INTERVISTA/ Giulio Cavalli:”Sono felice, perché libero di raccontare senza censura”.
di Andrea Succi
Insieme a Luigi De Magistris e Sonia Alfano si sta battendo per un Italia dei Valori più trasparente. È consigliere regionale in Lombardia, giornalista ma soprattutto è un attore di teatro. Sotto scorta. Perché racconta gli interessi e le infiltrazioni criminali nel nord Italia, “appoggiati e coltivati da una grossa fetta di lombardi”. Un’intervista a tutto tondo in cui Giulio Cavalli regala emozioni e momenti di acuta riflessione.
I suoi spettacoli, nonostante il racconto di eventi drammatici, lasciano molto spazio all’improvvisazione ed al sorriso, riscontrando il successo di “piazze folte e gioiose”. È un romantico che ritrova la serenità in una terra ad altissima densità mafiosa, come la Sicilia, “perché in Sicilia so molto bene da che parte stanno le persone che ho intorno”. Svela come avviene il suo processo creativo, ricorda la prima volta che è salito sul palco, “con uno spettacolo dialettale che sarebbe piaciuto alla Lega, e spiega perché la parola teatrale può essere esplosiva, a patto che “non si paventi in nessun modo la possibilità dell’autocensura”.
Un’intervista a tutto tondo in cui Giulio Cavalli si racconta e scava nei suoi ricordi, regalando emozioni e momenti di acuta riflessione.
Tu vivi sotto scorta: perché? Quando e come è iniziata questa, tra molte virgolette, avventura?
Se vogliamo dare un ordine temporale, tra fine 2005 e inizio 2006 conosco a Gela Rosario Crocetta e decidiamo di collaborare: lì c’è una Sicilia che è al fronte tutti i giorni, insieme ai ragazzi di Addio Pizzo, di Libera e al fratello di Peppino Impastato. Da quel momento in poi c’è stato un lavoro che ha sempre alzato un pò il tiro e si è spostato dal parlare della realtà prettamente di Cosa Nostra ad un realtà che è più settentrionale. Inevitabilmente, e in maniera proporzionale, sono arrivati i primi segnali e le minacce. Però secondo me questa è la parte più collaterale della storia.
E allora qual è la parte più importante?
Per un uomo di parola, l’incontro con persone che sono al fronte in questa battaglia può essere un alleato importantissimo. E credo possa essere così per chiunque intraprenda il proprio lavoro con la schiena diritta. Diventa fondamentale scoprire che si può creare un esercito senz’armi, dove ognuno con la propria professione, come dice l’articolo 4 della costituzione, contribuisca ad aumentare il livello materiale e spirituale della propria nazione.
In questo senso, in base a quella che è stata la tua esperienza dal 2005 ad oggi, pensi sia cambiato il tuo concetto di libertà?
Sicuramente. Ho sempre urlato – e continuerò a farlo – contro la censura in generale ma mi sono ritrovato troppo spesso a contatto con persone che si autocensurano, che ritengono più comodo dire una frase in meno o un cognome in meno. Ecco, la libertà è non paventare in nessun modo la possibilità dell’autocensura.
L’ultima volta che hai potuto passeggiare da solo senza i tuoi angeli custodi: che ricordi hai?
Era un giorno particolare, il 25 aprile, e se ci pensi bene è una bizzarria che l’ultimo giorno di libertà sia coinciso proprio con il giorno della liberazione. Però la mia storia ha avuto una climax ascendente di segnali, per cui non ci sono cascato dentro ma sono passato da una protezione molto più debole a quella che poi è diventata scorta. Diciamo che ero preparato.
Perché il teatro per esprimere quello che hai dentro? Cos’è per te il teatro?
È un luogo, come una pagina di un giornale, come le 200 pagine di un libro, come le assemblee di un consiglio regionale o comunale. È un luogo dove non ci sono mediazioni, non ci sono fili o corde da poter tirare per condizionare concetti comunicativi. Finché rimarrà tale, sarà potenzialmente esplosivo. Anche se spesso viene disinnescato dalla pavidità di chi il teatro lo gestisce.
Quando scrivi i tuoi spettacoli che fai? Ascolti musica, scrivi di notte, ti chiudi nel tuo silenzio? Come avviene il processo creativo?
