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Aidaa, microchip e sterilizzazione contro randagismo e abbandono cani

I costi del randagismo in Italia raggiungono cifre pari al Pil di alcuni paesi meno sviluppati. Una stima del 2006 identifica circa 590.000 randagi, di cui solo un terzo custodito in ricoveri…

Il controllo della realtà che ci circonda ,attraverso scelte economiche, è sempre stato il motore evolutivo della nostra specie. Spesso però alcune scelte si dimostrano tutt’altro che economiche. Il randagismo dei cani in Italia ne è un esempio lampante. Il bilancio annuo in questo settore è superiore al PIL di alcuni paesi meno sviluppati. I dati precisi delle spese regionali non esistono, ma il problema è davvero grande se si pensa che una stima del 2006 identifica circa 590.000 randagi, di cui solo un terzo custodito in ricoveri. Oltre al danno economico, bisogna sempre da tenere a mente che questa specie può essere vettore di una malattia mortale per l’uomo come la rabbia. Anche se quest’ultima è stata debellata dal territorio nazionale nel 1973, alcuni casi nel nord-est del paese cominciano a ricomparire.

Nelle moderne città il caro animale d’affezione rischia di ricevere un trattamento ingrato a causa del numero di esemplari in circolo, in esubero rispetto a quello che sarebbe un salubre equilibrio. Come mai si verifica questo fenomeno? I fattori sono molteplici…

La costituzione di grandi agglomerati urbani, che esigono un maggiore livello di vigilanza, sottolinea sempre più il nostro atteggiamento nei confronti di questi animali. Ciò che si verifica è un aumento in alcune zone del numero di soggetti vaganti. L’incuria da parte dell’uomo è la causa scatenante, ma nel dettaglio da dove nascono questi problemi? L’esperienza sul campo insegna che a parte qualche sciagurato cittadino che abbandona il proprio amico a quattro zampe, è dall’entroterra che arrivano i guai maggiori. La cultura contadina spesso presta scarsa attenzione alla prevenzione di nascite indesiderate, “il problema” viene risolto con una soppressione sistematica dei neonati che talvolta però fortunatamente sfuggono a questo barbaro destino. È possibile ipotizzare che in passato i cani randagi avessero meno probabilità di sopravvivere a causa delle vessazioni ricevute e delle scarse cure.

La legge 189 del 20 luglio 2004 è la prima legge a considerare “..i delitti contro il sentimento per gli animali”, introducendo – per chi li maltratta o ne causa la morte – pene abbastanza dure come la reclusione fino a due anni e multe fino a 15.000 euro.

Ma come mai si spostano nei fitti centri abitati?

C’è da premettere che per loro natura i canidi non sono nomadi ma piuttosto stanziali, anche perché invadere altri territori può comportare incontri-scontri con branchi sconosciuti. Amano stare a casa propria al sicuro (…ad avercela in un mondo stupidamente antropocentrico).

È la fame che li porta in giro, a guidarli sono gli odori di cose da mangiare e i nostri amici hanno un senso molto sviluppato. Sono in grado di sentire odori a chilometri di distanza (il loro apparato comprende circa 220 milioni di cellule olfattive a differenza del nostro che ne possiede solo 5 milioni).

Quando questi branchi famelici giungono a destinazione non hanno la stessa caparbietà dei loro antenati lupi: impauriti e spesso malandati riescono appena a nutrirsi. Si differenziano dai loro avi in quanto addomesticati dall’uomo, quindi non più in grado di vivere selvatici . Una volta trovato un luogo dove poter avere almeno qualche rifiuto da mangiare si stanziano e casomai iniziano a proliferare. Spesso accade che inizino a difendere il territorio per istinto. Questo atteggiamento crea non poche difficoltà agli abitanti ignari, che trovano delle vere e proprie difficoltà a muoversi nei pressi. Quali sono dunque le possibilità che vengono offerte per risolvere questi casi?

Con la segnalazione alla Polizia Municipale si garantisce un intervento delle ASL Veterinarie, che in seguito all’accalappiamento trasferiscono i cani al canile comunale. L’Aidaa (Associazione Italiana Difesa Animali ed Ambiente) ha recentemente censito queste strutture presenti sul territorio nazionale. Sono 1.144 le strutture divise in 465 canili sanitari e 679 canili rifugio complessivamente ospitano circa 150.000 esemplari.

Ma come sono? Rispettano le esigenze etologiche? Ci si vive bene?

Per considerare la loro efficienza sono stati presi in esame alcuni aspetti tra cui: sovraffollamento negli ultimi tre anni; condanne o denunce contro le strutture e i gestori, negli ultimi cinque anni, per episodi di maltrattamento o moria degli ospitati; fatiscenza e condizioni igieniche; presenza di un servizio veterinario; chiarezza delle documentazioni per le adozioni. Secondo il censimento dell’Aidaa , 294 canili – che ospitano un totale di 28.000 esemplari – sono da considerarsi dei veri e propri lager.

Un altro aspetto di queste costruzioni spesso sottovalutato è l’inquinamento acustico. L’udito di un cane è in grado di percepire suoni nell’ordine di 100.000 hertz (l’uomo 20.000) a pressioni decibel molto basse, questo comporta uno stress continuo per l’animale costretto a sentire l’abbaiare, a turno, di 300- 400 o chissà quanti compagni, tutto il giorno, tutti i giorni, per tutta la vita.

