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DANIELE POTO/ “Le Mafie nel Pallone”. Anche in Molise….

La rivelazione è di quelle scioccanti: nel libro-inchiesta di Daniele Poto, “Le Mafie Nel Pallone” si parla anche di Molise, dove “ci sono episodi di società minori che sono ancora sotto la lente della magistratura”. Tutte le Mafie sono impegnate nel business pallonaro: hanno capito da tempo come questo sport possa diventare una gallina dalle uova d’oro per riciclare le enormi quantità di denaro sporco. Con casi limite, come quello di Potenza

di Andrea Succi

Vent’anni di giornalismo con Tuttosport sono più che sufficienti per capire i meccanismi di uno sport – il calcio – che non riesce proprio a restare fuori dai guai. Anzi, li attrae. E questi guai si chiamano Mafie. Che si portano dietro tutto il kit del perfetto criminale: riciclaggio di denaro, partite truccate, scommesse clandestine, intimidazioni, assunzioni sospette… “Le Mafie Nel Pallone” è il titolo del libro inchiesta – a firma Daniele Poto – edito dal Gruppo Abele di Don Ciotti. Pochi giorni sono passati dalla notizia di una presunta combine tra Albino Leffe e Piacenza, che avrebbero aggiustato sul 3 a 3 una partita finita sotto inchiesta. E poche settimane fa, a dicembre 2010, la Gazzetta dello Sport raccontava della nuova “Gomorra del calcio”. Le illegalità, nella sfera rotonda, non passano mai di moda, a cominciare “dal primo scandalo del calcio scommesse – nel 1980 –che mostrò all’Italia come calciatori importantissimi del calibro di Paolo Rossi, Albertosi, Wilson e Giordano, potevano truccare le partite.”

E oggi? Cosa succede allo sport più amato dagli italiani?

 

“Le mafie nel pallone” : il titolo è piuttosto esaustivo.

L’idea del libro è venuta a Don Luigi Ciotti, personaggio carismatico e fondatore di Libera. Inizialmente doveva essere un instant- book, poi è diventato un libro perché abbiamo deciso di dare una dimensione più ampia al fenomeno. E quindi vengono raccontate anche le radici storiche del calcio illegale, che partono dal primo scandalo del calcio scommesse – nel 1980 –che mostrò all’Italia come calciatori importantissimi del calibro di Paolo Rossi, Albertosi, Wilson e Giordano, potevano truccare le partite. Il calcio diventava un gioco truccato.

Nell’80 erano stati coinvolti personaggi della massima serie, stavolta qual è la situazione?

Naturalmente i provvedimenti di giustizia ordinaria o di giustizia sportiva avevano pensato di poter mettere un freno a questa metastasi del calcio scommesse; in realtà vediamo che ogni 3/ 4 anni c’è una recrudescenza del fenomeno, anche se non sono stati più coinvolti giocatori di quel nome ma più spesso calciatori a fine carriera. Ci sono campionati lontani dalla luce dei riflettori, dove è più facile portare a compimento operazioni di calcio truccato, di match fixing come si dice in inglese. A farne le spese è soprattutto la Lega Pro  dove molte, troppe, partite non vengono più quotate, dove si parla di una Juve Stabia – Sorrento (5 Aprile 2009: come previsto finì con la vittoria, 1 a 0, dei padroni di casa, ndr) influenzata dalla camorra. A dicembre 2010 si è registrato l’arresto di Cristian Biancone e Vitangelo Spadavecchia, calciatori professionisti che – secondo le accuse della DDA di Napoli – hanno contribuito a influenzare l’esito delle partite volere della camorra. Quindi il fenomeno è tutt’altro che debellato.

Nel tuo libro c’è un caso al limite dell’inverosimile.

Il caso limite del mio libro è Potenza, non a caso una squadra di Lega Pro. Giuseppe Postiglione, un giovane presidente di 27 anni – il più giovane presidente del calcio professionistico – prese in mano la società nel 2006 e nel giro di soli 3 anni l’ha praticamente distrutta, esercitando tutte le possibilità illegali legati al gioco del calcio. Ne enumero alcune: partite truccate, gli è stato trovato un tesoretto di 600 mila euro depositato nelle banche di Montecarlo; sinergia con il numero uno della mafia lucana, Antonio Cossidente, legato alla ‘ndrangheta; assunzione nella security della squadra di personaggi malavitosi legati al clan di Cossidente; lo sfruttamento della squadra di calcio attraverso agenzie di scommesse che esercitavano giocate su partite regolari e non. L’ingresso nel mondo del calcio ha consentito  anche a Postiglione di entrare nella loggia di Moggiopoli, conoscere in anticipo i risultati di alcune partite di serie b e incrementare il proprio fatturato. Per non parlare delle intimidazioni che subivano le squadre che venivano a giocare a Potenza. Sono episodi che la giustizia ordinaria ha collezionato, c’è un capitolo clamoroso di intercettazioni, ci sono 800 pagine di rapporto. Il processo è ancora alle prime battute.

Quali sono i meccanismi che regolano la Gomorra del calcio?

