Caro Vasco ti scrivo così mi rilasso un po’…
Volevo scriverti ieri. Dovevo scriverti ieri, prima del concertone da record. Ma ero agitato. Molto agitato. Non ero a Modena, non potevo esserci, ma era come se ci fossi.
E quell’agitazione che montava mi bloccava la mano impedendole di prendere la penna in mano e vergare due righe. Ché quando scrivo è la mano che comanda, come se sapesse già come poggiarsi sul foglio bianco disegnando segni, lettere, parole, pensieri.
Sto guardando in questo momento lo speciale su Sky Arte, Ogni Volta, e la riflessione che hai fatto sui figli, sulla rivoluzione copernicana che ti assale quando diventi padre, mi ha fatto scattare.
L’anno scorso ero a Roma, in curva, con mia moglie e il mio primo figlio, che a 6 anni ha avuto la fortuna e l’onore di assistere al suo primo concerto del Blasco.
Anche se, te lo confesso, a una certa si è addormentato. Placido, sereno, tranquillo, con i watt che pompavano musica e lui a galleggiare nel suo sonno. Lui è così, quando non ne ha più voglia se ne frega di quel che ha intorno fa quel che gli viene.
Nei giorni scorsi, in macchina, mi chiedeva di ascoltare Bob Marley. Mi chiede sempre di ascoltare Marley, perchè quando era nella pancia la mamma glielo metteva e lui scalciava.
“E no papà, si ascolta solo Vasco in questi giorni.”
“Perchè?”
“Perchè ne fa 40.”
Cioè, io ne ho 36, a breve 37, e tu ne hai fatti 40 di carriera. Potresti essere mio padre, che mio padre però è del ’39, all’antica, e quel signore chiamato Vasco non ricorda neanche chi sia.
Dicevamo del tuo pensiero sulla rockstar che diventa padre, una sfida nella sfida: vivere da rockstar non nello stupido hotel ma in una famiglia.
Quando ti sei reso conto del cambio di prospettiva da figlio a padre?
Io un momento in testa ce l’ho, quando ho capito che il mio mondo si stava capovolgendo. E vedi, è ancora questo che lega un fan come me a Vasco. I momenti della mia vita legati alle canzoni.
Talmente legati alle canzoni che quando la mia storia si è fatta buia, oscura, paludosa, devo dirti la verità, ti avevo abbandonato.
Come quando ci sono emozioni che ti fanno male e provi a tenerle a bada chiudendole in una parte della tua mente, per evitare di farti male.
Poi i colori si sono pian piano fatti più arcobaleno e quando le nuvole piangono e c’è il sole, sai, non ti lamenti più come prima. La polvere va via, il vento trascina i ricordi, i cassetti si aprono e quelle emozioni che prima ti schiacciavano ora ti appaiono parti di te da accarezzare, cui volere bene, un amico che rischiavi di perdere e poi ritrovi. Un vero amico.
Eh già e Manifesto hanno coinciso con il mio arcobaleno, dipingendo un quadro nuovo, con le stesse paure di prima, l’ansia e i tormenti, ma con una consapevolezza diversa.
Come uscire dallo stupido hotel e aver di nuovo voglia di guardarsi attorno.
Da oltre 20 anni con un Vasco nel cuore.