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Il Maestro buono e l’allievo piduista: Montanelli e…

Indro Montanelli, il maestro buono, e Roberto Gervaso, l’allievo piduista, che spinse Berlusconi, allora editore del Giornale ad iscriversi alla P2.

Quelli che oggi si investono di tale titolo e, con grande presunzione e soprattutto senza pericolo di essere smentiti, affermano di conoscerlo meglio di qualunque altro. Il revisionismo che continua a sfigurare la memoria e il ricordo di uno dei più grandi giornalisti che l’Italia abbia mai potuto vantare si spiega con il fatto che anche da morto, Montanelli è più vivo e attuale che mai. La pratica di appropriarsi indebitamente delle sue parole ed utilizzarle per i propri scopi è in realtà qualcosa che sedicenti intellettuali, storici e politici, di destra come di sinistra, che già mettevano in pratica quando Montanelli era vivo. Penso, ad esempio, al tentativo di Feltri di raccontare al Raggio Verde, nel 2001, le “vere”, dal suo punto di vista, motivazioni del divorzio fra Berlusconi ed il giornalista. Solo che allora Montanelli, estremamente infastidito per le numerose fandonie che venivano raccontate, telefonò in diretta e sistemò per le feste il dotto Feltri. Ora non può più farlo. O almeno non direttamente. Ma restano le parole e pesano come un macigno sui numerosi “amici di Indro”. Uno di questi è il giornalista Roberto Gervaso che, nel suo ultimo libro edito da Mondatori “Io la penso così”, di Montanelli dice <era uomo di immense qualità e non pochi difetti>, aggiungendo <nessuno più di me può testimoniarlo>. Gervaso nutrì per Indro un vero culto, <fu la mia via di Damasco>, almeno fino al 1970. Dopo aver firmato insieme sei volumi della “storia d’Italia”, i due si separarono definitivamente. Come mai? Gervaso sostiene che fu un <divorzio consensuale, anzi consensualissimo >, ma a rileggere alcune lettere di Montanelli, custodite nel Fondo manoscritti dell’Università di Pavia ed ora rese pubbliche, questa lettura dei fatti appare quanto meno distorta. Nel 1981 il nome di Gervaso risulta nella lista della loggia P2 di Licio Gelli scoperta ad Arezzo: tessera 622 e grado, addirittura, di Maestro. Montanelli il 16 febbraio 1982 scrive <Caro Roberto, con molto stupore ho sentito che mi accuso di non so quali malefatte nei tuoi confronti (…) è vero che quando scoppiò la vicenda P2 io non feci molto per trarti dai guai (…) Ma che tu mi ritenga corresponsabile delle tue disgrazie, è alquanto buffo >. Poi prosegue:<< Credi che mi abbia fatto piacere il fatto che, dopo tanti libri in cui i nostri nomi compaiono insieme, il tuo sia associato a quella faccenda? Eppure non te l’ho mai rinfacciato>>. E poi conclude la lettera <con un senso di delusione >.

Montanelli aveva avuto modo di incontrare Gelli nel ’77, quando Il Giornale era in crisi economica e ne uscì profondamente basito. Lo disprezzò da principio e per lui ebbe sempre parole che tendevano sminuirne la forza eversiva. Sulle pagine del suo quotidiano lo definì:<>, <>, <>. La Loggia P2 <>, scrisse, ma per   <> e non per <>..

Di idea diversa, l’uomo d’ordine, Gervaso che spinse lo stesso Berlusconi, editore del “Giornale”, ad iscriversi alla P2 nel 1978.

Che Montanelli nutrisse dei dubbi sulle capacità dell’allievo Gervaso, lo dicono due altri scritti, presenti anch’esse nel Fondo di Pavia, ma sapientemente esclusi da un altro libro, quello di Sergio Romano edito da Rizzoli, “I conti con me stesso”. 4 aprile 1971 :<< Ho impiegato due giorni a leggere il Cagliostro di Gervaso (…). Che faccio ora? Se gli dico che è una porcheria, gli procuro un trauma. Se non glielo dico e glielo lascio pubblicare lo mando al massacro. Ho creduto di fare del bene a questo ragazzo, associandolo al mio lavoro. E ora mi accorgo di averlo rovinato(…)>>. Il giorno dopo racconta di avergli parlato, ma non di essere stato completamente sincero, di averlo <ingannato>. <<Invece di dirgli: Sono cose più grandi di te, non sei scrittore, contentati di fare il piccolo cronista, l’ho incoraggiata (…). Ma che maestro è uno che non sa bocciare..>>.

Ora di questo straordinario giornalista, maestro di vita si rischia perderne memoria, quella memoria giusta che custodisce la dignità e la professionalità di un Uomo che deve essere ricordato per quello che era e non per quello che qualcuno ha deciso che fosse in base alle proprie convenienze.

Ha scritto Montanelli nell’epigrafe del suo libro Qui non riposano, scritto nel suo esilio svizzero: .

Parole profetiche di chi sapeva già tutto, anche quello che non avrebbe mai visto o sentito.

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