La camorra usa metodi “tradizionali”. Ti citavo Biancone e Spadavecchia (entrambi ex giocatori del Sorrento, ndr) non a caso. I giocatori chiave, che in una squadra di calcio in genere sono il centravanti e il portiere, cioè quello che fa gol e quello che dovrebbe impedirli, sono determinanti per il risultato finale. Biancone era attaccante, Spadavecchia portiere. Postiglione, invece, ricorreva a metodi ancora più singolari, perché alla vigilia di partite che il Potenza doveva perdere escludeva di forza i giocatori più rappresentativi, rendendo la squadra vulnerabile. La sconfitta, quindi, poteva avere una sua logica tecnica, tutto sommato risultava plausibile. Naturalmente Postiglione trovava delle scuse: ad esempio, alla vigilia di una partita con una squadra campana, aveva escluso alcuni giocatori dicendo che potevano avere una compromissione con la propria squadra. Quindi depistava completamente, accusando altri di truccare le partite. E invece era lui il manovratore…

Come hanno reagito gli uomini di calcio di fronte alle intimidazioni e alle esclusioni?

Io purtroppo sono arrivato a conclusioni molto deludenti riguardo alla collaborazione degli addetti ai lavori. Il senso comune suggerisce quanto omertà ci sia non solo nella tifoseria ma anche nei calciatori, che ricavano un assoluto benessere dalla frequentazione del mondo professionistico, soprattutto se hanno carriere lunghe. Riescono a proiettare questo benessere non solo sulla loro famiglia ma addirittura sulle seconde e terze generazioni. C’è un flusso di denaro enorme. I calciatori cascano sempre in piedi, ci sono ricchezze talmente grandi che anche alla fine della carriera sarà difficilissimo trovare il pentito, un collaboratore di giustizia sportivo calcistico che purtroppo è una figura inesistente.

Quali sono le mafie coinvolte in questo affare?

Tutte.  Ma naturalmente c’è un pericolo che si spinge in regioni apparentemente  non contaminate, come la Lucania, definita per errore un’area felix.  Quando Chinaglia tentò la scalata alla Lazio, era sfruttato dai Casalesi, che misero a disposizione 27 milioni di euro per scalzare Lotito dalla Lazio, piano poi non riuscito. Nel mio libro ci son altre regioni del sud: c’è il Molise, c’è l’Abruzzo… Credo che in  futuro dovremo aspettarci che emergano episodi legati al Nord Italia, dove ci sono i grandi capitali. La mafia non entra nel calcio per discorsi moralistici, o perché interessata allo sport o al gioco, ma per fare grandi affari e il Nord in questo senso è un obiettivo privilegiato.

Che cosa hai riscontrato nella realtà cacistica molisana in questo senso?

Ci sono episodi di società minori che sono ancora sotto la lente della magistratura. In Abruzzo c’è il caso del piccolo club di Pescina Valle del Giovenco, entrato nell’orbita di interesse di Federmeccanica, una grande industria del paese però coinvolta in traffico e riciclaggio di denaro. E anche una piccola squadra può diventare oggetto di interessi criminali, perché il riciclaggio – nel calcio – è un’operazione molto gettonata.

Tu sei un appassionato di calcio? Come ti rapporti a questo sport, che – da quello che hai scritto – è più simile a un intrigo che altro…

Onestamente mi riesce difficile appassionarmi, forse lo sono stato anni addietro, ma quando metti l’occhio dal buco della serratura e vedi il calcio in maniera critica, ti viene la voglia di riaccostarti a sport minori o dilettantistici. Nella nostra storia  recente, abbiamo campioni olimpici di Pentathlon lontani dai divismi del calcio, persone che sbarcano il lunario come tantissimi italiani, persone ammirevoli che per diventare medaglia olimpica hanno fatto chissà quanti sforzi rispetto ai calciatori. Purtroppo la verginità del calcio è ormai perduta, le cifre si stanno gonfiando sempre più, gli stadi si svuotano in nome della grande bolla dei diritti televisivi. Stiamo assistendo a una trasformazione antropologica del tifoso, che naturalmente fa i conti con la omologa tessera e con tanti problemi di sopravvivenza e identità.

Sei un tifoso o sei stato tifoso?

(ride)

Andiamo sul personale… Sono stato un simpatizzante, non un tifoso, perché per 35 anni ho fatto il giornalista sportivo per Tuttosport e quindi non mi potevo permettere realmente di essere tifoso. Simpatizzavo per la Roma, che però da qualche anno è una squadra come tutte le altre. Questo marcio che passa nel calcio transita anche per la società per cui puoi simpatizzare e che ha un Presidente, Rosella Sensi, dominata più dall’interesse che dalla passione, se si è auto attribuita a suo tempo uno stipendio da 1 milione e mezzo di euro. Una passione col beneficio dell’inventario…

E allora quale può essere la salvezza per questo calcio che in Italia sembra troppo malato?

Purtroppo io soluzioni pronte non ne ho e indietro non si torna. Probabilmente un ponte più efficace tra giustizia sportiva e giustizia ordinaria permetterebbe di controllare meglio il fenomeno. Eppure, anche le istituzioni sonnecchiano: non mi pare che ci sia una grande spinta propulsiva da parte della Federcalcio, che spesso subisce, da fuori, provvedimenti di ordine pubblico, senza avere una propria linea. In questo senso sono piuttosto pessimista per il futuro del calcio. Come non ci si può aspettare che le mafie si autoelimino, così non ci si può aspettare che il calcio migliori se qualcuno non ci mette le mani.

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