MAFIE AL NORD/ ‘Ndrangheta, camorra e mafia: ecco come le piovre conquistano il Paese
‘Ndrangheta, camorra, mafia. Le criminalità organizzate, contrariamente a quanto spesso si voglia far credere, sono ormai presenti in pianta stabile nelle regioni del Nord Italia, come dimostra la foto che racconta un summit di ‘ndrangheta nel milanese, ripreso dalle forze dell’ordine. Si insinuano nel tessuto economico, dispongono di importanti appalti, controllano giri d’affari. Come ci dice infatti il giornalista antimafia Biagio Simonetta, “parlare oggi di ‘infiltrazioni’ è estremamente riduttivo”. Qual è, allora, la realtà criminale nel Nord Italia?
di Carmine Gazzanni
“Il termine ‘infiltrazione’ è un termine che non funziona più. L’infiltrazione è un’azione iniziale: quando tu inizi ad instaurare un certo tipo di logiche, ti infiltri. Oggi, invece, la ‘ndrangheta, in Lombardia per esempio, esiste, c’è, è nel tessuto sociale, ha già aggredito i tessuti economici negli anni scorsi. Parlare di ‘infiltrazioni’ è estremamente riduttivo”. Il quadro che ci offre Biagio Simonetta, giornalista antimafia, autore di “Faide. L’impero della ‘ndrangheta” (Cairo Editore), è certamente uno dei più veritieri che si possa offrire.
I tanti rapporti della Direzione Investigativa Antimafia (DIA) rivelano, d’altronde, una presenza sempre più massiccia delle organizzazioni mafiose al Nord (soprattutto, come vedremo, in Liguria, Lombardia e Piemonte). L’ultimo rapporto stilato (primo semestre 2011) offre un quadro senz’altro in aperta opposizione con l’immagine che spesso si vuole offrire del Settentrione come terra lontana dalle infiltrazioni. Basti pensare che è proprio il Nord l’area in cui si concentra la percentuale più alta di reati legati alla corruzione, all’estorsione, all’antiriciclaggio. D’altronde, come si legge nel rapporto, gli esiti investigativi “confermano che la vocazione imprenditoriale della criminalità organizzata” si realizza “attraverso un tasso di violenza marginale, preferendo, invece, l’incessante ricerca di latenti forme di partecipazione e accordo con settori della politica locale, dell’imprenditoria e della pubblica amministrazione”. Insomma, non tramite “occupazione del territorio e intimidazione”, ma tramite “l’avvicinamento/assoggettamento di figure professionali legate da comunanza di interessi”. Basti pensare all’antiriciclaggio: le segnalazioni pervenute alla DIA nel semestre gennaio-giugno 2011 sono state 15.725. Di queste ben il 48% al Nord: solo in Lombardia sono state 3.531; segue il Piemonte con 1.131. Ciò evidenzia “che le suddette aree rimangono sempre un importante snodo delle attività potenzialmente riconducibili al riciclaggio”. Stesso discorso anche per le estorsioni: in un’ipotetica classifica, la Lombardia è seconda solo alla Campania (468) con 336 estorsioni accertate.
Insomma, una mafia che potremmo definire “da salotto”, che necessita della connivenza delle istituzioni: “c’è un pentito, Rocco Varacalli – ricorda Simonetta – il quale ha detto una frase che racchiuda un po’ tutte le dinamiche delle mafie al nord: ‘la politica ha bisogno della ‘ndrangheta e la ‘ndrangheta ha bisogno della politica’. La politica ha bisogno dei voti; la ‘ndrangheta ha i voti, ma ha bisogno della politica perché è la politica che concede gli appalti. È un circuito che non lo fermi”. Questo quadro, però, non deve fuorviare: “è vero che al Nord c’è una situazione diversa rispetto al Sud nel senso che ci sono più connivenze con la politica, meno fatti di sangue eclatanti – osserva ancora il giornalista antimafia – Però ci sono dei quartieri a Milano, ci sono dei paesi nell’hinterland milanese dove sostanzialmente il volto truce della ‘ndrangheta è uguale a quello che c’è a Reggio Calabria o a Locri”.
