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Ho una scimmia sulla schiena. Il “documento” sul peso della droga.

Tra morfina e eroina William Burroughs ci catapulta nel suo mondo anticonformista e surreale. “Junkie” o “La scimmia sulla schiena” è una rivelazione; ci racconta cos’è la droga e cosa accade a chi l’assume: un documento “scientifico” e una tragedia umana.

 

William Burroughs: pazzo, eccentrico, nevrotico, tossicomane e anticorformista scrittore  newyorchese, giovane ereditiere di una delle famiglie più ricche d’America; amico di vagabondi e reietti, perseguitato e costante fruitore di sostanze stupefacenti.

Dall’Algeria agli Stati Uniti sempre in fuga dalla polizia e da coloro che lo volevano dietro le sbarre di una solida prigione; un guastafeste e un miserabile fortunato, benestante e arcigno.

Questo è William, un’artista sui generis, amante del sesso, della droga e pronto a rompere tutti i tabù sociali. “Rispetta le regole, la tua famiglia e la tua nazione”, gli dicevano. Invece no! Il giovane Burroughs non ci stava a questi diktat. Preferì una vita da bohemiene che lo portò a provare di tutto, vivendo come un dramma e una ricerca l’assuefazione da droghe.

Junkie o La scimmia sulla schiena” è un documentario sull’esperienza di tossicomane, tra esperimenti, visioni e mondi surreali.

La sfortuna purtroppo lo portò a scontrarsi fin da subito con la legge. Il sequestro e la censura dei primi volumi del romanzo furono decisioni istituzionali che lo stesso William aveva previsto: nessuno infatti avrebbe capito le sue parole e in un primo momento i critici si sarebbero accontentati di una lettura superficiale. Dal 1953, anno della sua pubblicazione, i guai giudiziari iniziarono ad accumularsi sulla fedina penale di Burroughs, accusato prima di tutto per oscenità e poi per tossicodipendenza.

Le vicende legali finirono per essere un’arma a doppio taglio per i censori. Si credeva di rendere al silenzio un autore di indubbia fama, ma senza preavviso Junkie divenne uno dei testi cardini della controcultura, spesso preso a modello per ricerche accademiche. Un prestigio che poche opere possono vantare.

Con precisione scientifica Burroughs racconta le droghe e gli effetti, spesso scioccanti, spiegando nei particolari le tecniche di assunzione: come si inserisce un ago, come legare il laccio, quali punti del corpo usare per iniettare il narcotico e soprattutto come alleviare il dolori dovuti all’astinenza, la cosiddetta “scimmia sulla schiena” (dolori lancinanti, scrive l’autore, lungo la parte bassa della colonna vertebrale). Timothy Leary non avrebbe saputo far di meglio! Descrive accuratamente ogni attimo delle sue “sedute di studio” e si sofferma sulle distorsioni psichiche prodotte dalle assunzioni. Molto crude sono infatti le parti in cui l’autore mette per inscritto le sue ansie nel provare “trip” deliranti e spesso terribili. Non manca tuttavia di avvertire il lettore dei pericoli insiti in queste pratiche, all’epoca molto di moda come “medicina” contro il conformismo e l’appiattimento spirituale.

Senza mezzi termini abbiamo di fronte realtà tragiche, vissute e narrate con il realismo più acceso:  il peso della droga è una bestia che attaglia e che porta inevitabilmente a conseguenze terribili. William Burroughs ci ha avvertiti!