GRANDI OPERE/ Gli appalti infiniti: dalla Salerno-Reggio al Valico dei Giovi
Come detto anche in precedenza, i numeri abbondano: più di 300 “non-opere” lungo tutta la penisola, da Nord a Sud. Alcuni di questi sono casi eclatanti, venuti alla ribalta già da anni e che oramai tutti conoscono.
di Carmine Gazzanni
Basti pensare alla Salerno-Reggio Calabria e al Ponte sullo Stretto, due esempi molto simili di politica succube degli interessi mafiosi. Per quanto riguarda il primo, i lavori di rifacimento presero avvio sul finire degli anni ’90 e fecero registrare da subito ritardi nella realizzazione, tanto che a oggi nessuno sa dire con certezza quando si concluderanno. Certamente l’incompiutezza dei lavori è imputabile all’ingerenza negli affari della criminalità organizzata mafiosa e ‘ndranghetista, ma anche le responsabilità dello Stato sono molto forti: tra tutti gli attori in campo, infatti, la grande impresa nazionale è quella che detiene le risorse più ingenti; eppure più e più volte lo Stato si è dimostrato inerme di fronte alle minacce di stampo mafioso; dichiara in effetti la Fondazione RES: “le inchieste giudiziarie hanno messo in luce la volontà di alcune imprese nazionali impegnate sulla SA-RC di scendere a patti con i gruppi criminali e le loro imprese locali di riferimento”.
Ma la Fondazione RES non si è limitata soltanto ad individuare le grandi responsabilità – statali ed extrastatali – nei ritardi; lo studio del caso, infatti, ha permesso di individuare un modello sostanzialmente omogeneo di infiltrazione mafiosa: “da un lato, i gruppi criminali si sono accordati su quale fosse, da svincolo a svincolo, il gruppo criminale titolato a esigere un pagamento da parte dell’impresa nazionale. Dall’altra, alcune grandi imprese nazionali sono, per vie traverse, scese a patti con i gruppi criminali, riconoscendo loro un importo generalmente pari al 3% del capitolato. Il denaro distribuito ai mafiosi non sarebbe, in realtà, un vero costo per l’impresa nazionale in quanto, attraverso la realizzazione di truffe, esso sarebbe stato scaricato sull’ente appaltante, vale a dire l’ANAS”. In pratica, si è realizzata quella che un magistrato ha definito “un’estorsione su una truffa”: l’estorsione sarebbe dei mafiosi ai danni delle grandi imprese nazionali; la truffa, resa possibile dalla “collaborazione” con imprese mafiose, sarebbe perpetrata dalle grandi imprese nazionali ai danni dell’ente appaltante.
Un copione molto simile quello che riguarda il Ponte sullo Stretto, a cui guardano ancora una volta le cosche mafiose siciliane e calabresi che puntano ad intercettare gli investimenti che si riverserebbero nell’area e gestire il grande business della movimentazione di milioni di metri cubi d’inerti e le decine di cave e discariche che sorgeranno all’interno dei centri abitati. Ed anche qui sono le carte che documentano quanto detto: tra le ultime quelle relativa all’inchiesta Brooklyn sul tentativo d’infiltrazione della mafia italo-canadese nei lavori del Ponte. Dalle inchieste giudiziarie si evince un interesse mafioso diretto addirittura ad operare come soci finanziatori dell’opera sin dalla sua progettazione, accreditandosi in tal modo come soggetti di riferimento di istituzioni e grandi società di costruzioni e come indispensabili attori economici e sociali.
Ma anche qui le responsabilità statali sono ugualmente importanti: il costo del Ponte sullo Stretto di Messina, ad oggi, viene stimato (ma meglio sarebbe dire sottostimato) in 6.950 milioni, ma secondo il Governo i soldi non ci sono dato che sono stati messi a disposizione “soltanto” 1.493 euro, provenienti dall’Unione Europea per le aree più svantaggiate, congelati dal Governo in vista dell’avvio dei lavori. Soldi dunque destinati al Ponte, nonostante Messina sia stata colpita l’1 ottobre 2009 da frane e smottamenti che hanno causato una tragedia senza precedenti con 37 morti. E non bisogna dimenticare che i soldi sono stati spesi eccome, ma senza giungere ad alcun risultato: ai 500 milioni di euro spesi sino ad oggi per tenere in vita il carrozzone della Società Stretto di Messina Spa, concessionaria pubblica per la realizzazione del Ponte, si aggiungono i 110 milioni spesi lo scorso anno per predisporre i primi cantieri e pagare profumate parcelle a progettisti, esperti e consulenti.
Tutto questo ci fa capire come sia assolutamente priva di fondamento la voce secondo cui non saranno i cittadini a pagare i lavori per il Ponte: l’azionista di maggioranza sull’opera è, come detto anche prima, l’Anas, poi abbiamo l’RFI (Rete Ferroviara Italiana), la Regione Sicilia e, fino a qualche mese fa (dicembre 2009), anche la Calabria, infine la Fintecna, che fa capo al Ministro del Tesoro, la quale cura il finanziamento dell’opera. E’ evidente: i soggetti citati sono tutti soggetti pubblici che dovranno ricoprire il 41% della spesa complessiva; il restante 61 verrà richiesto al mercato, ma non c’è alcuna garanzia che si trovi e in tal caso via ancora a finanziamenti pubblici.
