Storytelling su Lifestyle, Sport, Tech e Food

GRANDI OPERE/ Gli interessi mafiosi e le connivenze con gli imprenditori

Gli interessi mafiosi nei grandi appalti sono certamente determinanti anche nei ritardi per l’ultimazione delle opere. A conferma di quanto detto, basti ricordare i dati di cui già parlavamo prima: su 395 opere incompiute sparse un po’ per tutta Italia, ben 156 sono in Sicilia, 53 in Calabria, 39 in Puglia e 28 in Campania.

di Carmine Gazzanni

Nel dossier redatto dalla “Fondazione Res” si evince una forte connivenza tra mafie, piccole imprese locali e grandi imprese (soprattutto dell’area centro-nord del Paese): una fitta rete di interessi responsabile di affari, clientele e quant’altro porti i lavori ad uno stato di stallo da cui difficilmente si uscirà. Essenzialmente il meccanismo messo in pratica è il seguente: “una volta aggiudicatosi l’appalto, per realizzare concretamente i lavori, la grande impresa li suddivide in subappalti, affidandoli in molti casi – documentati da indagini giudiziarie – a imprese locali ‘consigliate’ dai gruppi criminali”.

E cosa ci guadagnano le criminalità organizzate? La fetta più grande, chiaramente. In cambio di questo servizio, essi pretendono alcune contropartite che vanno da un corrispettivo in denaro, all’imposizione delle forniture, alla monopolizzazione dei lavori di subappalto, alla “segnalazione” di persone di fiducia da assumere.

D’altronde, non è un mistero: il più grande business per le mafie è proprio il settore edile. È quanto rivela anche la Corte dei Conti che, nella relazione di controllo sulla “Gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata”, dichiara appunto che il settore edilizio “è il più aggredito” poiché “permette di investire e riciclare somme ingenti con una certa facilità”; il campo immobiliare “fa da sponda naturale agli investimenti nelle costruzioni, creando una rete che va dalla produzione alla vendita del bene”. I dati parlano chiaro: dal 2006 al 2009 il valore dei beni confiscati alle criminalità organizzate sono stati molto elevati: circa 450 milioni di euro alla mafia (il 59% del totale), circa 190 milioni alla camorra (26%) e 90 milioni alla ‘ndrangheta (12%). Cifre, chiaramente, molto indicative.

Ma l’interesse dei gruppi criminali per i grandi appalti non è riconducibile esclusivamente al guadagno economico dei lavori. Si legge ancora nel dossier: “oltre a mettere le mani su un ricco piatto, l’appalto pubblico, proprio per la sua complessità e per il suo legame col territorio, risulta utile anche per alimentare e rafforzare il controllo che i mafiosi esercitano sulla società locale”. Non si parla, infatti, soltanto del controllo e della fornitura di calcestruzzo (di cui comunque le mafie sono grandi produttori. Un esempio: Michele Zagaria, boss indiscusso della camorra, è stato definito dalla Dda di Napoli il re del cemento), ma anche delle forniture del gasolio, del servizio mensa per gli operai, degli abiti da lavoro, della vigilanza e di altri aspetti marginali dell’indotto. In questo modo “i mafiosi ribadiscono la loro centralità nella rete relazionale locale, guadagnandoci in reputazione, stima e riconoscenza da parte dei soggetti che grazie a loro, in un contesto occupazionale difficile, si procurano una preziosa occasione di lavoro”.

Ci si potrebbe chiedere a questo punto come mai nessuno faccia niente, come mai il meccanismo criminoso continui indisturbato. Due i motivi: innanzitutto è necessario precisare che le norme specificamente mirate alla prevenzione e alla repressione delle infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici “non sembrano essere le più inflessibili ed efficaci”. In definitiva – continua il dossier – nel campo dei grandi appalti pubblici i gruppi criminali si trovano particolarmente a loro agio in quanto su questo terreno essi possono mettere pienamente a frutto le loro due principali specializzazioni: l’uso della violenza e lo sfruttamento delle relazioni sociali da essi intessute.  Inoltre, però, bisogna considerare che tale meccanismo affaristico-clientelare è a somma positiva: dai mafiosi ai controllori pubblici, ai subappaltatori, alla grande impresa nazionale, a condizione di non essere scoperti dagli apparati investigativi, tutti hanno un guadagno assicurato dalla partecipazione al gioco. Un’omertà che conviene, dunque. A tutti, tranne alla collettività, che, a causa di questi accordi collusivi, si ritrova ad usare infrastrutture di cattiva qualità e con un costo superiore a quello necessario.

