ABOLIZIONE PROVINCE/ La doppia faccia di Pd, Pdl e Udc: a dicembre può saltare tutto. Ecco perchè
Ma quale soppressione delle province. La strada, contrariamente a quanto annunciato dall’esecutivo, è più lunga del previsto e, a leggere i resoconti della discussione in Commissione, è lastricata dagli interessi (forti) dei partiti nelle amministrazioni locali. Nonostante il decreto sia stato approvato, infatti, è necessaria la conversione in legge da parte di Senato e Camera. Tempo massimo: fine dicembre. Ma, per il momento, la discussione è ancora ferma in Commissione a Palazzo Madama. E, per il momento, si sta parlando del nulla con tanti onorevoli – da Gasparri (Pdl) a Vitali (Pd) fino a Digilio (Terzo Polo) – che presentano problemi e rischi di incostituzionalità. Risultato: i parlamentari non vogliono abolire un bel nulla.
di Carmine Gazzanni
Basta leggere i resoconti delle ultime sedute in Commissione Affari Costituzionali per realizzare che quanto affermato dall’esecutivo non è detto sia compiutamente vero. Era il 31 ottobre quando veniva approvato in cdm il decreto sulla soppressione delle province. Attualmente, in totale, le province sono 110. Di queste, 86 sono quelle delle Regioni a Statuto ordinario. Secondo i piani dell’esecutivo dovrebbero rimanerne solo 51 (comprese le dieci città metropolitane). Una sforbiciata annunciata da tempo da Mario Monti e che sembrerebbe aver trovato applicazione. In parte è vero, ma in parte – purtroppo – no.
Il governo infatti – bisogna darne atto – il suo l’ha fatto arrivando all’approvazione di un decreto che, se tutto dovesse andare per il vero giusto, porterebbe già dal 2014 ad un nuovo assetto amministrativo dell’Italia intera. Come detto, però, se tutto dovesse andare per il verso giusto. Domanda: chi potrebbe mettere i bastoni tra le ruote al governo Monti? La stessa maggioranza che lo sostiene, ovvio. Il motivo è presto detto: Pd, Udc e Pdl (a cui si affianca, per le stesse ragioni, anche la Lega) si spartiscono gran parte delle amministrazioni provinciali che verranno tagliate. Ergo: è nei loro interessi partitici (e, sia chiaro, non politici) mantenerle in vita.
Bisogna infatti tenere a mente che, siccome siamo in presenza di un decreto legge, affinchè diventi realmente operativo è necessario che il Parlamento – e dunque Camera e Senato – convertano il decreto appunto in legge. Ecco allora che il ruolo di deputati e senatori diventa imprescindibile. Anche perché la conversione ha un tempo massimo: sessanta giorni. Considerando che il decreto sulla soppressione delle province, come detto, è del 31 ottobre, la scadenza è fissata al 31 dicembre. I tempi, però, si riducono ulteriormente visto il lungo ponte natalizio disposto per i parlamentari. Ergo: scadenza fissata, nei fatti, intorno alla metà di dicembre.
In pratica, i giorni a disposizione per la conversione in legge non saranno più di venti. Peccato, però, che il testo sia fermo in Commissione Affari Costituzionali in Senato. Questo vuol dire che dovrà affrontare ancora il voto in Assemblea, poi essere trasferito in Commissione alla Camera, ridiscusso e poi, infine, essere approvato anche dall’altro ramo parlamentare. Troppe tappe per un tempo così risicato.
Si dirà: se i parlamentari, però, si metteranno di buona lena tutto è possibile. Vero. Certamente. Come detto, tuttavia, basta leggere i resoconti delle sedute fin qui tenute in Commissione a Palazzo Madama per rendersi conto che siamo quanto mai lontani dalla “buona lena”. L’ultima seduta si è avuta due giorni fa, mercoledì 21. Per la settimana in corso può bastare così. Tutto rinviato alla settimana prossima. Prima di questa riunione i senatori si erano visti sette giorni prima – in gran tranquillità, dunque – il 15 novembre.
Leggendo gli interventi di questa seduta si ha, come detto, la sensazione che si è ancora lontani dall’approvazione. A cominciare da quello di Maurizio Gasparri che “rivolge ai rappresentanti del Governo l’invito a fornire alla Commissione chiarimenti a proposito del riordino delle province” perché si evidenzierebbero “talune incongruenze costituzionali” derivanti dal fatto che, se da una parte si sta discutendo della soppressione delle province, alla Camera è in discussione un altro disegno – di cui Infiltrato.it ha già parlato – sulle “modalità di elezione del consiglio provinciale e del presidente della Provincia”. Insomma, due disegni che sembrano contraddirsi tra di loro.
Stessa preoccupazione è stata presentata anche da Walter Vitali (Pd) il quale “condivide la richiesta del senatore Gasparri”. A detta del senatore, “sarebbe singolare che, dopo il susseguirsi di diversi provvedimenti d’urgenza in materia, non si possa completare nel tempo stabilito questa importante riforma istituzionale”. Dello stesso identico parere anche Giuseppe Saro (Pdl) e Domenico Benedetti Valentini (Pdl).
Ma è Egidio Digilio (Terzo Polo) a manifestare perplessità ancora, per così dire, più concrete. Il senatore “ritiene che le disposizioni del decreto-legge non tengano conto delle reali esigenze del Paese. In particolare, per effetto di esse la sua Regione, la Basilicata, si ridurrebbe a una sola provincia, con gravi ripercussioni sull’accessibilità ai servizi, in un territorio che ha palesi carenze infrastrutturali”. Insomma, la soppressione delle province inguaierebbe la Basilicata che è proprio la regione in cui è stato eletto. Pardon, nominato.
Non solo. È quanto dice oltre Digilio che è ancora più chiarificatore dell’indirizzo della Commissione nella discussione sul decreto. Si legge infatti nel resoconto che il senatore centrista “non ritiene di sottostare alla condizione che l’eventuale rigetto della conversione in legge del decreto-legge abbia effetti sulla sopravvivenza del Governo”. In altre parole, il “rigetto” della conversione in legge del decreto non porterebbe ad una caduta del Governo. Proprio questo è il punto. Si è liberi di evitare la soppressione degli enti. Tanto questo non avrà ripercussioni sulla stabilità dell’esecutivo.
Il vento che tira in Parlamento è allora chiaro: il governo Monti non avrà tempo e forza, visti i freni velati dei partiti, per arrivare ad una soppressione reale degli enti. Peccato, però, che questi stessi partiti, tempo addietro, ne abbiano parlato: nel 2008 tanto Veltroni quanto Berlusconi avevano menzionato nel loro programma la soppressione delle province. Quando si è vicini alle politiche, però, la musica cambia. E di parecchio: ciò che conta è portare voti. E senz’altro avere uomini fidati anche nelle amministrazioni provinciali, felici e contenti perché potranno rimanere nei loro consigli, è più che un bene.