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SERGIO BONELLI/ L’audace, Galep e Tex Willer:”Grazie perché ci hai fatto sognare.”

di Andrea Succi

“Grazie Sergio perché ci fai sognare, mi dicono spesso i ragazzi, che non dovrebbero essere sospettati di leggere i fumetti Bonelli. E invece…” Una forza narrativa che va al di là del tempo e delle generazioni, una creazione di genere – quella del fumetto – che senza i Bonelli non sarebbe stato tale. Zagor, Dylan Dog, Mister No, Martin Mystère, Nathan Niver sono solo alcuni dei personaggi che albergano i sogni dei lettori. Ma uno è il Mito. Il Fumetto per eccellenza. La striscia più longeva nella storia mondiale del genere: Tex, creato dalla penna di Gianluigi Bonelli e dal pennello di Aurelio Galleppini, in arte Galep, all’epoca giovane disegnatore di talento.

Da sinistra Gianluigi Bonelli, Aurelio Galleppini e Sergio Bonelli

All’epoca, siamo nel 1948, nascono le prime strisce di Tex. “La Mano Rossa” è il titolo del numero 1, con un giovane fuorilegge che “sta bivaccando dopo la lunga galoppata che lo ha portato oltre i confini del Texas, quando, improvvisamente, alcuni spari echeggiano a non molta distanza.” “Per tutti i diavoli, che mi siano ancora alle costole?” E poi la fuga, in groppa al fedele Dinamite.

Tex Willer era il giustiziere solitario che amò solo una donna, Lilyth, da cui ebbe un erede, Kit. Questo legame di sangue con gli indiani – Lilyth era figlia del capo navajo Freccia Rossa – ne fece una leggenda conosciuta con il nome di Aquila Della Notte.

Un successo editoriale strepitoso, che dura da oltre mezzo secolo, con 611 numeri pubblicati, oltre a innumerevoli ristampe, collane e albi speciali. Un mantra – i quattro pards Tex, Kit Carson, Kit Willer e Tiger Jack che mangiano “bistecche alte tre dita sommerse da una montagna di patate fritte” e bevono “birra gelata per sciacquare la gola dalla polvere” – tramandato di nonno in padre e di padre in figlio.

Un favore del pubblico nato per caso, come ogni successo che si rispetti.

Una copertina di Occhio Cupo

Infatti, l’eroe buono su cui Gianluigi Bonelli e Galep puntavano era Occhio Cupo, “un quindicinale stampato in formato quaderno, più elegante e costoso della media”. Tex, un settimanale “relegato in uno smilzo ed economico formato a striscia, ideale per risolvere il problema del costo della stampa e della penuria della carta”, quasi non interessava a nessuno.

Tanto è vero che, come ricordava Galep qualche tempo fa, “lo disegnavo di notte, nel tempo libero che mi restava dalle tavole di Occhio Cupo, che finivo verso il crepuscolo. Facevo le ore piccole…”

E nel ricordo di Sergio Bonelli ecco spuntare un altro aneddoto che colora quel periodo:“Nella Milano ancora devastata dalla guerra, il nostro emigrante (Galleppini, ndr) all’inizio non trovò altra sistemazione se non quella di lavorare, e persino di dormire, in una stanza-studio di fianco a quella in cui dormivo io, allora adolescente, in quella nostra casa che rappresentava non soltanto l’abitazione della famiglia, ma anche la redazione della Casa editrice.”

Una famiglia allargata, quella dei Bonelli, perché il padre, divorziato e risposato, era avanti nei tempi anche in questo. “Ogni sera, quindi”, continua Sergio, “quando io salutavo Aurelio per andarmene a letto, lo vedevo sistemare un mucchietto di strisce bianche sullo stesso tavolo da disegno sul quale, per tutto il giorno, si era accanito a disegnare le pagine di Occhio Cupo. E proprio il filo di luce che filtrava da sotto la porta chiusa è il ricordo più vivido e commovente, che mi balena nella mente, quando mi concentro sulla persona di Galleppini.”

I lettori presero con freddezza quel giovane fuorilegge anarchico e libertario, ironico, sprezzante del pericolo, coraggioso, antirazzista. Duro e sognatore come il suo creatore, Bonelli padre, che amava ripetere:“Io sono un sognatore, ma se mi danno un pugno ne restituisco due.”

Nonostante Galep dicesse di essersi ispirato a se stesso e a Gary Cooper per raffigurare il volto di Tex – non c’era nessuna fotografia da prendere a modello – noi crediamo (o vogliamo credere) che in realtà fosse proprio Gianluigi Bonelli, sceneggiatore oltre che editore per 40 anni del fumetto, il riferimento iconografico con il quale creare l’eroe del West.

Fortunati i personaggi, realistici – immaginifici oseremmo dire – i paesaggi.

L’Arizona, il New Mexico, il Texas, le riserve indiane, il deserto, i canyon, non erano altro che, dal punto di vista sceneggiativo, ricordi del cinema anni ’30, quando Bonelli padre andava a vedere le gesta di Tom Mix e Ken Maynard; graficamente, invece, Galep affondava il pennello nelle sue radici, la Toscana di quegli anni: piuttosto che il ranch, disegnava la fattoria maremmana e al posto del winchester la doppietta che vedeva in mano allo zio.

