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SPRECHI/ La macchina elettorale? Costo: 400 milioni. Tra pratiche medievali e 16mila candidati

Mettici le 370 mila matite copiative (per un costo stimato di oltre 150 mila euro) pur essendo nell’era digitale, mettici una mole impressionante di carta, cartone, buste e timbri; aggiungici un numero impressionante di candidati, liste e coalizioni (oltre sei mila nomi in più rispetto al 2008, per l’incredibile cifra di 16mila candidati); mettici poi la coincidenza anche con le regionali in Molise, Lazio e Lombardia. E il gioco è fatto. Per la precisione saranno 389 i milioni che lo Stato spenderà per la tornata elettorale di domenica e lunedì prossimi. Una montagna di soldi. Un aumento, rispetto alle precedenti politiche del 2008, di circa l’11 per cento (circa trenta milioni di euro in più). Eppure sarebbe bastato un po’ di buonsenso e un briciolo di digitalizzazione che manca solo al nostro Paese.

 

di Carmine Gazzanni

Non c’è che dire. È paradossale che questo avvenga proprio nel pieno del vento di antipolitica. Eppure, secondo il rapporto pubblicato da Il Sole 24 Ore, le operazioni di voto di domenica e lunedì prossimi costeranno alle casse pubbliche circa 400 milioni di euro. Trenta in più rispetto all’ultima tornata del 2008.

 

CARTE, CARTONI, BUSTE, PLICHI, MATITE COPIATIVE. LE PRATICHE MEDIEVALI DI VOTO CHE COSTANO UN OCCHIO DELLA TESTA – Tanti i motivi che hanno determinato l’aggravio per il bilancio dello Stato, alcuni paradossali. A cominciare dal fatto che, nell’era del digitale, le votazioni sono perfettamente simili a come si svolgevano cinquant’anni fa. Basti d’altronde sfogliare le “istruzioni per le operazioni degli uffici elettorali” per rendersi conto che parole come “internet”, “web”, “virtuale” non compaiano praticamente mai. A differenza, invece, delle “urne di cartone di colore chiaro” che “recano lo stemma della Repubblica e la scritta ‘Ministero dell’interno – Dipartimento per gli Affari interni e territoriali – Direzione Centrale dei Servizi elettorali’ “; o del “plico sigillato contenente il bollo della sezione” o delle “tre copie del manifesto contenente le liste dei candidati della circoscrizione”; senza dimenticare “i pacchi delle schede che al sindaco sono stati trasmessi sigillati dalla prefettura, con l’indicazione sull’involucro esterno del numero delle schede contenute”. Insomma, tanti (troppi) fogli. Per carità, di ottima fattura, come specificato nel documento ministeriale: le schede saranno “di carta consistente”, le urne “di cartone ondulato o altro materiale consistente, di colore chiaro o trasparente”. Ma comunque stiamo parlando di una montagna di carta tra schede, registri, bustine e bustone.

Nel 2013 un passo in avanti nella digitalizzazione del voto si sarebbe potuto anche fare. Almeno così è stato negli altri Paesi. In Brasile usano dal 1996 la Dre, la Registrazione diretta elettronica: una sorta di bancomat, con una tastiera per inserire un codice personale, uno schermo con il nome dei candidati e anche l’apposita ricevuta. In India sono gli scrutatori a raggiungere i tanti villaggi con un tablet touch screen, facendo votare chi altrimenti non potrebbe. In Estonia, grazie alla carta d’identità digitale, i cittadini votano direttamente dal computer di casa. Eppure anche nel nostro Paese qualcuno ne aveva parlato. Un giovanissimo Pierferdinando Casini, nel 1983, promise che “presto” avremmo usatoun sistema simile al Totocalcio”. Lo stesso fece anche Roberto Maroni, appena sbarcato al Viminale nel 1994: “vi prometto che le Regionali dell’anno prossimo si faranno con il sistema elettronico”. Parole, ovviamente, portate via dal vento.

A questo punto si dirà: cosa c’entra tutto questo con la storia dei 389 milioni di euro? C’entra eccome. Tra carta, cartone, plichi, urne e timbri, la spesa per lo Stato sarà milionaria. Basti pensare che le schede stampate saranno, in totale, circa 133 milioni, includendo sia le politiche sia le regionali: un numero di oltre il 20% superiore al corpo elettorale e che tiene conto dei casi in cui, per qualsiasi evenienza, possa esserci bisogno di schede “di scorta”. Senza dimenticare le tanto discusse “matite copiative”: sei per ogni seggio, per un totale di 369.576 pezzi distribuiti a livello nazionale. Facciamo conto che ciascuna di queste matite costi alle casse pubbliche anche solo 50 centesimi. Già arriviamo a oltre 150 mila euro.

 

SEGGI E COSTI DEL PERSONALE AUMENTATI VERTIGINOSAMENTE – Non è questo, però, l’unico motivo per cui la spesa elettorale è destinata a crescere. Tante, infatti, le ragioni che hanno determinato l’aggravio per il bilancio dello Stato. A cominciare dal numero dei seggi: se nel 2008 erano 61.225, a distanza di cinque anni saranno 61.596 (371 in più). Costi aggiuntivi per lo Stato, dunque. Basti pensare che ciascuno di questi seggi – secondo Il Sole 24 Ore – costerà circa 6.315 euro, con un aumento del 13,2% rispetto alle votazioni di cinque anni fa (quando il costo era di 5.578 euro).

Senza dimenticare, ancora, la retribuzione per le sei persone incaricate di presidiare i seggi (un presidente, un segretario e quattro scrutatori) che riceveranno, come si evince dalla Circolare F.L. 1/2013 del Viminale, 170 euro nel caso del presidente, 145 per tutti gli altri. Compensi, peraltro, che saranno maggiorati – rispettivamente a 224 e 170 euro – nel caso di concomitanza con le regionali. Evento che accadrà nei 2.058 comuni coinvolti nelle tre regioni in cui si andrà al voto (Lazio, Lombardia e Molise).

 

L’IMBARAZZANTE ESERCITO DI CANDIDATI – L’aspetto più comico e inquietante insieme di questa tornata elettorale, però, è il numero di coloro che si presenteranno alle politiche. Altro che vento dell’antipolitica, responsabilità morale, senso civico e tante altre frottole a cui siamo stati abituati in quest’ultimo periodo. Subito un dato per capirci: i candidati per i seggi di entrambe le aule sono i due terzi in più rispetto alle politiche di cinque anni fa. Tra Camera e Senato si presenteranno più di 16mila candidati: quasi 6.200 in più rispetto alle ultime politiche, quando in totale non si andò oltre quota 10mila. Solo alla Camera d’altronde stiamo parlando di ben 10.812 nomi (quasi il 70% in più rispetto al 2008). A Palazzo Madama, invece, i candidati in più crescono del 51% (5.282 contro 3.492).

Insomma, i cittadini che si recheranno al voto troveranno sulle schede elettorali molti più nomi di quelli che c’erano nel 2oo8. E molte più liste: saranno 47 alla Camera e 75 al Senato, contro i 7o simboli totali, equamente divisi tra i due rami del Parlamento, presenti sulle schede alle scorse politiche.

Nessuno però sembra alzare la voce un minimo sull’imbarazzante questione (nemmeno i grillini dato che pure loro aiuteranno ad alimentare spese e numeri non proprio – per dirla con loro – “antipolitici”). Fa niente. Tanto a pagare sarà il cittadino. L’unico vero sconfitto di questa campagna elettorale.