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MONTI/ Il governo delle banche? Più che una domanda, una realtà. Ecco il perché. Dati e numeri alla mano

Le banche non finanziano più famiglie e imprese. Ma, di contro, sono decisamente di manica larga quando c’è da fare credito allo Stato (gli ultimi dati parlano di oltre dieci miliardi di euro rispetto all’anno passato). Il motivo? Non si sa, anche perché sono proprio le PA le peggiori pagatrici italiane (debiti con le aziende per oltre 100 miliardi). Fatto sta che in questi mesi Monti è stato decisamente prodigo di favori e privilegi importanti proprio nei confronti degli istituti bancari. Analizziamo i tratti più importanti di questo proficuo rapporto a due, Monti-banche.

 

di Carmine Gazzanni

Da mesi sempre la stessa storia: cittadini e pmi trovano le porte chiuse per qualsiasi tipo di finanziamento. Le banche, vista la gravosa situazione economica, non possono fare credito. Non ci sono soldi. Questo, perlomeno, è quello che ci è stato sino ad ora. Peccato, però, che non sia così. A dirlo nessun complottista, nessun economista non allineato, ma l’istituzione prima dell’economia italiana, vale a dire Bankitalia. Secondo alcuni dati raccolti soltanto alcuni giorni fa, infatti, se è vero che le banche non fanno più prestito a famiglie e piccole imprese, è pur vero che il credito nei confronti dello Stato e delle pubbliche amministrazioni è aumentato. E non di poco.

Per capirci meglio, passiamo ai numeri. Come detto, sul versante dei finanziamenti a cittadini e pmi è vistoso un drastico calo: i prestiti sono scesi nel primo caso dello 0,4% (- 2 miliardi), nel secondo del 3,6% (- 32,7 miliardi). Unimpresa, l’associazione che rappresenta piccole, medie e grandi imprese, ha però fatto un passo ulteriore confrontando questi dati appunto con quelli relativi ai finanziamenti bancari alle pubbliche amministrazioni. Il paradosso è evidente: se infatti per cittadini e imprese non c’è possibilità di avere prestiti, il credito nei confronti dello Stato è salito di ben 10,5 miliardi di euro: da settembre 2011 ad agosto scorso si è passati da 173,7 a 184,2 miliardi. Un aumento, dunque, assolutamente in controtendenza rispetto a quanto, invece, sono costretti a pagare cittadini, famiglie e imprese.

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Il problema, peraltro, non è affatto di poco conto. In linea teorica, infatti, le banche dovrebbero far prestiti nel momento in cui abbiano la certezza che quello stesso credito venga un giorno ripagato (con tanto di interessi). Ebbene, lo Stato – paradosso dei paradossi – risulta essere il peggior pagatore italiano: secondo gli ultimi dati sarebbero circa 100 i miliardi che le aziende avanzano dallo Stato. Una cifra spaventosa se si pensa che il monte dei crediti arretrati vantati dalle imprese in tutta Europa è di circa 180 miliardi. In altre parole l’Italia da sola è responsabile di più della metà dei debiti europei con i privati (a cominciare proprio dalle banche). Nonostante tutto questo, le banche non si sono fatte il benché minimo scrupolo: se da una parte è calato drasticamente il finanziamento a privati, dall’altra è aumentato di ben dieci miliardi quello per il peggior pagatore del nostro Stato che – si scusi il gioco di parole – è, in ultima analisi, lo Stato stesso.

C’è chi dice che la figura di Monti a Palazzo Chigi in qualche modo abbia influenzato questo atteggiamento certamente paradossale degli istituti bancari, essendo Il Professore vicino al gotha della finanza italiana (e non solo). Questo non possiamo dirlo. Certo è che, da quando c’è Monti, qualcosa è cambiato. Prendiamo in considerazione un altro aspetto: i titoli pubblici. Sempre secondo i dati di Bankitalia lo shopping dei titoli di Stato (Btp, Bot e Cct) da parte delle banche è aumentato del 52% (ovviamente a tassi ridottissimi) passando dai 201,7 miliardi di euro di settembre 2011 ai 306,6 di agosto scorso. A conti fatti, 105 miliardi di euro in più.