La possibilità di accesso a libri e disegni era nulla, internet non era ancora in cantiere – ricordiamoci che sono i primi anni del secondo dopo guerra – e si lavorava soprattutto di fantasia per creare quell’eroe inizialmente molto italiano, divenuto poi di fama mondiale.

“Tex vanta e ostenta delle canottiere che tutti gli italiani usavano negli anni ’40”, ricorda Sergio Bonelli in un’intervista del 2010, “e che per fortuna non erano solo italiane. I francesi, per esempio, erano contenti di vederlo in canottiera, e non in calzamaglia, perché quel tipo di maglietta sarebbe stata inventata a Marsiglia. Questa internazionalità ci ha agevolato. Chiaramente oggi ci sforziamo, con tutti i mezzi a disposizione, di lavorare rifacendoci ad altre immagini.”

La fortuna, il destino se vogliamo, segna la vita degli uomini tanto quanto quella dei personaggi dei fumetti, dove alcuni nascono sotto una buona stella, a prescindere dalle intenzioni autoriali. Così è stato per Tex, come per Sergio:“Non avrei saputo far altro che i fumetti, quindi ringrazio la buona sorte che mi ha permesso di fare questo mestiere.”

Cresciuto con l’ingombrante figura del padre, come Kit Willer, Sergio Bonelli si è via via ritagliato un suo spazio, creativo anzitutto e poi editoriale, inventando prima Zagor, nel 1961, che gli sarà utile per acquisire sicurezza nei confronti del genitore fin troppo esigente e severo (“al massimo puoi sceneggiare Paperino” disse una volta Gianluigi al figlio) e poi tirando fuori dal cilindro Mister No, nel 1975.

E arriviamo al 1976, dove una nuova firma, quella di Guido Nolitta, compare nelle pagine di Tex:”Avevo una tale soggezione di mio padre, e del suo talento, che la prima storia di Tex scritta interamente da me, e firmata con uno pseudonimo, uscì solo nel 1976”, ricordava Sergio, che all’epoca aveva già 44 anni.

Un uomo molto differente dal padre, le cui storie rispecchiavano questa diversità: maggiori sfumature psicologiche

Tex a colori

dei personaggi, luoghi che perdevano alcune certezze storiche, complessità attuali che s’insinuavano nei disegni. Ciò nonostante un uomo all’antica, incrollabilmente innamorato del bianco e nero, stile grafico asciutto ed essenziale, un tempio “in cui poco a poco si è insinuato il veleno (che esempio esagerato!) del colore, ormai parte irrinunciabile delle aspettative di tantissimi lettori”, scriveva Sergio Bonelli in uno dei suoi ultimi editoriali.

Per chi scrive, Tex esiste solo in bianco e nero e il colore è accettato solo negli albi centenari. Tex a colori è altra cosa, è un’esasperazione di quella stessa modernità che ha provato – sbagliando e ottenendo un dimenticabile flop – a portare l’eroe del West al cinema.

Ma è chiaro che, spesso, il gusto personale si scontra con le esigenze del mercato, cui Sergio Bonelli ha – giustamente – prestato l’orecchio, captando il brusio giovanile e il nuovo passo dei tempi. “Non mi resta che arrendermi: se io riesco tuttora (agosto 2011, ndr) a rinunciare serenamente all’uso del telefonino, del computer, di internet e di tante altre meraviglie tecnologiche, questo non significa che tutti siano costretti a fare altrettanto”, sottolineava Sergio con quell’inconfondibile stile democratico che qualcuno ha provato ad inquinare, politicamente, tirandolo per la giacchetta.

Lo hanno considerato di destra perché ammazzava i cattivi senza aspettare il processo. Oppure di sinistra perché odiava le banche”, rispondeva in un intervista a Vittorio Zucconi. La realtà è che Tex, e con lui gli ideatori, sono stati antesignani dei tempi, cambiando persino la percezione che si aveva dei pellerossa e aprendo nuovi scenari sulla storia dei nativi d’America.

Ribellione a ogni forma d’angheria e reazione al conformismo imperante di quel periodo”, scriveva Bonelli padre per definire i tratti caratteriali di “un eroe antirazzista, amico degli oppressi, condottiero degli indiani e padre di un sangue misto”.

Con un linguaggio a tratti biblico ed espressioni memorabili – “che il diavolo mi porti”, “sangue di giuda” “satanasso”, “figlio di coyote”, “corna di mille bisonti”, “per mille fulmini” – Tex è riuscito a festeggiare i suoi 60 anni, portati benissimo, nel settembre 2008 (“Sul sentiero dei ricordi”, n° 575).

Un tempo infinito nel mondo dei fumetti.

Auguriamo a Davide Bonelli, figlio e successore di Sergio, di mantenere intatta la passione familiare, cibandosi di Tex nei momenti di scoramento e non dimenticando mai una delle frasi più belle che il nostro eroe dedicò alla moglie Lilyth: “Una tomba non è fatta solo di fredda pietra, ma anche di sentimenti e di ricordi.”