De Vivo e sulla vittoria del centrosinistra. Le dimissioni di gruppo – dicono dall’entourage del sindaco – dovevano essere effettuate dopo la nomina e dunque dopo la prima seduta del Consiglio Comunale. Cosa che, come sappiamo, non è avvenuta. Questo è il dubbio che, al momento, tiene bloccato l’iter per il commissariamento del comune di Isernia: se infatti si dovesse decidere che non è sufficiente la proclamazione, potrebbero entrare in consiglio i primi dei non eletti.

Un caso unico, dunque, quello di Isernia. Eppure pare che un precedente ci sia. Rispolverando, infatti, tra vari documenti, Infiltrato.it è venuto in possesso di una sentenza del Consiglio di Stato che farebbe luce sulla vicenda, sulla tempistica e, soprattutto sulla basse motivazioni del centrodestra (altro che “bene per la città” …). Partiamo con la questione centrale: stando a quanto si legge Ugo De Vivo sarebbe caduto.

Il documento in questione (il numero 279 del 3 febbraio 2005) è firmato dalla V Sezione del Consiglio (Presidente del Collegio il Dottor Agostino Elefante) di Stato ed è una conferma di una precedente sentenza del Tar (II Sezione, 24 giugno 2004, n. 2740). La questione, seppur non effettivamente speculare a quella che oggi si vive a Isernia, è moto simile: dopo le elezioni comunali a Castelletto D’Orba (Alessandria) del 12 e 13 giugno 2004, quattro consiglieri di minoranza e quattro di maggioranza, tutti eletti, rassegnano le dimissioni prima della seduta numero uno del consiglio comunale. Si presentano, allora, i primi otto dei non eletti. Ma il Tar prima, il Consiglio di Stato poi dichiarano: non è possibile questo passaggio automatico e, dunque, la seduta non ha raggiunto il numero legale (il consiglio è formato da dodici consiglieri). Si legge nel documento: “l’obbligo imposto in sede di prima convocazione del consiglio comunale (e provinciale) dall’art. 41 D.Lgs. n. 267/2000 di ‘esaminare la condizione degli eletti a norma del capo II Titolo III’ vale a dirimere ogni incertezza sulla circostanza che alla prima seduta possano validamente partecipare solo coloro che sono risultati validamente eletti all’esito dello scrutinio e non già – seppure in via di surroga – coloro che non abbiano conseguito le preferenze richieste per entrare a comporre l’organo consiliare”.

Tanto basta a invalidare la seduta numero uno nel comune piemontese in questione, poichè tenuta “in mancanza di numero legale”, dato che sono dodici in totale i consiglieri. E, nonostante fossero presenti gli otto primi non eletti, la cosa è da definirsi “non valida”.

Torniamo ora a Isernia. La situazione che si è profilata nella cittadina pentra è molto simile. Ci sono – sia chiaro – notevoli differenze: non si parla di soli otto consiglieri ma di diciotto e, soprattutto, a Isernia non si sono presentati i primi non eletti, ma i banchi dei dimissionari sono rimasti vuoti. Detto questo, però, dal punto di vista qualitativo l’esito è stato lo stesso. Il motivo è centrale: il centrodestra pentro, con un colpo letteralmente fascista (si badi: non è un’offesa. Un’interruzione al normale iter democratico per fini che trascendono il bene comune, altro non è che fascismo. Historia docet), non ha permesso che si raggiungesse il numero legale per il consiglio stesso. Insomma, come nel caso del comune piemontese.

Ma andiamo a leggere alcuni passaggi della sentenza che, in maniera ancora più evidente, sembrano prospettare un esito poco felice per De Vivo. Nel documento, ad esempio, si chiarisce che non è possibile un passaggio automatico della nomina ai primi non eletti se prima non c’è stata almeno la seduta numero uno del consiglio: “non appare poi sostenibile, sia pur nella particolarità della fattispecie, che le dimissioni dei quattro consiglieri comunali proclamati eletti intervenute il 22 giugno 2004, prima cioè dell’insediamento del consiglio comunale fissata per il giorno 29 giugno 2004 abbiano di per sé  comportato la surroga con i  candidati non eletti per il verificarsi automatico ed istantaneo del trasferimento dell’ufficio in capo ai candidati dimissionari che seguivano nella stessa lista”. Il motivo è presto detto: serve un delibera per la surroga (“si richiede per i candidati non eletti l’adozione dell’apposita delibera di surroga”). La ragione è squisitamente temporale. Si precisa nella sentenza che “la disposizione rinvia palesemente, sotto l’aspetto temporale, all’art. 51 D.Lgs. n. 267/2000, che prevede in cinque anni la durata in carica del sindaco e dei consiglieri comunali (e dei corrispondenti organi provinciali) e sotto l’aspetto sistematico ai commi 4 e 5 dell’art. 38, D.Lgs. n. 267/2000, che fissa nell’atto della proclamazione il dies a quo e nell’elezione dei nuovi consiglieri il dies ad quem di durata in carica dei consigli comunali. Il decorso del quinquennio è dunque collegato sempre alla proclamazione, che non si verifica nei confronti degli scrutinati non eletti, i quali sia prima che dopo l’insediamento rimangono estranei al consiglio comunale salvo il verificarsi dei presupposti per la surroga (o per la sostituzione) da adottare con espressa delibera”.

Ecco perché anche a Isernia si è giunti ad un consiglio comunale senza numero legale e, dunque, alla caduta di Ugo De Vivo. Non resta altro che attendere la nomina del commissario da parte del prefetto.

Con una certezza in più: da quanto detto è chiaro che il centrodestra – nel sonno di molti del centrosinistra intenti a continuare i festeggiamenti – ha studiato a dovere la questione. Se si fossero dimessi in massa dopo la prima seduta, allora sì sarebbe stato possibile provvedere alle delibere e dunque nominare i primi non eletti. Ecco perché la scelta di far cadere De Vivo prima della seduta numero uno. Tutto studiato nel dettaglio. A tavolino. E poi parlano di democrazia