In realtà ci sono due fasi. La parte di studio, che è quella quotidiana, sugli atti processuali, le informative e quant’altro, che vive di tre caffè e golden virginia verde. E poi c’è la fase in cui si scrive la parola da mandare in scena, che è un momento soprattutto notturno, ogni tanto anche abbastanza alcolico, che avviene nei posti più impensabili, in tournée, nelle stanze degli hotel, in terrazza.
La prima volta che sei salito sul palco: ricordi ed emozioni.
Adesso divento più triste perché la Lega mi amerà, ma il mio primo spettacolo era un’opera dialettale. Con una piccola compagnia di paese facevo una comparsata ne “La crapa del nonu”, che sembra un manifesto politico della Lega. Io ero l’arabo. Però ricordo le sensazioni scomode di essere sul palco del grande teatro molto prestigioso, a fare un monologo con questo nugolo di sacerdoti teatrali, e ricordo la sensazione invecemolto più positiva che ho provato le prime volte che andavo all’interno della piazza o all’interno dell’associazione che aveva affittato a fatica lo spazio. C’è una differenza di abitabilità tra il circuito classico teatrale, che mi è sempre stato un po’ scomodo e che ho sempre indossato un pò male, e l’agorà, che invece vivo con piacere. Ricordo di essere arrivato in paesini dove il pomeriggio, mentre si montava, non si vedeva passare nessuno e poi, improvvisamente, la sera spuntava una piazza folta e anche gioiosa.
Il viaggio che ricordi con più piacere
Tutti i viaggi in Sicilia, compresi quelli che dovrò fare, perché è una delle terre in cui so molto bene da che parte stanno le persone che ho intorno. Invece, purtroppo, qui in Lombardia mi sono imbruttito e un po’ incattivito, sia per quello che mi è successo ma più di tutto perché mi si allunga sempre l’ombra del dubbio, perché sono stato tradito dagli amici più vicini, tradito dai collaboratori che davo per scontato fossero con me. In Sicilia c’è questa liberazione. Per me la Sicilia è serenità.
La mafia al nord: perché tutti si accorgono solo ora di una piaga che in realtà vive e prospera da anni anche nel nord Italia?
Perché abbiamo una coscienza televisiva che ci risveglia e ci responsabilizza solo in prima serata e non nel lavoro quotidiano. Ci si sveglia per l’eccesso di difesa rissoso e patetico della Lega o per le parole dette in prima serata e sembra non ci si sia accorti dei 300 arresti e soprattutto che non ci si sia accorti di Giorgio Ambrosoli, di Calvi, di Sindona. Però c’è un’antimafia, una lotta di informazione e responsabilità, da anni, che va raccontata in quanto positiva.
Ma la gente sa o non sa? Voglio dire, com’è possibile che i lumbard facciano finta di niente? Basta frequentare i mercati, le fiere, lo stadio per capire il livello delle infiltrazioni criminali.
Secondo me c’è una radice politica: la Lombardia è una regione che dal punto di vista politico e finanziario ha sempre vissuto sulla proiezione che è riuscita a dare di se stessa. Non per niente è la regione che ha inventato la pubblicità e ha applicato il marketing alla politica oltre che all’imprenditoria. È la regione in cui spadroneggia un partito, la Lega, che per costruire il suo castello ha bisogno di un presupposto: l’idea che la Lombardia sia migliore, più pulita, più operosa. Questo atteggiamento porta indifferenza. E quindi riconoscere che in Lombardia c’è un problema,coltivato e appoggiato da una grossa fetta di lombardi, metterebbe in discussione lo status quo mentale di responsabilità del lombardo stesso.
Tu hai due figli piccoli: se dovessi spiegar loro cos’è la mafia, quali parole useresti?
Trovo che l’art. 416 sia molto poetico: tre o più persone che si riuniscono preferibilmente di nascosto e che decidono di accrescere la propria ricchezza, creando danni al bene comune e utilizzando l’arma dell’intimidazione, della minaccia e della violenza. Mi sembra una fotografia perfetta e molto semplice per definire il concetto di mafia.
Se potessi tornare indietro rifaresti tutto?
Assolutamente si , perché mi ritengo un privilegiato, una persona che ha la fortuna di lavorare con gente straordinaria. Ho un pubblico che mi ascolta e questo è il sogno di qualsiasi attore e di qualsiasi scrittore; ho la fortuna di riconoscermi nella battaglia che porto avanti e in qualsiasi cosa faccio. Sono molto contento.