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MASSONERIA ITALIANA/ Dalle liste di Gelli ad oggi: magistratura, giornalismo, economia e imprenditoria

Le liste del 1981 contengono alcuni segreti, come ad esempio l’ordine con cui venivano trascritti i nomi degli appartenenti. Ma che fine hanno fatto, a distanza di anni, alcuni degli iscritti alla P2? Ora come ieri ricoprono ruoli decisivi negli ambiti di potere, con poche eccezioni nella magistratura e una forte presenza nel giornalismo, nell’economia e nell’imprenditoria. E, naturalmente, nella politica.

 

Il 17 marzo 1981, nella villa di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi, un paesino vicino Arezzo, venne ritrovata una lista di 953 nomi: la lista degli appartenenti alla P2. Il ritrovamento fu anche piuttosto casuale. I  magistrati andarono a perquisire gli uffici di Gelli credendo di trovare documenti relativi all’inchiesta su Sindona. I giudici Turone e Colombo, in effetti, stavano indagando su Michele Sindona e non su Gelli, anche se erano ben coscienti del potere di Gelli e avevano messo in pratica ogni accorgimento perché la perquisizione non andasse a vuoto.

Quello che Turone e Colombo trovarono fu ben altro, qualcosa che mai si sarebbero aspettati: una lista con 953 nomi, gli iscritti alla P2, gotha della politica (nella lista erano rappresentate tutte le forze politiche tranne i comunisti), della finanza, dell’imprenditoria, del giornalismo, dell’apparato militare. I due magistrati si trovavano di fronte ad un’associazione che aveva uomini in ogni centro di potere. Proprio per questo la lista rimase segreta per due mesi. Soltanto il Presidente del Consiglio Arnaldo Fanfani era a conoscenza del fatto. E già qui abbiamo il primo cono d’ombra. C’è qualcosa che non torna: perché due magistrati accorti come Turone e Colombo consegnarono la lista a Fanfani, se nel suo Governo c’erano  ben tre ministri piduisti?

Si potrebbe pensare che i due abbiano consegnato tutto al Capo del Governo senza nemmeno dare un’occhiata alla lista, ma questo sembrerebbe ancora più strano. La vicenda rimane poco chiara. Anche perché per ben due mesi la lista rimase segreta in mano a Fanfani. Quando finalmente venne concesso il nulla osta alla pubblicazione, il clamore fu enorme: la pubblicazione delle liste diede luogo a cinque inchieste e provocò conseguenze soprattutto nel settore militare, dove si procedette a sostituzioni e rimozioni. In quella trafila di nomi erano presenti, come detto, tre ministri (Foschi, Manca e Sarti), un segretario di partito (Longo del PSDI). Il contraccolpo fu tremendo: Fanfani stesso decise di dimettersi.

Ma non c’erano solo uomini politici in quella lista. Risultavano iscritti numerosi dirigenti dei servizi segreti, tra i quali il capo del SID, generale Vito Miceli entrato nella P2 nel 1969; e Gianadelio Maletti, capo del più importante settore operativo del SID (Reparto D), entratovi nel 1974. C’erano i nomi di numerosi altri dirigenti, tra cui quello di Walter Pelosi, capo del CESIS; e Pietro Musumeci, generale del SISMI, condannato in via definitiva per aver tentato di depistare le indagini sulla strage della stazione di Bologna.

E ancora Presidenti di banche (da Roberto Calvi, morto misteriosamente a Londra nell’82, a Michele Sindona, coinvolto nella stessa morte di Calvi e morto in carcere avvelenato), industriali (da Silvio Berlusconi ad Aldo Alasia della Olivetti), direttori di giornali (da Maurizio Costanzo, allora direttore di “Occhio”, a Franco Di Bella, ex direttore de “Il Corriere della Sera”), diplomatici(tra i quali molti ambasciatori argentini), editori (da Angelo Rizzoli a Giovanni Fabbri), diversi magistrati (tra i quali Osvaldo De Tullio, giudice della Corte dei Conti; Domenico Pone, consigliere di Cassazione; Giuseppe Croce e Giovanni Palaia del Csm). E ancora onorevoli, uomini di partito, funzionari ministeriali, sindaci, Presidenti di regione e provincia, prefetti, dirigenti Rai. Insomma una rete assolutamente estesa in tutti gli ambiti di potere.

