Damanhur replica alla nostra inchiesta sulle sette: “La verità è un’altra”
Dopo l’inchiesta di Infiltrato.it sulle sette religiose, tra cui Damanhur, Scientology e Arkeon, sono scoppiate le polemiche: da una parte i gruppi antisette dall’altra gli adepti. Silvio Palombo, dell’Ufficio Stampa di Damanhur, ci ha scritto una lettera di replica, che pubblichiamo integralmente cosicchè i lettori possano trarre le loro conclusioni.
di Silvio Palombo, Ufficio Stampa Federazione di Damanhur
Ma quale setta! Ma quale plagio! Ma quali inchieste!
La serie di articoli a firma Carmine Gazzanni che compare su infiltrato.it manifesta grande disinformazione riguardo a Damanhur, federazione di comunità. Non potrebbe essere altrimenti, dato che gli articoli si basano solo su voci unilaterali, vale a dire quelle di fuoriusciti, gruppi anti-sette e sul libro “Occulto Italia” (costruito a sua volta con identico meccanismo), non verificate presso Damanhur e i damanhuriani.
I dati errati sono molti: correggendone ad esempio alcuni, posso affermare che da Damanhur è facilissimo uscire e che non c’è alcuna forma di ritorsione, e che quindi il timore di “Michele” a usare il proprio nome è solo il segno delle sue personali paure; che i livelli di cittadinanza sono scelti dai cittadini, non assegnati da qualcuno, e che comunque in nessun caso le persone sono spogliate dei loro averi; che ci sono sì cause di lavoro con ex damanhuriani presso il Tribunale, ma con storie ed esiti diversi dalle interpretazioni che se ne leggono; che i damanhuriani frequentano le loro famiglie d’origine quando e come vogliono, compreso il fatto che spesso sono i familiari e venire a trovarli a Damanhur.
Per evitare di dilungarmi , segnalo che tutte le risposte si trovano all’indirizzo http://www.damanhur.info/index.php/component/content/article/65-informazione/2131-considerazioni-sul-volume-qocculto-italiaq , al quale può affacciarsi chiunque voglia farsi un’opinione più completa.
Il punto però è un altro: perché nei confronti delle realtà spiritualmente diverse è lecito attaccare, dileggiare, denunciare in modo gratuito e approssimativo? Perché un gruppo neo religioso, per dirla con Salvatore Quasimodo, “è subito setta”?
Certamente nell’universo di gruppi/comunità/congreghe/associazioni/confraternite e via dicendo ci sono mele sane e mele marce, ma questo è lo stesso che accade tra le formazioni politiche, religiose, sportive, volontaristiche, culturali. A maggior ragione, quindi, occorrerebbe un’attenzione più… attenta a distinguere ambienti che sono socialmente pericolosi e ambienti che non lo sono.
Pare invece di leggere un po’ ovunque la volontà di fare di tutte le erbe un fascio, e di considerare ogni indizio come una prova.
Così, se “Michele”, quarantenne fuoriuscito da Damanhur, dice che uscire dopo vent’anni gli è costato fatica, significa chissà cosa… Ma scusate, siete mai usciti da un’esperienza ventennale – un lavoro, una storia d’amore, qualunque cosa a cui teneste – senza fare fatica? Solo quest’estate i giornali hanno fatto titoli su titoli circa gli stati d’animo di Andrea Pirlo, calciatore, passato alla Juventus dopo dieci anni di militanza nel Milan; e volete che una persona che dopo vent’anni abbandona una scelta di vita – perché evidentemente non ne è più soddisfatta, perché è cambiata lei, per qualunque motivo questo avvenga – lo faccia con leggerezza e senza pensieri? È davvero questa la prova dell’esistenza di una setta?
Oppure, si legge che libri, corsi, oggetti hanno un costo: ma forse che per andare al cinema, o scaricare una suoneria per il cellulare, o comprare una tintura per i capelli, non si paga? Perché libri e corsi e oggetti per la crescita personale e il benessere spirituale dovrebbero essere gratuiti? Forse perché la crescita personale e il benessere spirituale sono concetti opinabili, che rispondono solo a una valutazione personale? E non lo sono forse anche la bellezza di un film, di una suoneria o di una tintura?
C’è qualcosa che non funziona in tutto questo.
Se si vuole fare la caccia alle “sette” – e probabilmente ce ne sono – occorre fare un lavoro capillare basato su dati, elementi reali, analisi, conoscenza diretta dei gruppi sui quali si indaga, per capire quali sono un bersaglio e quali no.
Se invece ci si basa solo sui racconti dei fuoriusciti arrabbiati, allora la partita è già persa in partenza. Per tutti. Con tutto il rispetto dovuto a ogni esperienza personale, non è serio basare la valutazione di un gruppo solo sul fatto che fra chi lo ha lasciato c’è chi ne ha ricordi e sensazioni negative, peraltro rigorosamente riportati sotto falso nome. Ascoltare i fuoriusciti va bene ma la loro è solo una faccia del cristallo, piena di interpretazione personale, di volontà di chiudere con una parte della propria vita, di necessità di sostenere le proprie ragioni; tutte cose umanamente comprensibili, ma che non possono diventare l’unico metro di valutazione e peggio ancora di condanna nei confronti dei “dentrorimasti”.
L’obiettivo di fermare gli eventuali gruppi pericolosi è sicuramente lecito ma rischia di diventare quello di fermare tutti i gruppi, pregiudizialmente: questo sì che sarebbe diabolico e settario.