Taglio delle pensioni d’oro, il grande bluff del Governo. Ecco perchè
L’esecutivo ha introdotto un prelievo minimo sulle pensioni più alte, già dichiarato incostituzionale. E in Parlamento finora è stato un tutti contro tutti. Il Pd si è fatto scavalcare dagli ex An, il M5S ha proposto una mozione diversa dal suo ddl, Sel nicchia e FI è contraria. Ma in commissione qualcosa sembra a muoversi. Obiettivo: ricalcolare i vecchi trattamenti faraonici coi parametri attuali.
La recita è andata in scena la settimana scorsa nell’Aula di Montecitorio. Sette mozioni presentate dai partiti per impegnare il governo a intervenire sulle pensioni d’oro, tutte puntualmente bocciate. Tranne quella – vaghissima – della maggioranza, l’unica a ricevere il parere favorevole dell’esecutivo. Nella quale sostanzialmente si afferma: il governo ha già preso provvedimenti, adesso monitori se i risultati arrivano e in caso corregga “eventuali distorsioni e privilegi”.
Il frutto avvelenato delle ristrette intese si ripercuote anche su uno degli obiettivi che il Partito democratico dovrebbe avere più a cuore: l’equità sociale. E ha ben poco da scalpitare Matteo Renzi che chiede un intervento deciso, visto che il Pd a Montecitorio è riuscito a farsi scavalcare perfino da Giorgia Meloni. Che difatti ha commentato ironica: «Se questi sono di sinistra, io sono Mao Tse Tung». La mozione iniziale dei democratici chiedeva infatti una trattenuta sulle pensioni oltre i 5mila euro da destinare alle fasce più deboli, ma è stata sacrificata per non perdere l’appoggio del Nuovo centrodestra.
Certo non è un caso se sulla questione il governo Letta ha fatto ben poco, nonostante le pensioni a cinque zeri restino uno dei temi più sentiti dall’opinione pubblica. Nella legge di stabilità l’esecutivo ha inserito un prelievo che di qui al 2016 toglierà rispettivamente il 6, 12 e 18 per cento alla parte che eccede 14, 20 e 30 volte il minimo Inps. A leggere i numeri sembra tanto, in realtà è un’inezia. Tanto per avere un’idea: appena 5 euro al mese per un pensionato da 91 mila euro l’anno e 50 euro al mese a chi ne riscuote 100 mila.
Un provvedimento che, secondo la relazione tecnica fatta dallo stesso governo, non frutterà più di 12 milioni di euro. Inoltre, per entità e modalità, si tratta più o meno dello stesso prelievo effettuato dal governo Berlusconi (confermato poi da Mario Monti) e già bocciato dalla Consulta, che ha definito incostituzionale il prelievo sui soli pensionati senza estenderlo anche ai lavoratori attivi.
EPPUR SI MUOVE
Intenti a piantare la propria bandierina anziché cercare un punto comune, i partiti di opposizione hanno favorito la reciproca bocciatura: i grillini hanno votato contro tutte le mozioni altrui, Lega e Fratelli d’Italia – che hanno proposte simili – hanno votato i rispettivi documenti ma respinto quelli degli altri, Sel e Forza Italia si sono astenute. Adesso, però, qualcosa sembra si muova.
A novembre la commissione Lavoro della Camera ha calendarizzato una proposta di legge presentata proprio dalla Meloni (la prima in ordine di tempo in questa legislatura) e nei giorni scorsi il testo è stato preso come bozza di partenza per elaborare un provvedimento condiviso dai partiti. L’assunto di base è minimal: i primi 5 mila euro sono “salvi”, per il resto nessun prelievo straordinario ma un semplice ricalcolo col sistema contributivo in vigore dal 1995. Insomma, come se ci si ritirasse dal lavoro oggi. Poi chi ha diritto a quanto percepisce, bene. Chi invece sta ricevendo dall’Inps più di quanto gli spetterebbe, vedrà decurtarsi l’assegno mensile. «La pensione dev’essere commisurata a quello che si è versato, a prescindere dall’importo. Il prelievo lineare è sbagliato» dice all’Espresso la Meloni. «Fra l’altro la Consulta non ha posto problemi di retroattività quindi problemi non dovrebbero essercene».
UNA RICETTA A PARTITO
L’esame del provvedimento inizia questa settimana e lo sbarco in Aula è fissato a febbraio, dopo la legge elettorale. Resta da vedere se sarà possibile trovare un’intesa, considerate le pressioni delle lobby e dal momento che tutti i partiti (a eccezione di Forza Italia, da sempre allergica al tema) propongono soluzioni assai differenti fra loro.
Il Movimento cinque stelle in Aula ha proposto un prelievo suddiviso in nove scaglioni: dallo 0,1 per cento per tutte le pensioni sotto i 3 mila euro fino al 32 per cento per quelle sopra i 322 mila euro. Un sistema che colpisce tutti in modo da evitare possibili contestazioni della Consulta e recuperare 1 miliardo e 142 milioni da destinare alle pensioni minime. Ben diversa però è la proposta di legge depositata, assai più vicina al “verbo” di Beppe Grillo e che ricorda il codice per i parlamentari: per tre anni, non più di 5 mila euro per tutti. Un provvedimento che, anche se divenisse legge, alla luce delle sentenze precedenti rischierebbe di essere cassato dalla Consulta.
Stesso discorso per la Lega nord, che vorrebbe fissare un tetto da 5 mila euro per le pensioni calcolate col sistema retributivo. In caso di più trattamenti previdenziali, la soglia sale a 8 mila euro. Scelta civica propone invece di intervenire oltre i 5 mila euro e di prelevare il denaro dalla parte “regalata” dal vecchio metodo di calcolo per la quale non sono stati effettuati versamenti.
E a sinistra? Guai a parlare di ricalcolo delle pensioni. Sel ad esempio nicchia. La deputata Titti Di Slavo ha denunciato il “populismo mischiato a falso egualitarismo” insito nella questione. Secondo i vendoliani, infatti, salvo qualche eccezione chi ha percepisce pensioni d’oro ha versato tanto e quindi ne ha diritto. Semmai, quindi, bisogna aumentare le aliquote sui redditi più alti, senza discriminare fra ricchi pensionati e non.
Il Partito democratico vorrebbe invece introdurre per un quinquennio un contributo di solidarietà basato su 17 aliquote progressive: si parte da 4 mila euro e si arriva fino alle pensioni da mezzo milione e oltre, su cui prelevare il 15 per cento. Tradotto in soldoni, un taglio da 40 mila a 34 mila euro al mese per i trattamenti più alti. Ma come spiegare questa avversione al metodo contributivo, che da quasi 20 anni vige per tutti gli italiani? La motivazione ufficiale è che sarebbe un provvedimento regressivo, perché le pensioni più basse sono in media più generose rispetto a quanto versato. Considerato che i trattamenti delle fasce più povere sarebbero però fatti salvi, si tratta di una giustificazione che non regge.
E allora è il caso di ricordare quanto in passato, proprio in tema di previdenza sociale, a sinistra abbia pesato la difesa di alcune sacche di privilegiati. L’intoccabilità dei baby-pensionati ai tempi del primo governo Prodi docet.