MAFIE/ Intervista a Raffaele Cantone
Organizzato da Libera Molise, giovedì 10 novembre alle ora 17,30 presso la “Sala della Costituzione” della Provincia di Campobasso si terra l’incontro dibattito “La zona grigia – Quella della società e quella delle coscienze”. Relatori d’eccezione un magistrato e un sacerdote da anni in prima fila contro la malavita organizzata: Raffaele Cantone e don Tonino Palmese. La “zona grigia” è stata introdotta vent’anni fa dallo scrittore piemontese Primo Levi nel suo libro “I sommersi e i salvati” per indicare qualcosa di nascosto, di impenetrabile, uno spazio dove si cospira, quello di coloro che in vario modo e a vario titolo e responsabilità collaborano al funzionamento della macchina del potere; “… questa zona possiede una struttura interna incredibilmente complicata, ed alberga in sé quanto basta per confondere la nostra capacità di giudicare. L’Infiltrato ha intervistato Raffaele Cantone, il magistrato che ha fatto condannare importati malavitosi e capiclan come Francesco Schiavone e Francesco Bigognetti dei Casalesi. Minacciato di morte, da anni Raffaele Cantone vive sotto scorta.
La “zona grigia”, intervista al magistrato Raffaele Cantone
Dottor Cantone, cos’è esattamente quella che lei chiama la “zona grigia”?
Con “zona grigia” intendo riferirmi a quella parte della società che pur non essendo parte integrante delle organizzazioni mafiose ha con esse contatti di varia natura, soprattutto sul piano della connivenza e degli affari. E’ una realtà purtroppo che si è molto estesa negli ultimi anni e che è la vera forza di questa nuova mafia che spara sempre meno e fa sempre più affari in apparenza leciti; e se riesce a fare affari di questo tipo lo fa grazie soprattutto a questa famosa zona grigia.
Questa terra di mezzo, ovvero il collegamento tra malavita e potere politico-amministrativo, è un male italiano dalle radici antiche. A cosa può essere attribuita la genesi di questo fenomeno?
E’ difficile dirlo, perché non sono un sociologo né tantomeno uno storico; so per certo, però, che in molti snodi della vita italiana le mafie hanno svolto un ruolo di “supporto” a realtà non mafiose; gli storici, ad esempio, sono ormai concordi nel ricordare come la camorra dell’epoca (fenomeno tutto diverso da quello attuale) svolse un ruolo nel periodo in cui Garibaldi arrivò a Napoli; il famoso prefetto Liborio Romano utilizzò i camorristi per tenere l’ordine a Napoli; e persino durante lo sbarco degli alleati in Sicilia durante la seconda guerra mondiale i mafiosi giocarono un ruolo e ne ottennero non pochi vantaggi nella fase post bellica. Ma per essere più vicini ai tempi nostri, sembra accertato che le mafie abbiano svolto ruoli impropri in molte vicende anche recenti, appoggiando uomini e schieramenti politici ed influendo sui dati elettorali. E ciò che si intravede con riferimento al periodo delle stragi del 1992 lascia davvero inquieti.
Le mafie di oggi non sono più “coppola e lupara”, ma “agenzie di servizi”, come lei ha più volte evidenziato. Come si entra oggi in queste “agenzie” e dove nascono i nuovi mafiosi?
Le mafie si muovono come service soprattutto rispetto al mondo imprenditoriale; risolvono problemi e non solo agli imprenditori meridionali; quante volte grandi marchi nei settori della distribuzione di beni di largo consumo hanno concesso mandati o agenzie ad uomini dei clan? E la ragione è evidente; i clan eliminano i problemi ambientali, aiutano nell’interlocuzione con il mondo delle istituzioni, procurano danaro a basso interesse etc. Possono essere in alcuni casi alleati sì scomodi ma molto utili in logiche squisitamente utilitaristiche.
Uno dei pericoli maggiori, è che chi denuncia la “zona grigia” venga lasciato da solo. Come si combattono la paura da un lato e l’omertà dall’altra?
La paura e l’omertà si combattono da un lato non lasciando soli i coraggiosi che denunciano, dall’altro con le risposte efficienti delle istituzioni; se un imprenditore denuncia il pizzo ed arrivano subito arresti e condanne si lancia un segnale inequivocabile; e se poi quell’imprenditore viene aiutato nella fase successiva alla denuncia dalle associazioni di categoria, dalle organizzazioni di volontariato ed antiracket si evidenzia a tutti – mafiosi compresi – che non è solo e si stimolano comportamenti emulativi analoghi. Esempi virtuosi recenti anche in provincia di Napoli dimostrano quanto ho detto.
Lei ha fatto condannare importati malavitosi e capiclan come Francesco Schiavone e Francesco Bigognetti dei Casalesi. Oggi lei vive sotto scorta: si sente solo dottor Cantone?
Continuo a vivere sotto scorta e sicuramente ne risentono molti aspetti della mia vita privata; ma sarebbe ingiusto lamentarmi perché lo Stato spende tanto per proteggermi e farmi sentire tranquillo. Oggi mi sento molto meno solo, perché sento anche tanta attenzione da parte di molte persone anche della mia realtà; un po’ di solitudine (ovviamente sotto altri aspetti), del resto, per un magistrato è persino fisiologica; un magistrato deve fare molta attenzione a tutti i suoi comportamenti anche privati, comprese le frequentazioni e questo in certi ambienti ti rende sicuramente un po’ più solo.
Molti giovani trovano nella “zona grigia” la soluzione a tanti loro problemi – penso alla ricerca di un lavoro – che lo Stato non riesce ad affrontare. A questi giovani che rischiano di essere risucchiati da questo buco nero, lei cosa si sente di dire?
E’ una soluzione dei problemi che è spesso peggiore dei problemi; chi viene risucchiato in quello che lei chiama buco nero si accorge dopo di quanto è nero il buco; questa gente non regala niente a nessuno e se dà poi chiede con gli interessi.
Quello sulla Magistratura è un tema che tiene banco da anni. Lei ritiene che vi sia una necessità di riforma, e se sì, in che termini? In particolare, qual è il suo pensiero sulla ipotesi di separazione delle carriere?
E’ indispensabile una riforma che renda efficiente l’attività della magistratura; i tempi attuali della giustizia sono incompatibili con quelli di uno stato civile; su questo si dovrebbe lavorare di comune accordo con la politica, la quale, però, è spesso interessata o solo a battaglie ideologiche o a ridurre gli spazi del controllo di legalità della magistratura. Quanto alla separazione delle carriere, non solo non è utile in termini di efficienza ma rischia di essere dannosa per un sistema democratico in cui il p.m. deve avere una cultura giurisdizionale analoga a quella del giudice.
Dottor Cantone, lei oltre all’attività di magistrato è anche uno scrittore brillante. A cosa sta lavorando in questo periodo?
In questo periodo sono molto preso dal lavoro in Cassazione, ma ho scritto abbastanza soprattutto in materia giuridica; proprio in questi giorni è uscita una voce su un’enciclopedia specialistica in materia penale di cui vado molto fiero, perché è la voce “associazione mafiosa”. Continuo poi a scrivere articoli sui giornali sui temi della giustizia che mi stanno molto a cuore; ho anche qualche idea sul piano editoriale ma non so se poi si tradurrà in qualcosa di concreto.