Ma come funzionava questa lista? La prima parte dell’elenco comprendeva esclusivamente massoni doc, con una forte percentuale di gradi “30” e “33” (i gradi massonici vanno da 1 a 33) ed una forte prevalenza di baroni universitari, generali in pensione, medici, i notabili insomma. Tutti annotati in ordine alfabetico. Sarebbe, questo, il quadro di una normale loggia massonica.  Ad un certo punto, però, accade qualcosa di strano: qualcuno – Licio Gelli – decide di “allargare” anche ad altri la possibilità di entrare nella P2; questa seconda parte dell’elenco è costituita ancora, in linea di massima, da massoni, ma i gradi “33” adesso sono rari; la media diventa il grado “3, vale a dire il massone ordinario. Inoltre cominciano a fare il loro ingresso non più generali in pensione, ma i capi dei servizi segreti (questo spiegherebbe perché molti ritengono che uno dei primi obiettivi di Gelli era quello di rifondare lo Stato attraverso una sorta di “colpo di Stato”).

La particolarità, in questa seconda parte della lista, sta anche nel fatto che i nomi non venivano più segnati in ordine alfabetico, segno questo che i nomi erano aggiunti nel momento stesso in cui qualcuno faceva il suo ingresso nella loggia massonica. Non è finita qui. Sia dall’elenco ufficiale che dal tabulato può essere ricostruita anche una terza fascia. Ed è proprio l’ultimo periodo quello di maggiore attività di Gelli. Le caratteristiche di quest’ultima parte, la più piccola, ma anche la più concentrata, sono molto importanti: non c’è nessun alto grado della massoneria; molti degli iscritti non sono mai stati massoni; abbiamo ufficiali, funzionari e politici più “operativi” rispetto ai precedenti.

LA P2 OGGI NELLA MAGISTRATURA E NEL GIORNALISMO

Ma a questo punto chiediamoci che fine hanno fatto, a distanza di anni, alcuni degli iscritti alla P2. In un articolo di qualche tempo fa Gianni Barbacetto scriveva: “Pochi del club P2 sono stati messi davvero fuori gioco dallo scandalo che seguì la pubblicazione degli elenchi”. È un’affermazione quanto mai esatta: molti degli iscritti alla loggia di Gelli ora come ieri ricoprono ruoli decisivi negli ambiti di potere. Unica eccezione, la magistratura:  nella lista comparivano ben 14 giudici che furono giudicati e sanzionati dal Consiglio Superiore della Magistratura. Anche se, a onor del vero, non mancano le eccezioni. Uno dei magistrati iscritti alla P2, Giuseppe Renato Croce (tessera numero 2071), oggi ricopre addirittura un ruolo istituzionale nel Comune di Roma, sebbene sia già da tempo in età pensionabile: responsabile del “Servizio Protezione Ambiente. Molti probabilmente si ricorderanno di Croce perché, qualche anno fa, nelle vesti di Gip al Tribunale di Roma, difese a spada tratta Marcello Dell’Utri contro un giudice che stava giudicando il senatore pidiellino in Cassazione e aveva confermato la condanna definitiva per frode fiscale.

Ma il discorso non cambia se ci spostiamo nel mondo del giornalismo. Gli iscritti erano ben 22. Tra questi ritroviamo innanzitutto Maurizio Costanzo. L’ex direttore di Canale 5 e oggi alla Rai, fu uno dei pochi che confessò apertamente, contrariamente a molti altri massoni e soprattutto agli obblighi di loggia, la sua appartenenza alla P2. Questo nonostante egli avesse occupato un ruolo di riguardo nella loggia: era maestro, un grado inferiore solo allo stesso Licio Gelli. Altra curiosità. La sua tessera era a sole tre posizioni di distanza da quella di Silvio Berlusconi: i due, dunque, si erano “tesserati” presumibilmente lo stesso giorno.

Ma anche altri giornalisti piduisti hanno fatto carriera. Una particolarità degna di nota: molti di questi proprio grazie alla “longa manus” di Silvio Berlusconi. Potremmo iniziare parlando di Gustavo Selva (è bene ricordare che il suo nome compare nella lista di Gelli, ma lui ha sempre negato citando anche in giudizio Dario Fo che aveva parlato appunto di Selva come appartenente alla P2), ex giornalista, oggi parlamentare proprio con il Pdl. La sua vicenda è molto curiosa: da sempre deputato con An, il 9 giugno del 2007 Selva, invitato ad un dibattito televisivo su La7, per evitare di arrivare in ritardo negli studi a causa del traffico, finse di avere un malore e si fece trasportare da un’ambulanza del 118 all’indirizzo che, mentendo, disse essere quello del suo medico di fiducia, ma che in realtà era quello della rete televisiva. Addirittura a detta del personale del 118, il deputato di An minacciò anche di licenziare gli infermieri qualora lo avessero inseguito. La vicenda fece grande scalpore e, circa un mese dopo, un suo compagno di partito, Gianni Alemanno, chiese di condurre un’azione disciplinare contro Selva in merito alla questione. Diversi esponenti di Alleanza Nazionale avanzarono la proposta di sue dimissioni, ma Selva anticipò tutti e, sua sponte, abbandonò spontaneamente il partito. Ma non lasciò la politica: il giorno successivo passò nelle file di Forza Italia.

