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Quando Pasolini disse: “Difendi, conserva, prega”

Pasolini

Pasolini fu sempre scandaloso e lo scandalo è l’essenza della sua opera. ”Saluto e augurio” è l’ultima “oscena” poesia del poeta friulano. Si rivolge ad un giovane neofascista, e non ad “capellone” ribelle, e lo invita a difendere la tradizione, a difendere, conservare e a pregare.

 

Radicale, marxista, ma poco incline all’ortodossia di partito, Pier Paolo Pasolini era un comunista “sui generis”. Costituiva una fonte di disprezzo per l’estrema destra e per il neofascismo a causa della sua omosessualità ed era motivo di astio anche per la sinistra extraparlamentare e per quella istituzionale.

Pasolini era un intellettuale eterogeneo e trasversale, rivoluzionario e tradizionalista. La sua concezione del comunismo rispecchiava un atteggiamento conservativo, una lotta per salvare quel mondo contadino e culturale, unico e genuino, in cui era nato e cresciuto. Una realtà che condensava la tradizione e la trasmetteva di generazione in generazione. Credeva per questo motivo nei giovani comunisti italiani ed europei, gli unici che, a suo dire, sarebbero riusciti a spezzare le catene del capitalismo e a scongiurare l’avvento del fascismo, reo di essere un sistema tirannico e predatorio.

La fiducia riposta nel comunismo e nei giovani comunisti tuttavia iniziò a incrinarsi nei primi anni sessanta, agli albori della contestazione. Quei ragazzi, che erano pregni di grandi speranze, si dimostrarono asserviti al mondo consumistico e al nuovo fascismo che, al pari del primo, si stava dimostrando un’entità totalitaria e omologante.

“Avete facce di figli di papà/Vi odio come odio i vostri papà./Buona razza non mente.”, così definiva i contestatori sessantottini, figli di questi stessi padri violenti e autoritari che avevano, in diversi modi, sostenuto il vecchio fascismo. Il ’68 non era altro che un momento di cesura, di nichilismo. La distruzione del vecchio mondo dei valori e delle relazioni umani lasciò lo spazio ad un mondo conformista e materialista.

“Saluto e augurio” è considerato il suo testamento spirituale. È stato redatto in friulano, la sua lingua madre, come atto di ritorno alle origini, nel ventre materno della sua cultura. È un commiato con il mondo, come se avesse intuito il suo omicidio. È anche un invito speciale, un incoraggiamento particolare rivolto ad un interlocutore insolito.

“È quasi sicuro che questa è la mia ultima poesia in friulano: e voglio parlare a un fascista, prima che io, o lui, siamo troppo lontani”, inizia così la sua poesia. Si rivolge ad un neofascista, i nemici per antonomasia dei giovani comunisti che, per strada e nelle università, perseguitano costantemente. Un soggetto antropologico su cui vengono scaricate le colpe di un sistema corrotto, lui stesso colpevole dei suoi misfatti. È un capro espiatorio. È

Si rivolge ad un giovane con “gli occhiali, il vestito grigio, i capelli corti” che si avvicina a lui per parlare di quel mondo culturale tradizionale così disprezzato. Lo invita ad avvicinarsi ancor di più e ad ascoltarlo. “Difendi”, dice, la campagna e il mondo rurale minacciato dall’industrialismo e da quella civiltà che si sta annichilendo.

“Combatti, difendi, prega”, lo incoraggia a resistere ad un mondo che sembra al tramonto. Difendi quella realtà contadina incontaminata in cui sei stato educato, la religione e la tradizione dei tuoi padri, quella “Destra divina” che è dentro di noi e che è minacciata dalla modernità predatrice. Pasolini è diretto e non lascia nulla al caso.

È una sorta di testamento, di fardello etico scandaloso per una società che sta affrontando un cambiamento radicale. Ed è un atto scandaloso per i più che questo fardello sia consegnato nelle mani di un giovane fascista, “tu ragazzo che mi odii”.Lo scandalo d’altronde è uno dei punti di forza di Pier Paolo Pasolini.