Storytelling su Lifestyle, Sport, Tech e Food

CENTROSINISTRA MOLISE/ Per chi suona la campana? Tra scimmiette e scimpanzé…

di Andrea Succi

Il tempo delle mele è finito. Passata l’onda del Watergate molisano e del Governo Bilderberg è giunto il momento di dedicarci, con passione e fermento, a un tema che ci sta a cuore da tempo: il silenzio assordante del centrosinistra molisano nel periodo post-elettorale. Quello in cui si sarebbe dovuta combattere una battaglia campale sui presunti brogli elettorali e che invece ha visto sparire di scena quattro protagonisti della politica regionale di centrosinistra: Michele Petraroia, Massimo Romano, Danilo Leva e Roberto Ruta.

LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI

È questa la sorte toccata a Paolo Di Laura Frattura, candidato presidente del centrosinistra, sostenuto in pompa magna da 7 liste e poi abbandonato al proprio destino di sconfitto, una volta scrutinate le schede. Può risultare simpatico o meno, può avere un passato forzista o meno, ma è stato l’unico, oltre ad Antonio Di Pietro, a battersi come un leone per capire fino in fondo la verità vera del risultato elettorale.

Qualcuno dirà: Frattura l’ha fatto per interesse personale. Può darsi, ma anche Giovanni Di Stasi, che nel 2000 aveva vinto e nel 2001 perso, aveva interesse personale a combattere col coltello fra i denti e invece si lasciò ammorbidire da chimere altisonanti.

Altri obietteranno ricordando il documento congiunto dei partiti di centrosinistra, con cui si chiedeva al Presidente Napolitano di “adottare ogni atto di propria competenza al fine di garantire la veridicità e l’attendibilità del risultato elettorale complessivo nel rispetto dei principi di trasparenza, di legalità e di buona amministrazione”. Documento, però, arrivato fuori tempo massimo, quando non c’era praticamente più niente da fare. Un modo per lavarsi la faccia di fronte all’elettorato?

UN ELETTORATO DELUSO

Nella lingua degli antichi romani la parola delusiònem deriva da delusus, participio passato del verbo deludere, che vale propriamente burlare, canzonare. E l’amaro scherzetto che l’elettorato di centrosinistra si è visto propinare non è stato tanto quello della sconfitta, che in fin dei conti ci poteva anche stare (fino a prova contraria), ma piuttosto quello di assistere all’immobilismo degli alfieri che avrebbero dovuto sostenere il candidato Presidente nella battaglia post elettorale e invece sono rimasti imbalsamati. A guardare. Come presunti fenomeni che nel momento clou si ritrovano con le gambe tremanti e la paura di vincere.

La celia subita galoppa di bocca in bocca, tra i sostenitori l’imbarazzo è evidente, alcuni militanti storici non ne possono più di certi “pavidi condottieri” e persino in rete spuntano commenti sferzanti che, se da un lato salvano Frattura (pre e post voto), dall’altro mettono alla berlina l’operato in stile “tre scimmiette” di “una genia di furbetti nullafacenti”.

PER CHI SUONA LA CAMPANA

Scomparsi. Wanted. Desaparecidos. Chiamateli come vi pare, ma la sostanza non cambia di una virgola. Quel gruppetto di  3+1 che avrebbe dovuto reggere l’urto sia in caso di vittoria che di sconfitta, vista la malaparata se l’è fatta addosso squagliandosi come neve al sole. Chi li ha più visti o sentiti? Né dal vivo né tantomeno su Facebook, dove le bacheche languono messaggi da giorni. Provate a indovinare da quando. Fuori i nomi: Michele Petraroia, Massimo Romano e Danilo Leva, cui si aggiunge quel povero disgraziato di Robertino (ino) Ruta. Tralasciamo quest’ultimo per bontà divina e concentriamoci sul trio di cui sopra.

LE TRE SCIMMIETTE (più uno scimpanzé)

Qual era la nenia canticchiata nelle orecchie del centrosinistra, per giustificare l’inerzia da scimmietta siciliana? “Non possiamo esporci perché si rischia di dare un’altra delusione agli elettori. Se dopo la sconfitta va male anche il riconteggio?”. Eccolo il succo del thinking monkey (letteralmente, pensare da scimmietta), contro cui la base si è trovata in forte disaccordo.

