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NUCLEARE/ A chi conviene? Il grande accordo Enel – EDF

Cerchiamo, a questo punto, di entrare in merito all’unico vero motivo, forse, di questa pressione smodata sul nucleare. Come già abbiamo ricordato nei precedenti articoli, l’Italia, nel febbraio 2009, sigla un accordo con il governo francese tramite il quale annuncia l’intenzione di costruire i primi quattro impianti di terza generazione, con la partecipazione di ENEL insieme al suo corrispettivo francese EDF (Electricité de France). Ma d’altronde in quel periodo questo non è l’unico accordo che stringono Sarkozy e Berlusconi.

di Carmine Gazzanni

Nell’aprile dello stesso anno, infatti, si tiene un vertice bilaterale tra Italia e Francia a Parigi. Gli accordi firmati sono ben venti: dalle ferrovie alla difesa, fino all’immigrazione. Certamente, però, di importanza strategica è l’accordo sul nucleare: su questo tema, addirittura, i due Paesi giungono a firmare ben undici atti che prevedono il rientro dell’Italia nel nucleare, ma un rientro non in un nucleare qualsiasi, bensì in uno squisitamente francese: gli accordi, infatti, sono a livello di industria, formazione e sicurezza, con l’uniformazione del sistema industriale italiano a quello transalpino.

Una precisazione. Nel protocollo si parla di “regolare sistema di scambio di informazioni fra le due agenzie nazionali competenti in materia (Ispra e Asn, ndr)” e ancora di “reciproco interesse”. Come se il rapporto fosse a doppio senso. Ma, in realtà, non è affatto così: l’Italia è fuori dal nucleare dal 1987, per cui questo scambio d’informazioni appare essere a senso unico; certamente dunque gli italiani non solo si adegueranno ai francesi, ma finiranno con l’esserne sempre più dipendenti. L’Italia, in altre parole, non farà altro che importare la tecnologia francese EPR (di terza generazione).

Ma allora cosa ne ricaverà l’Italia? È vero quanto affermato in chiusura del meeting italo – francese da Scajola (“Io se potessi scegliere dove mettere una centrale, me la metterei nel giardino di casa, per un semplice motivo: che in tutto il mondo, dove è stata costruita una centrale nucleare, è cresciuta l’economia del territorio e c’è stata una grande salvaguardia dell’ambiente, perché non ci sono emissioni”)? Chiaramente, anche per quanto ricordato nei precedenti articoli, sono dichiarazioni che non hanno nessun riscontro nella realtà.

Cerchiamo, allora, di capire quali sono le aziende che guadagneranno dalla costruzione delle quattro centrali. L’accordo, come detto, è stato firmato da ENEL e EDF. Se il nostro Governo fosse stato davvero interessato alle questioni energetiche non avrebbe mai consentito alla costruzione di un EPR (per i motivi già ricordati) e, soprattutto, non sarebbe mai giunta a patti con l’EDF. Perché? Ricordiamo alcune vicende passate dell’azienda francese. Nel 2009 la società elettrica francese, per la maggior parte di proprietà statale, è finita sotto inchiesta perchè sospettata di aver spiato Greenpeace Francia attraverso una società di security chiamata Kargus Consultants (proprio dalle rivelazioni di un dipendente della KC è nata l’inchiesta).

E non è tutto: nell’ottobre del 2009 l’EDF finì al centro di un’ altra inchiesta, nata questa dalle rivelazioni del quotidiano “Liberation” riguardo la discarica di scorie nucleari a cielo aperto in Siberia. Il documentario raccontava che già da metà degli anni Novanta la Francia inviava in Russia 108 tonnellate di uranio impoverito all’anno nel sito nucleare di Tomsk-7, una città fantasma, “proibita ai giornalisti”, nella quale, secondo i cronisti, il riprocessamento dell’uranio impoverito produceva solo il 10 per cento di materiale riutilizzabile da Edf, mentre il 90 per cento dei residui radioattivi venivano  stoccati su dei grandi parcheggi a cielo aperto.

Insomma, non è certamente una società di cui fidarsi ciecamente. Eppure l’Italia l’ha fatto. Perché mai? Una risposta eloquente l’ha forntia Beppe Grillo nel’ultima puntata di “Annozero”. Secondo il comico l’Italia ha ceduto “511 miliardi di euro del nostro debito” alla Francia; in questa maniera Sarkozy può facilmente avere il pugno di ferro negli affari da stipulare con l’Italia e sul suolo italiano.

Ma l’accordo sarà vantaggioso non solo per l’EDF, ma anche per le aziende italiane, su tutte l’ENEL. L’azienda energetica italiana, infatti, sembrerebbe andare incontro a guadagni colossali se il progetto Italia-Francia andasse in porto.

Dopo la tragedia nipponica, l’amministratore delegato di ENEL, Fulvio Conti, aveva dichiarato che “continuiamo a essere impegnati nei confronti del nucleare italiano. Chiaramente è un programma di lungo termine, si basa su tecnologie di terza generazione avanzata”; ed è proprio per questo che è necessario non “reagire in maniera emotiva, come successo altre volte: dobbiamo avere attenzione verso tutte le tecnologie e non si può escludere il nucleare”. Il discorso, però, pare essere un altro: non è l’Italia a non poter fare a meno del nucleare, ma l’ENEL stessa.

