A VENTI ANNI DALLA STRAGE DI CAPACI/ Leoluca Orlando: “La mafia oggi è invisibile. Ma non per questo è imbattibile”
Se saremo fortunati non lo sapremo mai. Ma, nonostante tutto, ci sono dei rumori che anche senza averli vissuti in prima persona, rimbombano nelle orecchie per sempre. Nonostante le distanze di tempo e di spazio. È il caso delle “Strage di Capaci” avvenuta il 23 maggio del 1992. Un botto lungo vent’anni. Una ferita ancora aperta. Un ricordo indelebile. Ma che cosa rimane oggi nei cuori e nella testa dei siciliani? Ne abbiamo parlato con il neosindaco Leoluca Orlando e con Denise Fasanelli, una delle autrici di “Vent’anni”.
di Alessandro Corroppoli
Un ventennio è passato da quando Brusca e soci stapparono lo spumante per festeggiare la morte di Giovanni Falcone. Ma l’eco di quell’esplosione ancora oggi tuona forte, perché quella memoria è un scolpita per sempre nella storia del Paese.
Oggi, 23 maggio 2012, Palermo non solo commemora i suoi eroi, ma festeggia anche il ritorno dopo dieci anni del sindaco che avviò “la Primavera di Palermo” dal 1993 al 2000 (anno in cui si dimette per correre alla carica della Presidenza della regione Sicilia). Leoluca Orlando, al quarto mandato come primo cittadino (il primo fu dal 1985 al 1990), ci dice: ”La mafia è stata sfidata ed ha subito l’offensiva della legalità. Ma la mafia non è sparita. La mafia ha fatto tesoro del nuovo senso civico che è fiorito nella società e si è camuffata. Non si presenta più ad essa attraverso uomini rozzi e feroci ma sotto vesti insospettabili. Vesti appetibili e spendibili nei palazzi buoni della società, nelle stanze che contano”. E aggiunge: “A distanza di vent’anni da quell’attentato, la mafia non la si trova più tra le strade o nei vicoli. È diventata invisibile ed è più difficile da combattere ma non per questo imbattibile”.
E alla domanda su come è cambiata Palermo, la sua gente, il sindaco ci risponde: ”Ritorno sindaco dopo dieci anni. Dieci anni in cui questa città è diventata una palude dell’appartenenza. Tutto ruotava intorno all’appartenenza politica, della cosca o del clan. Non importava a cosa si apparteneva, l’importante era questa specie di baratto sociale: dimmi con chi sei e in base all’appartenenza ti darò qualcosa in cambio. Il mio consenso va interpretato come un voto di liberazione da questa cultura dell’appartenenza. Come una speranza, un nuovo salto di qualità. In questi giorni di campagna elettorale attorno alla mia persona è cresciuto un entusiasmo e una voglia di cambiamento mai visti prima. Questo aumenta le responsabilità mie e dell’intera giunta. La domanda di cambiamento, di legalità e di trasparenza amministrativa è forte così come la voglia mia e dei mie uomini di rendere Palermo una città normale”.
Quasi in concomitanza con l’anniversario della “Strage di Capaci” è uscito nelle librerie, Edizioni Coppola, il volume “VENT’ANNI” . In memoria delle stragi del ’92. A cura di Daniela Gambino ed Ettore Zampa.
Questo non vuole essere un altro volume sulla cronaca di quei tragici e terribili giorni. No, questo più che un libro è il diario di una partecipazione emotiva, un ritratto di Palermo e del Paese. Emozioni intime che diventano condivise: “(…) Abbiamo provato a riportare e riportarci alla memoria due stragi del 1992 nel modo più dolce possibile. Come riaprire una ferita per curarla meglio, con più amore. (…) Sono venuti fuori ricordi con la sete di giustizia, la voglia di consegnare un mondo più onesto, l’eredità morale (…) la consapevolezza che non c’è ancora un colpevole certo e non ha pagato del tutto chi dovrebbe pagare…” [dalla quarta di copertina di Enrico Zampa].
