EVASIONE/ Altro che redditest! Lo Stato avanza 5 miliardi dalle banche ma Monti fa spallucce
Attilio Befera, numero uno dell’Agenzia delle Entrate, ha parlato chiaro: guerra a tutto campo ai furbetti del fisco per recuperare un po’ di milioni e riportarli nelle dissanguate casse pubbliche. Eppure, numeri alla mano, il problema grosso starebbe altrove: se infatti l’evasione di piccole famiglie e piccoli lavoratori si aggirerebbe intorno ai 2 miliardi, sono ben 5 i miliardi che lo Stato avanza dalle banche. Al momento, però, nessun forcing è stato avanzato dall’Agenzia delle Entrate. Nonostante anche i tanti e tanti controlli e indagini a cui diversi istituti – da Mps a Unicredit fino a San Paolo – sono stati sottoposti. L’elenco è lungo, così come però lo è quello dei ministri ex manager d’alto livello delle banche.
di Carmine Gazzanni
Si aspetta solo l’approvazione del decreto ministeriale – che probabilmente arriverà entro gennaio – e poi l’Agenzia delle Entrate avrà un nuovo strumento a disposizione per combattere i furbetti del fisco e riportare nelle casse pubbliche un po’ di milioni: il cosiddetto redditometro, il software che servirà a scandagliare le nostre dichiarazioni dei redditi. Insomma, le famiglie non avranno più scampo: chi dichiarerà meno di quanto possiede sarà attenzionato dall’Agenzia delle Entrate. Un nuovo modo per combattere l’evasione fiscale, dunque. Quella piccola, però. Pur significativa – stando ai dati – sempre piccola resterebbe. L’imponibile sottratto al fisco da piccole famiglie di lavoratori in proprio (commercianti, artigiani et coetera), infatti, sarebbe di due miliardi. Una cifra alta, ovviamente. Da recuperare, senz’altro.
Una cifra, però, che impallidisce davanti ai 5 miliardi che lo Stato avanza dalle banche. Peccato, però, che se Agenzia delle Entrate e Governo sono – a giusta ragione – rigidi nei confronti dei furbetti di quartiere, non lo sono – per nulla – nei confronti dei furboni d’alto borgo. Nessuna informativa, nessun pressing sulle richieste di pagamento, avanzate già dal 2009 ma nei fatti mai prese in considerazione dalle stesse banche. Niente di niente. Soltanto la presa d’atto che lo Stato avanza ben 5 miliardi dagli istituti bancari.
Eppure ci sarebbe da tenere gli occhi ben aperti. Le banche, i loro peccatucci, li hanno commessi eccome. Checché ne dicano i ministri ex manager di punta di istituti bancari (da Fornero a Ciaccia, da Gnudi a Passera). Alcuni esempi. A Unicredit sono stati sequestrati dall’Agenzia delle Entrate ben 246 milioni di euro per l’operazione Brontos, nome con cui la controparte Barclays, importante merchant bank, aveva battezzato la frode fiscale che è costata al numero uno di Unicredit, Alessandro Profumo, il rinvio a giudizio per evasione: ben 246 milioni di euro di tasse non pagate. Altro che piccoli evasori e redditest.
Eppure lo Stato continua a rimpinguare i bilanci di banche e fondazioni. E quando c’è una controversia, a guadagnarci sono sempre loro. Mai lo Stato. Clamoroso il caso di Mps che ha dovuto chiudere una controversia con l’Agenzia dello Stato da un miliardo e 100 milioni di euro. Alla fine, però, la banca senese ha versato all’erario solo 260 milioni, un quarto della cifra contestata. Stesso discorso anche per la Popolare di Milano che ha accettato di pagare 180 milioni, nonostante le venissero contestati 313 milioni di imposte non pagate. Infine San Paolo intesa: la ex banca di Corrado Passera ha pagato 270 milioni di euro a fronte di una contestazione di un miliardo e 150 milioni di euro tra imposte non pagate, sanzioni e interessi.
Il silenzio è assordante. Nonostante quanto detto, per il momento il Governo Monti ha deciso di intraprendere un’altra strada e di restare in silenzio dinanzi ai privilegi di cui godono le banche. Anzi, l’impressione è che, fin dove possibile, si vogliano ingrandire quegli stessi privilegi. Come già documentato tempo fa, infatti, non sono poche le misure adottate dall’esecutivo che, in un modo o nell’altro, sono tornate utili per i conti di banche e fondazioni bancarie. Così è stato con la norma del decreto Salva Italia tramite cui il ministero dell’Economia (allora in mano allo stesso Monti) “fino al 30 giugno 2012 è autorizzato a concedere la garanzia dello Stato sulle passività delle banche italiane, con scadenza da tre mesi fino a cinque anni, o a partire dal 1 gennaio 2012 a sette anni per le obbligazioni bancarie garantite”.
Un modo per non far fallire le banche, insomma. Così è stato – ancora – con il provvedimento tramite cui si è stabilito che dal mese di marzo gli enti di previdenza (come ogni pubblica amministrazione o ente pubblico) non potranno più effettuare i pagamenti in contante delle pensioni d’importo superiori ai mille euro, per via del divieto cosiddetto della “tracciabilità” imposto dalla manovra. Ergo: i pensionati dovranno farsi un conto corrente. A vantaggio, ancora una volta, delle banche.
Tutto questo mentre si continua nella lotta contro la piccola evasione facendo passare l’immagine che il grande problema dell’Italia sia la famiglia che non dichiara quanto effettivamente possiede. Vero, grande problema. Ma, come visto, non il più grosso.