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Il sistema previdenziale italiano? Un insider ci racconta che non è tutto così malvagio come sembra

Quando andrò in pensione? Di quanto sarà la mia pensione? Queste sono le domande che primo o poi nella vita ognuno si pone. Prima di cercare di dare una risposta occorre fare un passo indietro per capire da cosa nasce l’esigenza di creare un sistema previdenziale per proteggere i cittadini dal rischio invalidità e vecchiaia.

Alla fine del 1800 i nuovi sviluppi, soprattutto in campo medico, hanno posto le basi per un allungamento costante della durata della vita.  Questo aspetto demografico ha messo in evidenza la necessitàdi stabilire un limite di età per uscire dal mondo del lavoro.

Come vivere senza un reddito da lavoro?

Fu così che nel 1898 nasce la previdenza sociale con l’istituzione della “Cassa nazionale di previdenza per l’invaliditàe la vecchiaia degli operai”, successivamente nel 1919 diventa obbligatorio iscriversi a tale istituto che cambia nome in “Cassa Nazionale per le Assicurazioni sociali”.

Nel 1933 la Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali diventa INPS, ma solo nel 1969 viene introdotta la pensione sociale.

Il calcolo della pensione veniva fatto in base agli ultimi redditi dichiarati dai lavoratori senza considerare i contributi versati (metodo retributivo), questo comporta un patto fra le generazioni, cioè i figli pagano con i propri contributi le pensioni ai padri con lo Stato che pareggia i conti in caso di necessità.

Perché il sistema è andato in crisi?

I motivi sono di carattere economico e di finanza pubblica ma alla base di tutto c’è un problema demografico.

Analizzando l’andamento demografico italiano notiamo che l’ultimo boom di nascite si è avuto negli anni 50-60, da quel momento in poi si è avuto una diminuzione costante delle nascite e un aumento della speranza di vita, questo significa che la popolazione sta invecchiando, sempre più persone sopra i 65 anni.

Il metodo retributivo funziona se le persone che lavorano sono sempre maggiore delle persone che sono in pensione. Abbiamo visto che l’andamento demografico dice esattamente il contrario, senza considerare l’andamento economico che diminuisce ulteriormente il numero dei lavoratori.

Questa semplice riflessione è ben nota a tutti già dagli anni 80 ma la politica ha fatto finta di non accorgersene finché nel 1995 l’insostenibilità del sistema previdenziale ha costretto ad emanare la cosiddetta “Riforma Dini”, cioè è stato cambiato il metodo di calcolo della pensione da retributivo a contributivo ma solo per i ventenni e trentenni di allora  che iniziavano a lavorare mantenendo immutato il calcolo per le persone che già lavoravano scaricando ancora una volta sulle generazioni future i problemi delle generazioni presenti.

Non è finita qui perché il problema vero è rimasto, l’andamento demografico non è cambiato, non ci sono state politiche per incentivare le nascite, asili per permettere ai neo genitori di continuare a lavorare, gestione del flusso dell’immigrazione ecc. cioè tutte quelle politiche di lungo periodo che permettono di rimettere in ordine la piramide demografica.

Ma tant’è, abbiamo continuato ad andare avanti facendo finta di niente per l’ennesima volta, la riforma Maroni tenta di allungare l’età pensionabile ma il governo che gli succede la riporta indietro, continuando a sperare nella divina provvidenza finché i mercati che finanziavano il nostro debito hanno cominciato a dubitare della nostra capacità di restituirlo.

A questo punto arriva Monti che è costretto a fare in due settimane quello che la politica non ha fatto in 30 anni con il problema di pareggiare subito i saldi del sistema previdenziale per evitarne il collasso. La riforma è stata drammatica ma senza avere tempo a disposizione per impostare politiche a lungo termine forse era l’unica strada percorribile.

La riforma Monti – Fornero ha introdotto il sistema contributivo per tutti dal 1° gennaio 2012, ha reso immediato l’innalzamento della soglia di vecchiaia a 66 anni per gli uomini e a 62 anni per le donne, ha stabilito il requisito contributivo minimo per andare in pensione a 42 anni per gli uomini e 41 anni per le donne e ha congelato l’adeguamento all’inflazione per tutte le pensioni salvo per gli assegni sociali e per quelli pari al doppio del minimo sociale.

Le vere rivoluzioni sono state due:

$11)    adeguamento automatico dell’età pensionabile e dei contributi minimi in base all’età media di sopravvivenza ogni due anni a regime

Considerando che l’età media di sopravvivenza dell’essere umano continua ad aumentare di conseguenza aumenteranno anche l’età pensionabile e i contributi minimi per andare in pensione. Inoltre negli ultimi 5 anni il PIL ha registrato variazioni negative quindi i contributi versati non saranno rivalutati con conseguente perdita del potere di acquisto futuro.

Tutto questo ha generato problemi nel calcolo preciso dell’età pensionabile per un giovane ma soprattutto il metodo contributivo ha diminuito di oltre il 60% la rendita pensionistica rispetto al metodo retributivo.

Il sistema rappresentato in questo articolo è la cosiddetta pensione obbligatoria (cioè derivante dal pagamento dei contributi obbligatori per legge) e costituisce il primo pilastro del sistema previdenziale.

Considerato che la pensione obbligatoria può non assicurare da sola un adeguato tenore di vita, i lavoratori possono scegliere di destinare una parte del proprio risparmio alla costruzione di una rendita aggiuntiva, versando contributi alle forme pensionistiche complementari. Il versamento dei contributi è libero e volontario. Le forme pensionistiche complementari si distinguono in due categorie: i fondi pensione e i piani pensionistici individuali (PIP), entrambi sottoposti alla vigilanza della COVIP.

Nei prossimi articoli analizzeremo nel dettaglio le forme pensionistiche complementari.

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