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CIBART/ Termoli, tra cibo e arte all’Officina Solare.

Si è inaugurata ieri a Termoli, nello spazio dell’Officina Solare, la mostra “Cibart” dedicata al connubio tra cibo e arte. Fa discutere “I Piaceri della Dama”, la foto erochic dell’artista molisana Alessandra Peri (immagine in apertura, ndr) che – secondo il critico Tommaso Evangelista – mette in scena “i giochi di luce e le ombre profonde” che sottolineano “lo stretto legame tra eros e alimentazione”.

di Tommaso Evangelista

L’Officina Solare è un’Associazione Culturale Onlus presente sul territorio di Termoli; non solo galleria d’arte ma spazio sperimentale, un laboratorio permanente della creatività dove confluiscono tutti i linguaggi artistici della contemporaneità. Lo spazio è una sorta di project room a disposizione del territorio molisano per la promozione e valorizzazione delle idee e delle figure locali e non solo.

Il nome “Officina Solare” deriva dal titolo di una scultura di Ettore Colla del 1964 presente nella Galleria d’arte Moderna di Roma ed è stato scelto, oltre che per omaggio all’artista, anche per il fascino della combinazione delle parole che rimandano sinteticamente all’idea di un luogo dove è possibile operare alla luce dell’esperienza e della pratica. Per l’estate la galleria ha programmato un ricco calendario di mostre ed eventi che ha voluto far iniziare proprio con una piccola collettiva inaugurata ieri, 30 giugno, alla presenza di tanti artisti del basso Molise e della zona di Isernia.

La mostra, tanto singolare quanto interessante, porta il nome di CibArt e vuole riflettere sul rapporto tra arte e cibo, una costante nella storia dell’arte. “L’uomo è ciò che mangia” (in tedesco, “der Mensch ist was er isst”). L’espressione ripresa da Feuerbach da un popolare gioco di parole “Man ist was Mann isst” (letteralmente: “Si è ciò che l’uomo mangia”) era a sostegno del suo materialismo radicale nell’affermare che sostanzialmente noi coincidiamo con ciò che ingeriamo e che siamo perché mangiamo.

Per il filosofo esiste un’unità inscindibile fra psiche e corpo e l’uomo, per accrescere le sue facoltà intellettuali, deve vivere in buone condizioni materiali: il cibo, infatti, porta con sé delle qualità che non si esauriscono nel momento fisiologico ma agiscono fin dentro la vita spirituale. Ma se vi è un così profondo legame tra alimentazione e vita, materiale e intellettuale, vi è un legame intimo anche con l’arte e con ciò che si produce/realizza?

Esiste indubbiamente un primigenio legame di dipendenza tra la produzione artistica e il cibo ed ha i suoi fondamenti nell’antropologia dato che si riferisce ai primi manufatti (ciotole, contenitori, vasi) realizzati dall’uomo: la loro superficie esterna, infatti, diventa ben presto uno spazio da arricchire e ornare con motivi geometrici. Dagli affreschi di Pompei alle serigrafie di Andy Warhol, passando per le nature morte del Seicento e le scene di genere del Settecento, il cibo indubbiamente è sempre stato un tema cardine sul quale riflettere, veicolo di iconografie religiose o semplicemente evocazione dei sensi. In epoca contemporanea questo rapporto, se vogliamo, si è fatto ancor più morboso.

Nel 1961 l’artista Daniel Spoerri partecipa allo sviluppo della corrente artistica Eat Art dove le opere andavano a mettere in evidenza il cibo e le nostre abitudini elementari ma lo stesso Warhol, con i suoi barattoli di zuppe Campbell’s o le bottiglie di Coca-Cola, ha inteso gli alimenti come simboli del consumo dandogli una veste pubblicitaria e uno stile antiestetico, quando non esplicitamente pubblicitario. E ci sono state riflessioni anche a livello teorico. Il Futurismo, nel suo tentativo di “ricostruzione dell’universo”, non può non interessarsi anche al cibo. Ultima delle “grandi battaglie artistiche e politiche spesso consacrate col sangue” di Marinetti e compagni è proprio la rivisitazione della cucina, rivisitazione intesa come la lotta contro l’”alimento amidaceo” (cioè la pastasciutta) colpevole di ingenerare negli assuefatti consumatori “fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo”.

Il Manifesto della cucina futurista uscirà il 20 gennaio 1931 ed è sicuramente tra i Manifesti più interessanti e innovativi del gruppo. Come si percepisce, quindi, l’argomento è molto vasto e affascinante da sviluppare. Una collettiva sul legame tra arte e cibo potrebbe sembrare un argomento quasi banale di riflessione poiché sostanzialmente saturato dalla “società dei consumi” che ha fatto dell’estetizzazione dei prodotti (e in particolare degli alimenti e dello stesso atto alimentare) un suo cavallo di battaglia. Se si eliminano però tante sovrastrutture ci si accorge che questa relazione ha basi ben più profonde e che tutta la storia dell’arte è ricca di citazioni, riferimenti, nessi tanto che il cibo, a buon diritto, si può considerare tra le iconografie più sfruttate nel corso dei secoli.

Le opere presenti in galleria spaziano dall’installazione alla scultura, dalla pittura alla fotografia, dimostrando un’attenta quanto originale recezione del tema, con tanto di riferimenti alla storia dell’arte o del costume e singolari rivisitazioni. Tra le sculture particolare la proposta di Michele Carafa, una sorta di focolare in marmo con tanto di ceppi, La paranza di Cleofino Casolino, omaggio alla celebre imbarcazione da pesca termolese, e la massiccia e potente caraffa in pietra di Walter Giancola.

Tra le tele poetica e velatamente esplicita l’opera di Cristina Valerio dal titolo Mordimi; l’iconico pesce di Nino Barone fa da contrasto con gli impalpabili paesaggi di Renato Marini e le geometrie di Francis Desiderio mentre le due opere delle sorelle Acciaro, racconti visivi ricchi di suggestioni, dialogano con i lavori di Mariangela Regoglioso e Carma più narrativi e materici.

Interessante l’installazione di Michele Peri, Dejeuner au Sud, omaggio alla celebre opera di Manet ma anche ai ricordi della propria terra: l’artista ricrea una sorta di panneggio rigido che posiziona per terra evocando i panni della protagonista del quadro; su questo spazio sottratto al mondo appoggia del cibo, frutta e dolci, una bottiglia di vino e delle noci che il visitatore è invitato a prendere entrando così direttamente in contatto col mondo dell’artista. Anche Antonio Marcovicchio presenta una singolare installazione giocata sul riflesso tra natura morta reale e dipinta. Significativa anche la sezione di fotografia e grafica.

Antonio Tramontano con Coboldo si ispira alle celebri invenzioni dell’Arcimboldi lavorando sulla specularità della foto nella creazione di un mostro di frutta; Mariagrazia Colasanto recupera l’aureola, tipica dell’iconografia dei santi, trasformandola però in un segno ironico e dissacrante formato da tanti orsetti di gomma; Alessandra Peri, infine, realizza uno scatto dalla forte componente sensuale dove si percepisce tra i giochi di luce e le ombre profonde, in maniera tangibile, lo stretto legame tra eros e alimentazione. La collettiva, il cui ingresso è gratuito, rimarrà aperta fino al 12 luglio tutti i pomeriggi dalle ore 19 alle 20.30 e di sicuro suggerirà stimoli curiosi di riflessione e forse accenderà anche un poco l’appetito.