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ELEZIONI SICILIA/ La mafia vuole “impegni precisi”: ecco il nuovo esercito di condannati

I discorsi si devono fare chiari”. Questo – secondo quanto appreso solo ieri sera – si sarebbero detti due mafiosi intercettati parlando delle elezioni regionali in Sicilia. Piomba, dunque, l’ombra della criminalità anche su questa tornata elettorale. Il rischio che possa trovare terreno fertile è forte, dopo due governatori, uno condannato (Cuffaro), l’altro imputato (Lombardo) per concorso esterno in associazione mafiosa ed un consiglio – l’ultimo – con il record di inquisiti: 24 su 90. E a scorrere i nomi dei candidati oggi, il discorso non è affatto cambiato.

di Carmine Gazzanni

La mafia piomba sulle elezioni regionali in Sicilia. E questa volta per un motivo ben determinato: in cambio dei voti ai politici, i boss chiedono “impegni precisi”. A rivelarlo è stato l’avvocato generale dello Stato Ignazio De Francisci, che fino a tre giorni fa era procuratore aggiunto a Palermo. L’ex pm ha detto che la Procura sta indagando. Due mafiosi intercettati, parlando delle elezioni, dicono: “I discorsi si devono fare chiari”.

D’altronde non c’è da sorprendersi: di certo non ci si poteva aspettare che la mafia sarebbe stata con le mani in mano lungo tutto il periodo elettorale. Il problema, allora, è anche (e soprattutto) un altro: quanta possibilità c’è che l’invito mafioso del do ut des possa trovare porto presso quel candidato o quell’altro? A ben vedere, il rischio che l’ombra della criminalità possa trovare terreno fertile è molto forte.

Basti guardare alle precedenti legislature per farsi un’idea. Fino all’altro ieri Governatore siciliano era Raffaele Lombardo, prima di lui Totò Cuffaro. Uno imputato, l’altro condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, un reato che in terra sicula certamente non fa ben sperare sulla maniera in cui siano stati condotti i loro anni di presidenza. Per farci un’idea, leggiamo le motivazioni della sentenza di Cassazione del 22 gennaio che ha confermato i sette anni di reclusione per Cuffaro. I giudici dichiarano provato “l’accordo politico-mafioso tra il capo-mandamento Giuseppe Guttadauro e l’uomo politico Salvatore Cuffaro, e la consapevolezza di quest’ultimo di agevolare l’associazione mafiosa, inserendo nella lista elettorale per le elezioni siciliane del 2001 persone gradite ai boss e rivelando, in più occasioni, a personaggi mafiosi l’esistenza di indagini in corso nei loro confronti”. Nei fatti, quanto si rischia anche oggi secondo le indiscrezioni di Francisci. A distanza di anni, insomma, la storia sembra ripetersi.

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Non c’è da dimenticarsi, peraltro, di un particolare non da poco. Gli ultimi anni per la Regione Sicilia sono stati drammatici per il numero di indagati e inquisiti. Prima delle dimissioni di Raffaele Lombardo, infatti, il consiglio regionale siciliano deteneva il record di inquisiti: nel 2011 si è raggiunto il top quando su 90 deputati regionali 24 risultavano indagati in procedimenti di vario genere e 4 di loro erano stati arrestati o messi ai domiciliari: il piddì Giuseppe Vitrano arrestato per corruzione, Fausto Fagone (Popolari Italia Domani) arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa, Cateno De Luca (Sicilia Vera) ai domiciliari per abuso d’ufficio e concussione, Riccardo Minardo anche lui ai domiciliari per truffa.

Non solo. Per non farsi mancare proprio niente, non sono mancati nemmeno i condannati, come ricostruisce, d’altronde, anche Pierfrancesco De Robertis nel suo libro-inchiesta La casta invisibile delle regioni. Da Salvino Caputo, condannato in appello a due anni (pena sospesa) per tentato abuso d’ufficio (avrebbe evitato da sindaco di Monreale che il vescovo locale pagasse una multa); a Giuseppe Buzzanca, condannato definitivamente a sei mesi per peculato (nel ’95 arrivò a Bari con l’auto blu per poi imbarcarsi in viaggio di nozze); fino a Santino Catalano, il quale ha patteggiato un anno e due mesi per una storia di abusi edilizi.

La vera preoccupazione, però, sorge soprattutto da altro. Nonostante i proclami strillati a gran voce da tanti candidati presidenti sulla necessità di fare pulizia nel consiglio regionale dopo il cattivo record di inquisiti, le liste dei candidati pullulano di inquisiti. Tolto un esercito di indagati, insomma, ne arriva un altro. Un ottimo screening a riguardo è stato offerto alcuni giorni fa da Giuseppe Pipitone su Il Fatto.

Partiamo da un dato. I tre condannati dell’ex consiglio – Catalano, Caputo e Buzzanca – sono tutti ricandidati, il primo con il Pid dell’ex ministro Saverio Romano, gli altri due con il Pdl. Sempre col Pdl si candida per la prima volta anche l’ex sindaco di Trapani Girolamo Fazio, condannato in primo grado addirittura per violenza privata. Ma questi non sono gli unici condannati-candidati. Ce n’è uno anche nel Partito dei Siciliani, in sostegno a Gianfranco Miccichè: Giuseppe Arena, condannato in primo grado a 2 anni e 9 mesi per falso in bilancio. Un altro lo ritroviamo ancora nel Pid: è Giuseppe Drago, condannato in via definitiva per peculato. Non solo: la Cassazione lo aveva pure interdetto dai pubblici uffici e nel 2010 Drago si era dovuto dimettere da parlamentare nazionale. Ora, però, l’interdizione è scaduta e Drago non c’ha pensato due volte a tornare in pista.

Tra i semplici indagati, invece, spunta su tutti Mario Briguglio (candidato con Miccichè), accusato addirittura di omicidio colposo plurimo, disastro colposo e lesioni gravi colpose per l’alluvione che tre anni fa – Briguglio allora era sindaco del comune di Scaletta – causò la morte di 37 persone. Non mancano inquisiti nemmeno  nelle liste in supporto di Rosario Crocetta: Marco Forzese (Udc) è indagato nell’inchiesta sulle promozioni facili al comune di Catania; Giacomo Scala (Pd) è imputato per abuso d’ufficio a Trapani.

Insomma, sembrerebbe quasi che alcune liste abbiano tutta l’intenzione di battere il record di 24 inquisiti su 90. E la mafia intanto – come detto – resta a guardare.