Il ruolo delle mafie, dunque, è enorme. Si potrebbe ancora citare, tra i tanti, il caso del lungomare di Triscina, frazione del Comune di Castelvetrano in provincia di Trapani, che detiene il triste record di “abusivismo diffuso” con le sue cinque mila case fuorilegge; o ancora le tremila case dell’Oasi del Simeto (Catania): nonostante l’area fosse stata inserita già nel 1969 in un Parco territoriale che nel 1984 divenne riserva naturale, l’abusivismo ha portato alla presenza – come detto – di ben tremila costruzioni abusive. O ancora, spostandoci in Calabria, potremmo ricordare il caso eclatante di cemento in spiaggia (se non proprio in mare) con quella che gli abitanti di Catanzaro chiamano oramai la “Palafitta”: una costruzione sul bagnasciuga nel mare di Falerna che ha vissuto una vicenda giudiziaria interminabile e, dopo ben 37 anni, ancora si attende una sentenza definitiva che stabilisca se la “Palafitta” sorga sul demanio oppure no.
E si potrebbero citare, ancora, le 800 ville dei clan nell’Area marina protetta di Capo Rizzuto (Crotone), per le quali partirono indagini che hanno portato all’arresto di 150 persone. Spostandoci in Campania le cose non vanno meglio: potremmo menzionare lo scempio di Alimuri (Napoli), l’ecomostro che quest’anno compie 48 anni, una spaventosa struttura di cemento (18 mila metri cubi su un’ area di 2 mila metri) alta 16 metri in paziente attesa che qualcuno decida le sue sorti; l’albergo del Clan Nuvoletta a Castelsalandra (Salerno) nel cuore del Parco Nazionale del Cilento: nonostante la zona, chiaramente, fosse di assoluta inedificabilità, l’albergo ricevette la licenza edilizia dal Comune e il clan subito ne approfittò aumentando immediatamente le cubature e realizzando al suo interno alcune piscine e il campo per il tiro al piattello, un piccolo zoo e anche 25 villette.
E lo Stato? Anche la mala gestio amministrativa ha responsabilità enormi. Basti pensare alla cittadina di Giarre, 26 mila abitanti a Nord di Catania, ritenuta da tutti “la regina delle incompiute”: una piscina mai conclusa lasciata a cemento grezzo da anni; un palazzetto abbandonato dopo anni e anni di finanziamenti ad uno scheletro incompleto; la follia del campo da polo, riciclato prima in pista di atletica, poi in campo da calcio e ora discarica per i cassonetti; una ludoteca; un parcheggio multipiano (soltanto da poco, finalmente, ultimato); un teatro (progetto da un milione e mezzo di euro) mai aperto, con le vetrate rotte e le poltroncine rubate; e ancora la casa per anziani Madre Teresa, il mercato dei fiori (per cui l’assessorato all’Agricoltura ha impegnato nel ’97 oltre 500 mila euro) e la pista di automodellismo con annessi campi da tennis (141 mila euro tra l’81 e l’82). Sono talmente tante le opere incompiute di questa cittadina che proprio qui è nato – incredibile ma vero – il “parco archeologico dell’incompiuto siciliano”.
E si potrebbe parlare ancora del Valico dei Giovi, il tratto dell’Alta velocità che dovrebbe collegare Milano a Genova: il 18 novembre scorso il CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) ha accordato 500 milioni di euro per un’opera che soltanto 20 anni fa costava meno di un terzo e di cui si promette l’inaugurazione da quasi trent’anni. E questo – è bene precisarlo – è soltanto un primo finanziamento: servirà per riaprire i cantieri, assumere personale, dare respiro alle promesse elettorali. Se non ci dovessero essere ulteriori finanziamenti, nuovamente (come capitato nel 2007) i cantieri chiuderanno per esaurimento fondi.
Ma il caso più eclatante di cattiva gestione statale è la Maddalena. Dopo che i lavori del G8 vennero spostati a L’Aquila per rilanciare la città abruzzese, l’arcipelago è stata abbandonata: l’albergo a 5 stelle che avrebbe dovuto ospitare Obama, ideato da Stefano Boeri, è stato lasciato a se stesso senza alcuna illuminazione; incustodito uno degli esemplari in replica di “Mascalzone Latino”; nessuna nave agli ormeggi che non sono stati ripuliti del tutto (spesi più di 31 milioni, ma non sono bastati per spazzare via idrocarburi e mercurio. Ce ne vorranno altri 5-6); bonifiche lasciate a metà, scheletri di edifici che non vedranno probabilmente ancora per molto finanziamenti: sulla carta (e solo sulla carta) sarebbe dovuto nascere un polo nautico di alto livello con 470 posti barca e 70 residenze attrezzate.
A più di un anno dallo scandalo della cricca, lo stato della Maddalena, dunque, è desolante: e non solo per gli interessi di Bertolaso & co., ma anche per le grosse responsabilità tra istituzioni, Governo e Regione in testa. Dei quasi 350 milioni spesi nell’arcipelago per il G8 rimane ben poco. Infatti le immagini non cambiano osservando altre incompiute: l’ex ospedale militare trasformato in albergo resta chiuso, un hotel extralusso abbandonato a sé nonostante le epocali spese, dato che le camere sono costate 742mila l’una, in tutto 75 milioni. Poco lontano, portoni sbarrati agli ingressi del Club Med: mancano le autorizzazioni per i piani di riconversione del villaggio.