In un dossier pubblicato sulla rivista Gnosis, i Servizi Segreti italiani definiscono il movimento dei Tabligh Eddawa come una setta impegnata nella diffusione ’porta a porta’ della fede islamica più radicale, con l’obiettivo di convertire i non credenti o ‘riconvertire’ i cattivi musulmani, soprattutto tra la popolazione emigrata in Occidente.
L’Intelligence lancia un allarme ben preciso:
Il rischio maggiore è che il rifiuto di ogni ‘contaminazione’ occidentale, sia pure per ragioni etico-religiose, ed il senso del ‘jihad interiore’ possano essere sfruttati dal network terroristico islamico come un mix di base per indurre gli adepti psicologicamente più fragili e più suggestionabili al salto di qualità tra le fila della militanza jiadista tout court, magari per riscattare una condizione di disagio personale o sociale.
In Italia il movimento dei Tabligh Eddawa è ben radicato, ha una grande moschea a Roma ed è guidato dall’Imam Saydawi Hamid – un tipo da prendere con le molle – che in una recente intervista all’inviato del Giornale Giuseppe de Lorenzo ha pronunciato frasi assolutamente scioccanti:
L’Italia è stata conquistata, perché abbiamo una grande moschea, perché possiamo predicare liberamente la nostra fede.
Una fede rigida, che non prevede deroghe all’unica linea ammessa, vale a dire la totale sottomissione ad Allah, al Profeta e alla legge coranica.
Basta guardare il video reportage di De Lorenzo per rendersi conto di quanto possa essere pericoloso questo atteggiamento integralista:
Il dossier sul Tabligh Eddawa
Il ritratto che fa l’Intelligence italiana del movimento dei Tabligh Eddawa è preoccupante:
Possiamo riconoscerli facilmente dall’aspetto e dal vestiario ‘simil talebano’ questi ‘testimoni di Allah’ che si muovono periodicamente a piccoli gruppi misti (con buona percentuale di elementi marocchini), secondo un calendario e dei target prefissati dalla dirigenza e dietro la guida di elementi indottrinati presso il centro missionario mondiale ‘Nisam Eddin’ di Reiwand in Pakistan.
Nei loro pellegrinaggi, i missionari si portano dietro una raccolta di detti (‘Ahadith’) del Profeta, redatta, nel VII secolo, dall’imam Nawawi ed intitolata il “IL GIARDINO DEI PII CREDENTI”, che costituisce una sorta di ‘istruzioni per l’uso’ dell’ortodossia Tabligh.
Naturalmente, la virata verso il terrorismo da parte di alcuni militanti non è un automatismo derivante dall’affiliazione al Tabligh e, a scanso di equivoci, i responsabili del movimento non perdono occasione per professarsi estranei all’uso della violenza a differenza delle formazioni radicali islamiche di matrice salafita, che aspirano al ritorno all’Islam delle origini (dall’etimologia ‘al-salaf al-salih’ : pio antenato) ed alla fondazione di uno stato islamico sul modello del califfato, anche attraverso il ricorso alla lotta armata.
Tuttavia il carattere settario dei Tabligh, con il continuo lavaggio del cervello sulla necessità di tracciare una rigida demarcazione tra la vera religione (‘din’) e l’empietà (‘kufr’), può predisporre, tra le comunità emigrate, ad un atteggiamento di chiusura verso i paesi ospitanti e frenare i processi di integrazione.
Si tratta di una forma di neo-fondamentalismo comunitarista che ben si adatta alle esigenze di una Umma globalizzata, a prescindere dalle singole realtà.
Da questo punto di vista, la rete missionaria, per la capillarità e fluidità dei suoi legami multietnici, può prestare il fianco a tentativi di infiltrazione o interferenze da parte di formazioni jihadiste e rappresentare non solo un veicolo per la selezione ed il reclutamento di moujaheddin – meglio se convertiti e di nazionalità occidentale – ma anche una copertura ad hoc per gli spostamenti (ad esempio, quale motivazione per il rilascio dei visti) e le attività di finanziamento e di supporto logistico.
Non a caso, nella primavera del 2001, Kamal Derwish – un membro di Al Qaeda ucciso, un anno dopo, nello Yemen – aveva reclutato sei americani-yemeniti di Lackawanna (New York) per l’addestramento in Afghanistan.
Il gruppo – che è stato condannato per terrorismo al rientro negli USA – aveva dichiarato di essere diretto in Pakistan, per studiare l’Islam con i Tabligh. Come si può immaginare, dalle madrase coraniche pakistane ai campi ‘fumanti’ di al Qaeda in Afghanistan il passo era stato breve.
Il precedente (terroristico) del 2015
Senza creare inutili allarmismi, resta un fatto che – alla luce di questo dossier – potrebbe assumere contorni più interessanti dal punto di vista investigativo: nel 2015 la Polizia di Stato ha smantellato un network terroristico di matrice islamica affiliato ad al-Qaeda, il cui ruolo principale era appannaggio di un dirigente del movimento Tabligh Eddawa.
Scriveva Il Tempo:
L’indagine ha portato all’arresto di 20 persone. Due degli appartenenti al network terroristico facevano parte, secondo gli investigatori, dell’organizzazione di fiancheggiatori che in Pakistan proteggeva lo sceicco Osama Bin Laden.
Le indagini hanno consentito di stabilire che l’organizzazione operava prevalentemente in Sardegna e nel Lazio. L’operazione è stata effettuata nelle province di Sassari, Bergamo, Macerata, Roma, Frosinone e Foggia.
Gli arrestati devono rispondere, a vario titolo, di atti terroristici all’estero e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina con la quale si autofinanziavano. Dei nove arrestati, tre sono stati bloccati a Olbia, due a Civitanova Marche e gli altri a Bergamo, Roma, Sora e Foggia.
Il ruolo principale nell’organizzazione fondamentalista attiva nel nostro Paese era ricoperto da un dirigente del movimento pietistico “Tabligh Eddawa” (“Società della Propaganda”).
L’uomo, forte della sua autorità religiosa di Imam e formatore coranico, operante tra Brescia e Bergamo, stimolava la raccolta di fondi, presso le comunità pakistano-afghane, radicate nel nostro territorio.
L’organizzazione terroristica aveva a disposizione “armi in abbondanza” e “numerosi fedeli disposti a compiere atti di terrorismo in Pakistan ed Afghanistan, per poi rientrare in Italia”.
E’ quanto risulta dalle indagini della Digos, coordinata dal Servizio centrale antiterrorismo della Direzione centrale della polizia di prevenzione.
Secondo gli inquirenti, l’obiettivo dei terroristi era colpire il Vaticano. Tanto è vero che l’operazione venne commentata anche dal segretario di Stato Vaticano Pietro Parolin:
La nostra è una grande democrazia, il nostro è un grande Paese in grado di assestare questi colpi. Dal fondamentalismo arriva un pericolo grave per l’ordine politico, perché produce delle violenze indefinite.
Di fronte al rischio terrorismo siamo tutti esposti e abbiamo tutti paura ma al tempo stesso il Papa è molto tranquillo in questo, basta vedere come incontra le persone con grande lucidità e serenità.
Intelligenti pauca.