E ancora. Altro giornalista che mantiene un rapporto privilegiato con Berlusconi è Massimo Donelli: dal 2006 è direttore di Canale 5 e, da poco, è stato nominato direttore anche del nuovo canale DTT di Mediaset La 5 e, dal novembre 2010, dirige anche Mediaset Extra. Altro giornalista iscritto alla P2 che ha potuto contare su una grande amicizia con Berlusconi è Roberto Gervaso, conduttore oggi su Rete4 di“Peste e corna e gocce di storia” (programma di cinque minuti che va in onda alle 06.15 circa e replica alle 04.00). Alla loggia di Gelli era iscritto con la tessera numero 622 e, come Costanzo, anche lui era maestro. Particolarità: era stato lui stesso a presentare la richiesta di Silvio Berlusconi per aderire alla loggia.

LA P2 OGGI: IL MONDO ECONOMICO E IMPRENDITORIALE

È cosa risaputa: la P2 aveva forti ramificazioni soprattutto nei centri economici. Si contano nella lista una decina di nomi di rappresentanti di compagnie di assicurazioni, quasi cinquanta tra presidenti di banche, funzionari, direttori generali, consiglieri di amministrazione; e poi ancora industriali, imprenditori, dirigenti. Inoltre sappiamo bene che quando di mezzo ci sono anche i soldi, la questione tende, quasi naturalmente, a farsi più ingarbugliata. Basti pensare al suicidio-omicidio dai risvolti ancora oscuri del banchiere dell’Ambrosiano Roberto Calvi. O ancora a Michele Sindona, piduista che ebbe rapporti anche con la mafia, e che, per giunta, rimase coinvolto nell’omicidio di Calvi stesso.

Ma arriviamo al presente. Chi sono gli ex piduisti ancora “attivi”, per usare un termina massonico, sul mercato? Angelo Rizzoli, ex editore de “Il Corriere della Sera”, cedette in pochi anni il quotidiano al Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, a Gelli e ad altri piduisti. Il tutto all’insaputa dell’opinione pubblica. Quando la lista venne resa pubblica e si scoprì l‘appartenenza alla loggia di Rizzoli (tessera numero 532) e anche del direttore generale Bruno Tassan Din, iniziarono per costoro periodi bui: arrestati per bancarotta patrimoniale. Rizzoli fu condannato a tredici mesi di carcere e tutti i suoi beni (compresa la fetta di maggioranza della sua casa editrice) vennero sequestrate. Dagli anni Novanta, tuttavia, Rizzoli è tornato alla ribalta come produttore cinematografico.

Altro banchiere molto noto iscritto alla P2 era Antonio D’Alì, proprietario della Banca Sicula. Funzionario di questa banca era Salvatore Messina Denaro, arrestato nel 1998, fratello del capo di Cosa Nostra Matteo. Talis pater, talis filius: il figlio del piduista, Antonio Jr. D’Alì, ex Presidente della Provincia di Trapani, dal 1994 sempre eletto al Parlamento, è stato anche Sottosegretario all’Interno, incarico questo non riconfermatogli, come sono in molti a sostenere, a causa delle innumerevoli informative di polizia sul suo conto pervenute al vaglio del ministro dell’Interno Maroni: il senatore, infatti, ad oggi resta indagato per concorso esterno in associazione mafiosa.

Roberto Memmo (tessera numero 1651) oggi è un grande amico di personaggi quali Marcello Dell’Utri, Cesare Previti e Renato Squillante e del compagno di loggia Vittorio Emanuele di Savoia (tessera numero 1621). Basti pensare che Emanuele Filiberto festeggiò le nozze con Clotilde Courau proprio nel salone degli specchi di Palazzo Ruspolo di proprietà di Memmo. E a questo punto parliamo anche di Vittorio Emanuele. Come dice anche Barbacetto parlando della questione, “un curioso caso di uomo off-shore”: era iscritto alla P2 (anche se era “in sonno”, ovvero non partecipava attivamente negli anni del ritrovamento della lista) sebbene non potesse entrare in territorio italiano. Ma certamente era una pedina fondamentale in mano a Gelli: Vittorio Emanuele, infatti, nei decenni scorsi è stato mediatore d’affari all’estero per conto di aziende italiane (Agusta, industria di armi) soprattutto con i Paesi Arabi, e addirittura di Stato (Italimpianti, Condotte), di quello stesso Stato nel quale non poteva rientrare.