Storytelling su Lifestyle, Sport, Tech e Food

Scandalo Università di Bari. Tribunale troppo lento e i Baroni se la cavano. Tutti assolti

Tutti assolti salomonicamente. Grazie al tribunale di Bari che ormai si contraddistingue per la lentezza della sua azione. E così finisce con la prescrizione una delle inchieste più clamorose che hanno riguardato l’università del capoluogo pugliese. Ma i reati sono relativi al 2002 e tutto è per la maggior parte sono ormai andati in prescrizione.

 

La spartizione delle cattedre riguardava il settore più delicato della medicina: la cardiologia. Ora, nove anni dopo la retata che ha provocato un terremoto nel mondo universitario, il tribunale di Bari ha assolto i tre imputati chiave dall’accusa di associazione a delinquere. Non perché fossero innocenti ma perché i reati sono risultati non più perseguibili a norma di legge. E’ passato troppo tempo dalla loro presunta commissione e quindi sono stati prescritti.

Un colpo di spugna che arriva per effetto delle riforme berlusconiane che arriva proprio, come riportato da L’Espresso, mentre da Roma e da Messina si torna a gridare allo scandalo per i concorsi pilotati negli atenei. Un peccato, quello successo a Bari, voluto dai giudici che hanno impiegato troppo tempo a chiudere indagini e istruire processi. Così come è avvenuto per una maxi inchiesta sulla malasanità molisana. Centodieci indagati accusati a vario titolo di concussione, corruzione e associazione a delinquere e coinvolti in un’inchiesta avviata dalla Procura di Larino nel 2006. I reati anche in questo caso sono relativi al biennio 2003- 2004 e solo da poco tempo, dopo che la competenza del Tribunale è passata nel 2009 a Bari, hanno fissato l’udienza preliminare.

Tornando all’inchiesta sull’università c’è da dire che l’istruttoria aveva radiografato tutto il malcostume che avveniva nel mondo accademico.

Nel suo atto di accusa il giudice Giuseppe De Benectis scrisse: “I concorsi universitari erano dunque celebrati, discussi e decisi molto prima di quanto la loro effettuazione facesse pensare, a cura di commissari che sembravano simili a pochi “associati” a una “cosca” di sapore mafioso”. Gli investigatori, al vertice della rete che smistava cattedre e borse di studio da Brescia e Palermo c’era Paolo Rizzon, trevigiano diventato primario nel capoluogo pugliese.

Dalle intercettazioni è venuto fuori un personaggio da commedia italiana. Gli inquirenti hanno provveduto a registrarlo mentre manovrava la composizione di una commissione d’esame che approvasse la nomina del figlio. Poi scopre che l’erede non riesce neppure a mettere insieme la documentazione indicata per l’esame da raccomandato. Nei nastri arriva anche una storia dai risvolti sessuali anche con scambi di amanti e l’irruzione della vera mafia.

E così accadeva che un candidato che non si piega alle trame della “Cupola dei baroni” e presenta un ricorso per vedere riconosciuti i suoi diritti, gli fanno arrivare questo avvertimento: “Il professore ha fatto avere il tuo indirizzo a due mafiosi per farti dare una sonora bastonata”.

I rapporti con esponenti di spicco della criminalità locale sono stati documentati, persino nel «commercio di reperti archeologici». A uno di loro – che al telefono definisce «il boss dei boss» – il primario chiede di recuperare l’auto rubata nel cortile della facoltà. Salvo poi scoprire che la vettura non era stata trafugata: si era semplicemente dimenticato dove l’aveva parcheggiata.

Dopo nove anni avviene che la sentenza ha prosciolto dal reato di associazione per delinquere tre docenti che avevano scelto il rito abbreviato. Nel merito invece l’assoluzione per altri reati contestati. Nonostante le accuse i tre prof sono tutti rimasti al loro posto e hanno proseguito le carriere accademiche. Uno si è persino candidato alla carica di magnifico rettore. Una tutela garantista nei loro confronti, ma anche un pessimo esempio per chiunque sogni di fare strada con i propri mezzi nel mondo dell’università senza essere costretto a emigrare.

Anche nel caso del professore Rizzon e di altri tre luminari per i quali è in corso il processo ordinario sembra impossibile che si arrivi a un verdetto. Dopo nove anni siamo ancora al primo grado di giudizio e pure per loro la prescrizione è ormai imminente.