Ultima precisazione: come detto, dati alla mano, gli interessi criminali nell’edilizia sono concentrati per lo più nelle aree a tradizionale presenza mafiosa, ma non bisogna pensare che il Nord sia un’isola felice. Ne sono un esempio Lombardia e Veneto (proprio quelle regioni le cui amministrazioni non si pongono il problema minimamente).

Addirittura in Veneto infiltrazioni mafiose abusiviste risalgono al 1998, quando a Caorle venne arrestato Costantino Sarno, sospetto boss della camorra che aveva dato vita a una cellula camorristica attiva tra il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia. La commissione parlamentare antimafia all’epoca parlò di “illegalità nell’assunzione di manodopera e alcuni attentati a danno di cantieri o agenzie immobiliari ricollegabili all’aggiudicazione di lavori edili”. Nello stesso anno nel Bellunese “alcuni pregiudicati pugliesi affiliati alla Sacra corona unita, al fine di assicurarsi il controllo su ditte facenti capo a cittadini pugliesi, imponevano l’assunzione di operai che percepivano stipendi senza, di fatto, lavorare e che erano incaricati di riscuotere il provento delle estorsioni”. E per quanto riguarda quest’anno? Ecco cosa si legge nella relazione 2009 della Direzione nazionale antimafia (Dna): si mantiene alto lo “stato d’allerta in funzione di possibili inquinamenti da parte di organizzazioni facenti capo a Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra, vuoi del tessuto finanziario attraverso immissione nello stesso di capitali di illecita provenienza, vuoi di quello economico imprenditoriale attraverso l’inserimento di ditte direttamente od indirettamente collegate a quelle organizzazioni nelle grandi opere in corso di svolgimento in quel territorio”. Mentre nel rapporto della Direzione investigativa antimafia (Dia) del primo semestre 2010 si  afferma che “le condizioni di benessere presenti nella provincia trevigiana costituiscono un polo di attrattiva per le compagni criminali, che investono in attività commerciali o proprietà immobiliari i proventi illeciti”. Insomma, forte abusivismo, forte presenza mafiosa.

Lo stesso dicasi per la Lombardia: ne è un esempio il comprovato interesse delle criminalità malavitose per l’Expo. Ma l’abusivismo edilizio legato alle organizzazioni mafiose non è solo Expo: il 25 febbraio 2010, ad esempio, è partita un’inchiesta che ha dimostrato che la giunta del sindaco Loris Cereda (sindaco di Buccinasco, paese a Sud di Milano) tra il 2008 e il 2009  ha affidato appalti per circa 40.000 euro a un’impresa edile legata alla cosca Barbaro-Papalia. Altri 15.000 euro di denaro pubblico sono finiti, invece, a un’impresa di catering legata alla società di Alfredo Iorio, coinvolto anche in un’altra inchiesta che tocca la ‘ndrangheta. Ma la zona lombarda e soprattutto milanese, stando a quanto rivelato da MilanoMafia, fa registrare la presenza di altri esponenti illustri. Tutti legati all’edilizia. Sempre a Sud di Milano abbiamo la presenza della cosca Muià-Facchineri; a Nord, invece, lavorano i fratelli Mandalari, Nunzio e Vincenzo, i quali “specializzati in edilizia, hanno il loro quartier generale nella zona di Bollate”. A Monza, invece, ritroviamo i Moscato, “costruttori con legami di parentale con il boss di Melito Porto Salvo, Natale Iamonte”. E tra questi spicca il “taycoon dell’edilizia, coinvolto, ma poi prosciolto, in un indagine di ‘ndrangheta di metà anni Novanta”, Nicola Moscato.