A Michele Petraroia, l’ex sindacalista e anima “comunista” del Pd, viene contestato un atteggiamento fine a se stesso, ché persino durante la campagna elettorale si sarebbe concentrato – secondo i ben informati – più sulla sua possibile rielezione come consigliere regionale (poi agguantata) che sul lavoro di squadra. E dopo? Il nulla più assoluto, come se i presunti brogli non fossero cosa sua, come se il possibile ribaltone (fino a prova contraria) lo riguardasse di striscio, come se Frattura fosse il candidato Presidente di altri. Not in my name.

Massimo Romano, invece, fiero condottiero di una battaglia d’opposizione “dura e pura”, in campagna elettorale si è speso tanto e bene, sia per la sua conferma in Consiglio Regionale che per la sperata vittoria del suo candidato. Ma è lo stile post-elezioni che ha lasciato a desiderare i suoi aficionados: “Cercasi Roman disperatamente”.

E veniamo al segretario Danilo Leva, avvistato a Perugia proprio nei giorni in cui scoppiava il Watergate. C’era la Festa del Cioccolato e “avevo bisogno di rilassarmi”. Scelta di tempo inusuale per chi aveva sponsorizzato, con ogni mezzo e in prima persona, la candidatura di Frattura e poi è sgattaiolato dall’ingresso secondario, abbandonando il campo e lasciando il generale Paolo solo di fronte al fuoco nemico. Le critiche su Leva non sono mai mancate ma si sono accentuate in vista di una resa dei conti congressuale che, probabilmente, sancirà la fine della sua epopea di segretario del Pd molisano. Se il Segretario decide la linea del partito, se la linea del Pd è stata quella di non calcare troppo la mano, onde evitare una doppia sconfitta – alle urne e al riconteggio – e se uno più uno fa ancora due, allora è chiaro chi sia l’artefice di questo stupido gioco delle parti. Un leader deve prendersi le proprie responsabilità, Leva non lo ha fatto. Nei suoi confronti si sono levati forti biasimi anche da militanti storici del suo partito, gente che lo ha sempre sostenuto. In “Fuga dalla vittoria”: perché?

A questo deludente trio si aggiunge il manovratore dell’operazione Frattura, quel Robertino (ino) Ruta che proprio non ce la fa a vincere. E il sospetto degli elettori è che non voglia farlo. Anche lui – qualcuno dubitava? – nel post elezioni ha centellinato le uscite. O meglio: si è reso latitante. “Caccia ad Ottobre Rosso”, si potrebbe titolare nel suo caso.

DIRIGENTI AMARI

Nicola D’Ascanio e Giuseppe Astore, rispettivamente ex Presidente della Provincia di Campobasso e Senatore del Gruppo Misto, entrambi esponenti storici del centrosinistra molisano, si sono schierati apertamente contro la scelta di Frattura, più che altro per intercettare quel malcontento di sinistrorsi allergici alla candidatura di un ex forzista. Chissà se anche loro due avessero fatto gioco di squadra come sarebbe andata a finire. Risulta però stucchevole il loro tentativo di riposizionamento, anche per motivi di età: è inutile invocare “iggiovani” se poi non gli si lascia mai spazio.

Per non parlare di tutti gli altri dirigenti del centrosinistra, che soffrono perennemente di una sindrome da opposizione e vivono con ansia l’arte di governare. I nomi? Inutile farli, rischieremmo di lasciarne fuori qualcuno, per dimenticanza, e non sarebbe giusto. Ma due parole le spendiamo su quello che doveva essere l’enfant prodige del centrosinistra molisano e invece, fino ad ora, si è rivelato un bluff. Antonio Sorbo, consigliere della Provincia di Isernia per Sinistra e Libertà, quando faceva solo il giornalista le cantava (e suonava) a tutti senza risparmio di energie. Da quando si è tuffato in politica ha perso smalto, voglia e disinteresse, accomodandosi anche lui al Risiko regionale e muovendo i suoi carrarmatini a seconda di come potrebbero andare le cose. “Aspettando Godot”, direbbe l’Avvocato Agnelli.