Se però le banche sono state così prodighe nei confronti del governo Monti, questo non è stato affatto da meno. Già nel decreto Salva Italia ritroviamo un aiutino per gli istituti di credito: il ministero dell’Economia (allora in mano allo stesso Monti) “fino al 30 giugno 2012 è autorizzato a concedere la garanzia dello Stato sulle passività delle banche italiane, con scadenza da tre mesi fino a cinque anni, o a partire dal 1 gennaio 2012 a sette anni per le obbligazioni bancarie garantite”. Un modo per non far fallire le banche, insomma. Ma questa non è l’unica norma concepita a favore delle banche dal Governo Monti. Altre, sebbene implicite, garantiscono agli istituti di credito forti guadagni. Ancora nel decreto Salva Italia, infatti, si stabilisce che dal mese di marzo gli enti di previdenza (come ogni pubblica amministrazione o ente pubblico) non potranno più effettuare i pagamenti in contante delle pensioni d’importo superiori ai mille euro, per via del divieto cosiddetto della “tracciabilità” imposto dalla manovra. In pratica, allora, si impone un divieto alla pubblica amministrazione di pagare in contanti le pensioni sopra i 1000 euro. Risultato? I pensionati dovranno farsi un conto corrente. A vantaggio, chiaramente, delle banche. Le quali trarranno beneficio anche dalla già citata norma riguardo all’aliquota sui capitali scudati: le banche, infatti, saranno sostituti d’imposta e incasseranno, per conto dello Stato, l’aliquota dell’1,5%.

E anche quando, in qualche modo, il governo è andato contro gli interessi di istituti e banche, immediato è stato il dietrofront. Il primo marzo scorso il Senato ha approvato il maxiemendamento del governo al Decreto liberalizzazioni. Tra le varie norme una ha scatenato la reazione furiosa delle banche private italiane: l’articolo 27 bis che cancella le commissioni bancarie sugli affidamenti, decretando “nulle tutte le clausole comunque denominate che prevedano commissioni a favore delle banche a fronte della concessione di linee di credito, della loro messa a disposizione, del loro mantenimento in essere, del loro utilizzo anche nel caso di sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido”. In altre parole, la norma abolisce le commissioni delle banche su prestiti e fidi. Una norma che sembrerebbe colpire i privilegi delle banche. E in effetti, come detto, forti sono state le critiche: addirittura tutto il vertice dell’ABI (Associazione Bancaria Italiana) si è dimesso davanti ad una norma reputata assolutamente iniqua. Ed ecco, allora, il dietrofront: norma prontamente cancellata.

Finita qui? Assolutamente no. Come rivelato da Linkiesta lo scorso tre settembre, le cinque maggiori banche italiane hanno ricevuto dallo Stato circa 2,5 miliardi di euro. Nei fatti, un vero e proprio regalo. Il motivo va ritrovato in un codicillo (il comma 55 dell’articolo 2 del decreto Milleproroghe 225/2010) introdotto da Giulio Tremonti e, ça va sans dire, confermato da Mario Monti. Questo comma circoscrive l’ambito di applicazione alle “attività per imposte anticipate” relative alle svalutazioni di crediti, all’avviamento e altre attività immateriali come marchi, brevetti, etc., deducibili su più anni. Detta così, sembra una possibilità aperta a tutte le imprese. In realtà, come scrive Lorenzo Dilena, “dietro i rimandi normativi si scopre che le svalutazioni di crediti interessate sono solo quelle degli enti creditizi e finanziari”. Insomma, ad averne accesso sono solo gli istituti bancari. Unica condizione è che le banche interessate abbiano chiuso i loro bilanci in rosso. Nessun problema, allora, per i maggiori istituti italiani: Unicredit ha chiuso con un rosso di 9,2 miliardi di euro, Intesa Sanpaolo 8,19 miliardi, Mps 4,7 miliardi, Ubi Banca 1,84 miliardi, il Banco Popolare 2,25 miliardi. Ebbene, secondo un calcolo prudenziale realizzato proprio da Linkiesta, quest’anno solo per le cinque maggiori banche italiane il beneficio finanziario supera i 2,5 miliardi di euro. Un regalo bello e buono che, com’è stato anche nel caso del Salva-Italia, scongiura una qualsiasi crisi finanziaria per i maggiori istituti bancari italiani.

Insomma, un rapporto proficuo quello tra Monti e le banche. Decisamente proficuo. Eccezion fatta per i cittadini.