Secondo gli ultimi dati pare proprio che l’azienda energetica italiana non navighi in acque sicure. Secondo il rapporto realizzato dal professor Steve Thomas nel 2010, il debito finanziario netto a livello di gruppo era pari a 12,3 miliardi di euro nel 2006; nel 2007 esso era aumentato all’elevatissimo importo di 55,8 miliardi e al 30 giugno 2010 esso si collocava ancora intorno ai 53,9 miliardi di euro. In pratica, l’ENEL, sebbene abbia forti interessi, oltreché in Italia, anche in Spagna, nei Paesi dell’Europa dell’Est e dell’America Latina, risulta essere una delle società più indebitate di tutto il continente europeo. La ragione fondamentale di tale salto nel 2007 è da attribuire all’acquisizione, avvenuta nello stesso anno, della quota di controllo della spagnola Endesa, costata circa 40 miliardi di euro. La società ha come obiettivo dichiarato quello di riportare il livello dell’indebitamento a 39 miliardi nel 2014, valore comunque molto alto (basti pensare che la stessa EDF, ad esempio, ha un debito assolutamente inferiore che si aggira intorno ai 25 miliardi di euro), ma che permetterebbe all’ENEL di evitare un possibile abbassamento del rating da parte delle agenzie internazionali.

E cosa c’entra il nucleare in tutto questo? L’accordo stipulato dall’Italia prevede che le quattro centrali saranno soltanto il primo passo del ritorno massiccio del nucleare in Italia. Infatti, l’obiettivo dichiarato è quello di arrivare a produrre dall’atomo il 25% dell’energia elettrica. Ma per fare questo serviranno almeno dieci centrali; considerando, poi, che per la costruzione di una sola centrale di terza generazione i costi si aggirano tra i tre e i cinque miliardi di euro, si arriverebbe ad una spesa totale che potrebbe superare i 50 miliardi di euro (non bisogna dimenticare, infatti, anche gli impianti di produzione del combustibile e il deposito per lo smaltimento delle scorie).

Un finanziamento colossale, dunque, che sarà certamente in larga parte pubblico. Infatti, stando al rapporto del professor Thomas, per quanto riguarda l’azionista pubblico, i suoi dividendi sono stati sensibilmente ridimensionati proprio per diminuire il livello dell’indebitamento nei prossimi anni; ma questo ha portato da una parte alla riduzione delle entrate dello Stato italiano per circa 1,25 miliardi di euro l’anno, e dall’altra ad un maggior peso economico sui contribuenti, i quali hanno già versato 2,5 miliardi per l’aumento di capitale effettuato nel 2009. È facile dunque immaginare che il peso di questa “nuclearizzazione” sarà tutto sulle nostre spalle. Ennesima balla, allora: non è affatto vero, com’è stato detto, che con il nucleare le bollette sarebbero calate drasticamente (addirittura del 25-30%). È ipotizzabile, semmai, il contrario.

E tutto questo, sembrerebbe, per far riemergere economicamente l’ENEL. Una riemersione per la quale l’azienda energetica può contare anche sull’apporto della Santa Sede e dei suoi affari. Vediamo di capirci meglio. Lo scorso 19 gennaio i lettori di alcuni quotidiani locali si trovano davanti ad un articolo: “La chiesa e il nucleare”. Nel testo erano riportate le dichiarazioni del cardinale Renato Martino, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace: “L’energia nucleare non va guardata con gli occhi del pregiudizio ideologico, ma con quelli dell’intelligenza, della ragionevolezza umana e della scienza, accompagnate dall’esercizio sapiente della prudenza, nella prospettiva di realizzare uno sviluppo integrale e solidale dell’uomo e dei popoli”.

Una linea, questa, seguita anche da Papa Ratzinger che “nell’Enciclica Caritas in Veritate ha fatto riferimento a questa energia del futuro”, auspicando l’uso a fini pacifici della tecnologia nucleare. “Le opere dell’ingegno, quindi anche le conquiste nel campo nucleare, vanno poste al servizio della famiglia umana”, specifica Martino. Insomma, il Vaticano da’ il suo placet al nucleare. E non finisce qui: le stesse parole sono state lette da migliaia di altre famiglie che hanno ricevuto a casa un opuscolo altrettanto favorevole all’atomo, 47 pagine dal profetico titolo “L’energia per il futuro”. All’interno, dieci domande e risposte per rassicurare i cattolici: il nucleare è cosa buona e giusta.

È evidente a questo punto: c’è qualcosa che non torna. Ma basta farsi alcune domande per darsi altrettante risposte molto eloquenti: chi è stato il primo sponsor che ha investito su Radio Vaticana? Enel. Di chi sono i pannelli su San Pietro? Enel. Altra casualità a dir poco incredibile: gli eventi religiosi e gli spot pubblicitari promossi dalla Santa Sede sono gestiti da un’agenzia di comunicazione, la Mab.q. Ora attenzione: quale altra azienda è cliente della Mab.q? Risposta scontata: ENEL, appunto.