Ciò che si riesce ad ottenere con questa forma restrittiva è marginale, non risolutivo e soprattutto si rischia di incappare in maltrattamenti di massa a danno di vite degne di rispetto. Continuare a raccoglierli dalle strade per poi lasciarli morire lentamente in questi ricoveri è inaccettabile, la stessa legge italiana lo vieta.

Risolvere il problema significa aumentare il controllo !

Ricorderete il traffico illecito di sigarette in Campania alcuni anni fa: il fenomeno andava avanti dal secondo dopoguerra e fino agli anni novanta non è stato risolto, ma dopo l’ingresso dell’Italia in Europa in alcuni mesi sono scomparsi i contrabbandieri dalle strade. La formula: centinaia di controlli giornalieri, con multe e sequestri a tappeto (probabilmente cambiarono anche gli interessi di qualcuno, ma questo chi può dirlo).

La legge 281 del 14 agosto 1991 sul randagismo prevede l’impegno da parte delle Regioni di emanare un regolamento che garantisca – di concerto con comuni e associazioni animaliste volontarie – un piano di sterilizzazioni, registrazioni alle anagrafe, accertamenti e quant’altro necessario per gestire la situazione.

La realtà però talvolta è diversa. Ciò che manca è in primis un coordinamento ottimale. La legge esistente in materia è troppo generica e slegata dalle soluzioni regionali che viaggiano lentamente nel regolamentare, per non parlare all’arbitrarietà dei comuni. La non applicazione del DLS 281 ’91 prevede sanzioni, ma nonostante questo Regioni e Comuni pur non assolvendo ai loro compiti escono sempre indenni.

Così il problema resta e quando non si trovano soluzioni istituzionali, accadono episodi agghiaccianti nell’ombra di un silenzio indifferente. A Campobasso assistiamo ormai da anni a quelli che potremmo definire stermini di massa. Le dinamiche di ciò che accade però se osservate bene possono farci riflettere.

Nell’estate della 2009 ci sono stati alcuni casi di avvelenamento e addirittura dei ritrovamenti di bocconi preparati ad arte per avvelenare i cani. Questi episodi in genere hanno delle particolarità: avvengono in un lasso di tempo molto circoscritto; coprono l’intera città; utilizzano lo stesso tipo di “veleno”. Nel particolare caso erano stati usati potenti pesticidi come il Forate. È bene sapere che i rinvenimenti di alcuni bocconi avvelenati sono stati ritrovati in pieno centro in Villa dei Cannoni tra il municipio e il distretto militare (ZONA DA SOTTOPORRE AD EVENTUALE BONIFICA, MAI AVVENUTA). Decine di dati che dimostrano che c’è qualcosa di sistematico in questi episodi, ma metterli in relazione per ricavarne una inferenza statistica non sempre è possibile.

Numerose le persone che sconvolte dalla perdita del proprio pet non hanno la forza di denunciare e cercano solo di dimenticare. I casi di presunto avvelenamento vengono verificati dall’istituto zoo profilattico, a cui non viene commissionata un’autopsia (molto dispendiosa) dall’ASL, ma l’indagine solo di un ristretto ventaglio di sostanze tossiche creando così molti falsi negativi. Anche a livello di indagini potrebbe avvenire una perdita d’informazioni perché talvolta le singole denunce raccolte dai vari corpi di polizia possono seguire filoni d’inchiesta diversi. Poi comunque vengono raccolte in un unico fascicolo per poterle mettere in relazione, ma se non c’è il sospetto di un piano sistematico chi le mette insieme? A questo potrebbero contribuire anche le associazioni attraverso atti di denuncia.

Ci sono comunque numerose difficoltà a vari livelli che rendono difficile se non impossibile la risoluzione delle indagini. Ma come cercare di risolvere il randagismo ed evitare questi episodi meschini che ancora avvengono?

Innanzitutto ci sarebbe bisogno di:

-un disegno unico di legge più dettagliato (la suddivisione tra legge nazionale, regionale e ordinamento comunale crea troppa arbitrarietà e confusione);

-maggior controllo delle trasgressioni, attraverso l’ausilio di guardie zoofile volontarie

-un inasprimento delle pene;

-massicce campagne di sterilizzazione e reintroduzione in natura

-microcippature

-screening territoriale e controlli a tappeto da parte delle forze dell’ordine

Come intervento di supporto andrebbero risanate le strutture già esistenti e all’occorrenza costruirne di nuove – magari “BIOPARCHI” – fermo restando che con un eccellente piano d’azione i canili andrebbero scomparendo nel giro di un ventennio al massimo..

Ovviamente ognuno di questi punti andrebbe discusso e operazionalizzato nel minimo particolare. Un altro importante aspetto riguarda la nostra cultura.

L’educazione a scuola e per strada, iniziative culturali di ogni genere, patentini per cani e corsi gratuiti per istruire i cani. Tutto con un unico scopo: ricordarci che “ …il grado di civiltà di una società si misura nel modo in cui tratta gli animali ”.