Questo diario è un racconto scritto a più mani. Ricordiamo la testimonianza di Ferdinando Imposimato che nel suo racconto (E’ stata fatta giustizia?) verga testualmente: “Le stragi del 1992 non sono stragi di Mafia”. Ma anche il passaggio che fa Rita Borsellino su questa nuova fase che la Sicilia e i siciliani stanno facendo: “E’ cambiato tutto, sono cambiate tante cose. Non so se in bene o in male. Questo lasciamolo decidere ad ognuno perché ognuno di noi deve fornire il suo contributo affinché si possa davvero trovare livello alto di miglioria sociale”.
Ne abbiamo parlato con una delle autrici, Denise Fasanelli (giornalista, scrittrice e attivista del movimento delle Agende rosse), la quale nel libro narra la storia e le vicende dell’avvocato Carlo Palermo, l’unico superstite della strage di Pizzolungo. All’epoca dei fatti, 2 aprile 1985, Carlo Palermo era sostituto procuratore e si stava recando presso il Palazzo di Giustizia di Trapani. Poco dopo le 8,35, sulla strada statale che attraversa Pizzolungo, posizionata sul ciglio della strada statale, una macchina piena di tritolo è pronta per esplodere. Palermo si stava recando al lavoro a bordo di una 132 blindata, seguito da una Fiat Ritmo di scorta non blindata. In prossimità dell’autobomba la vettura di Carlo Palermo supera una Volkswagen Scirocco guidata da Barbara Rizzo, 30 anni, che accompagna a scuola i figli Salvatore e Giuseppe Asta, gemelli di 6 anni. L’utilitaria si viene a trovare tra l’autobomba e la 132. L’autobomba viene fatta esplodere comunque, nella convinzione che sarebbe saltata in aria anche l’auto di Carlo Palermo. L’esplosione si udì a chilometri di distanza. Ma morirono solamente la donna e i due gemellini.
Denise ha intitolato il suo racconto “Che rumore fa una bomba?”. Noi lo abbiamo chiesto direttamente alla Fasanelli: ”Io sono una di quelle persone che fortunatamente non ha mai sentito il rumore di una bomba ma il mio interlocutore del libro, l’avvocato Carlo Palermo, sì.” E lui allora? “Carlo Palermo a distanza di 17 anni ha un ricordo nitido dei fatti. Il suo racconto è lucido, anzi leggendo le sue parole si ha come la sensazione di viverlo in quel momento”.
E lei invece che siciliana non è come vive questi tempi? “Andando oltre il rumore. Tramite Carlo mi sono immersa in un viaggio più sociale, più introspettivo della cultura e della mentalità sicula. E debbo dire che il viaggio è fantastico”. Perché? “Perché in questi anni tante cose sono cambiate in meglio. Il paradosso è quel rumore, che né io né i miei compagni di viaggio hanno mai sentito: ci ha svegliato e allarmato in maniera positiva”. Ovvero? “Ha svegliato coscienze che fino a qualche decennio fa sembravano sopite nel humus di una cultura stagnate di obbedienza. Quel rumore non solo non lo abbiamo sentito ma lottiamo affinché non lo possa più sentire nessuno”. Quindi quale significato ha per lei questo ventennale della strage? “Per me il ventennale così come gli scorsi anniversari è un momento di riflessione e di speranza. Un momento un giorno in cui poter riflettere su ciò che è stato e su ciò che non deve più essere. Il 23 Maggio per me è sempre una partenza”.
La mafia e la giustizia. La legalità e criminalità. I buoni e i cattivi. Tutti sostantivi che fanno tornare in mente i versi di una poesia di Jacques Prévert, Adesso sono cresciuto: “Allora mi credevo disperato/ invece mi mancava soltanto la speranza/ non avevo nient’altro che essere vivo”.