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Quando la camorra si “sposa” con Cosa Nostra

Matrimonio di Camorra, la sposa è figlia di un boss casalese.

 

Il lusso sfrenato è d’obbligo, tra lussuosissime fuoriserie, abiti di alta sartoria e  auto d’epoca per i piccioncini convolandi a giuste nozze. Se ci fossero le note di Nino Rota sarebbe un remake perfetto de Il Padrino.

L’auto d’epoca non è stata affittata per l’occasione, si tratta del regalo più prezioso e arriva direttamente da Palermo, omaggio di don Vincenzo La Placa, boss di Cosa Nostra già vicino a Totò Riina.

Si tratta di uno degli scenari di un’operazione anticamorra condotta dal pm antimafia della Dda di Napoli Catello Maresca, conclusa con l’arresto di trentacinque affiliati al clan Latorre, padrone del litorale domizio con head office a Mondragone e patto di sangue ferreo con Casal di Principe.

A capo del sodalizio criminale, almeno fino ad un controverso pentimento, Augusto La Torre, definito lo psicoboss. Un criminale anomalo che in carcere invece di riviste porno, preferisce nutrirsi di bibliografie psicoanalitiche, testi di Freud e Jung, ama citare Lacan e avventurarsi in riflessioni sulla scuola di Gestalt. E’ assolutamente convinto che le sue conoscenze di psicologia gli permettano di controllare le persone che hanno in qualche modo a che fare con lui, magistrati compresi.

Il suo Regno è Mondragone, la sua storia giudiziaria più importante riguarda la presunta amicizia con Mario Landolfi, ex fedelissimo di Gianfranco Fini.

 I rapporti tra La Torre e Landolfi iniziarono in maniera burrascosa: il politico attaccò la camorra e il boss si innervosì minacciando di farlo picchiare o addirittura sparargli. In seguito le cose cambiarono. Riferisce Stefano Piccirillo, un pentito: «Mario Landolfi si è incontrato in più di un’occasione con esponenti della camorra, in particolare con un certo Renato. La ragione era che Paolina Gravano (madre di Augusto La Torre, ndr) cercava di trovare una soluzione ai problemi giudiziari di Augusto, all’epoca detenuto. A Landolfi era stato proposto un consistente aiuto elettorale in cambio di un suo intervento sui guai del boss». Non risulta che l’ex ministro abbia personalmente incontrato La Torre, ne’ in carcere ne’ altrove, ma Piccirillo aggiunge. «Dopo quell’incontro, la famiglia La Torre ha significativamente appoggiato Landolfi nelle elezioni». 
 

Un altro collaboratore di giustizia, Mario Sperlongano, appartenente al clan La Torre, verbalizza: «Un giorno incontrai in un bar l’onorevole Landolfi, in compagnia di Giacomo Diana e di Mario Sorrentino (allora assessore comunale in quota An, ndr). Sorrentino mi chiese di appartarmi e nel medesimo bar mi chiese se eravamo disponibili a aiutare Mario Landolfi. Gli risposi che ne avrei parlato con Augusto. In seguito dissi a Diana che Augusto era deciso a appoggiare Berlusconi per le battaglie che faceva sulla giustizia. Giacomo Diana mi spiegò che votare Landolfi non precludeva la possibilità di votare Forza Italia. Lo riferii ad Augusto, il quale mi disse che se Giacomo Diana aveva detto che andava bene, andava bene». 

La dinastia dello psicoanalista. Così Roberto Saviano definisce Augusto La Torre in Gomorra. Una famiglia usa a dare ai primogeniti i nomi di imperatori romani. I primi passi con il clan di Antonio Bardellino, per poi schierarsi con Sandokan Schiavone.

Mondragone, un tempo noto solo per la mozzarella di bufala, poi, verso la fine degli anni novanta, crocevia di disperati alla ricerca di un lavoro dignitoso in Inghilterra, Londra piuttosto che Aberdeen. Antonio La Torre, fratello del boss, aveva avviato in Gran Bretagna una serie di attività immobiliari e commerciali, soprattutto nel campo della ristorazione. Il clan La Torre era diventato una delle maggiori “imprese” d’Europa. Fino all’arresto, avvenuto nel 2005, di Antonio per associazione a delinquere di stampo camorristico. Reato non riconosciuto dalle autorità scozzesi: la camorra da quelle parti non esiste.

Altro fatto inusuale, secondo i camorrologi: Augusto La Torre gestiva in autonomia il traffico di stupefacenti; inusuale perché i casalesi non hanno mai concesso a nessuno opportunità del genere; il boss di Mondragone, invece, incontrava personalmente i rappresentanti dei cartelli del narcotraffico in Sudamerica. 

Ma tutti questi privilegi si potrebbero spiegare con il vento siciliano che soffia tra le pagine dell’ordinanza di custodia cautelare, che scardina  una rete imponente di estorsori e trafficanti di droga, si trova a puntare i riflettori anche sui rapporti d’affari tra i casertani e i siciliani.

Tra i «bufalari» e i «viddani».

 Il collegamento è proprio la famiglia La Placa. Agli atti dell’inchiesta del pm Maresca spunta il nome della figlia di don Vincenzo, Katia. Socia di Antonino Ciaravello, genero di Totò Riina per averne sposato la figlia Maria Concetta, nella «T&T Corporation Ltd» con sede a Londra «società nota – c’è scritto nelle carte dell’indagine – per i divorzi lampo».

 I contatti con lei e con il più famoso (e temuto) papà, in provincia di Caserta, li tiene il reggente dei La Torre. Si chiama Carlo Di Meo.

Carlo Di Meo è il padre della sposa in auto d’epoca, il suo cellulare è in costante contatto con il prefisso 091, quello di Palermo.

La sinergia commerciale tra i  gruppi criminali sarebbe sfociata in una vera e propria alleanza familiare.

Scrive ancora il giudice delle indagini preliminari: «Allorquando Vincenzo La Placa, insieme alla moglie, per motivi riguardanti il suo stato di salute si reca a Bangkok per sottoporsi a cure specifiche», il boss casalese «si mette a disposizione per qualsiasi problema la figlia Katia La Placa avesse avuto in Italia, interessandosi in particolare per le difficoltà connesse ad alcuni operai rumeni i quali ubriacatisi avevano smesso di lavorare».

Creando un po’ di problemi nel «regno» del padrino siciliano che, comunque, morirà di lì a poco.

Anche un’altra inchiesta del pm Cesare Siringano conferma  che Cosa nostra ha precisi interlocutori in Campania. E sono gli uomini del boss Sandokan che fanno affari insieme in rami commerciali apparentemente estranei al circuito mafioso: trasporto di frutta e verdura.

L’indagine del pm Sirignano ha invece portato alla luce il fitto reticolo di interessi che esistono tra i Casalesi, il fratello di Totò Riina, Gaetano, e alcuni gruppi criminali di Catania e Caltanissetta.

Tutti d’accordo nell’affidare alla società di trasporti «La Paganese» il remunerativo appalto dei viaggi dalla Sicilia alla Campania e al Lazio per trasportare fragole, arance e mele. I casertani che comandano in casa dei mafiosi, strane cose che accadono in terra di mafia, infatti è esattamente il contrario.