SOPRATTUTTO ‘NDRANGHETA. MA ANCHE MAFIA E CAMORRA – Già nel 2010 il rapporto del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) dichiarava che “la ‘ndrangheta è la mafia dominante al Nord”. Le ‘ndrine agiscono certamente in maniera diversa rispetto al passato, ed oggi, come ogni azienda che si rispetti, diversificano i loro interventi: se sono costrette a disimpegnarsi da un settore (perché poco “redditizio” o a causa di indagini) s’impegnano in un altro. Il tutto tramite la connivenza delle realtà locali. Recita il rapporto del CNEL: “nella capacità d’investire il denaro acquistando immobili o rilevando attività economiche di vario tipo o partecipando da protagonista alle transazioni in un mercato opaco c’è tutta l’abilità dei moderni mafiosi che sono riusciti nella straordinaria impresa di riciclare enormi quantità di denaro con l’aiuto di professionisti e di faccendieri locali che hanno messo al servizio dei mafiosi le loro capacità, la loro professionalità e la loro conoscenza della realtà economica locale, sia quella legale che quella illegale”. La ‘ndrangheta, meglio di chiunque altro, si è comodamente insediata nel triangolo industriale Torino-Milano-Genova occupando fette sempre più importanti dell’attività imprenditoriale e commerciale.
E, in questo quadro, la Lombardia, con un PIL tra i più ricchi d’Italia, è la meta preferita della colonizzazione. Già nel rapporto della DIA del 2010 si legge che la regione lombarda si conferma “la regione d’Italia con il maggior indice di penetrazione nel sistema economico legale dei sodalizi criminali della ‘ndrangheta”. Oggi, a distanza di due anni, non parliamo più di penetrazione, ma di effettiva presenza in pianta stabile. È questo, ad esempio, quello che emerge dalle Operazioni Montecity-Santa Giulia e Infinito (per citare le due più importanti), in cui sono state accertate – conferma la DIA – “da un lato realtà imprenditoriali colluse con la cosca Barbaro; dall’altro un ‘comitato d’affari’ supportato anche da figura della P.A. locale che avrebbero aggirato basilari regole di mercato per stravolgere e pilotare l’assegnazione di appalti pubblici”. Ma la zona lombarda e soprattutto milanese, stando a quanto rivelato da MilanoMafia, fa registrare la presenza anche di altri esponenti illustri. Tutti legati all’edilizia. A Sud di Milano abbiamo la presenza della cosca Muià-Facchineri; a Nord, invece, lavorano i fratelli Mandalari, Nunzio e Vincenzo, i quali “specializzati in edilizia, hanno il loro quartier generale nella zona di Bollate”. A Monza, invece, ritroviamo i Moscato, “costruttori con legami di parentale con il boss di Melito Porto Salvo, Natale Iamonte”. E tra questi spicca il “taycoon dell’edilizia, coinvolto, ma poi prosciolto, in un indagine di ‘ndrangheta di metà anni Novanta”, Nicola Moscato.
Ma la Lombardia non è solo ‘ndrangheta. Anche la mafia siciliana ha attecchito nella regione di Formigoni. L’Operazione Tetragona, infatti, ha messo in luce una fitta rete di “relazioni delittuose tra imprenditori di origine gelese operanti nell’area di Busto Arsizio e Genova, e le famiglie Renzivillo ed Emanuello”, due cosche mafiose originarie, l’una di Gela, l’altra di Enna. C’è posto, poi, anche per la camorra, la cui presenza è senz’altro meno visibile rispetto a quanto manifestato dagli appartenenti alle altre mafie nazionali, tuttavia – osserva ancora la DIA – “in regione va rivelata la presenza di pregiudicati in qualche modo riferibili alla criminalità organizzata campana”, come alcuni appartenenti al clan degli scissionisti, impegnati, secondo le ultime indagini, nel traffico di stupefacenti.
In Piemonte la situazione non è certamente diversa. Anzi, come conferma la DIA, è questa la regione dove la ‘ndrangheta ha attecchito maggiormente. Basti pensare all’imponente operazione Minotauro: 148 persone arrestate per reati a vario titolo (voto di scambio, usura, traffico d’armi e stupefacenti) e sequestro di beni per 50 milioni di euro. L’operazione ha evidenziato che “nella regione sono radicate qualificate presenze di soggetti riconducibili alle ‘ndrine del vibonese, della locride, delle coste ioniche e tirreniche reggine”. Ma la presenza ‘ndranghetista è talmente forte che sono nati anche clan locali: ben nove locali – come vengono chiamate – rappresentati da altrettanti esponenti mafiosi residenti in Piemonte. Non a caso è proprio in Piemonte che, nel 1995, abbiamo avuto il primo comune del Nord sciolto per mafia: stiamo parlando di Bardonecchia, località dell’Alta Val di Susa, “caduta” nelle mani prima del boss calabrese Rocco Lo Presti sin dagli anni ’70 (fu un dominio il suo, condito anche da atti efferati: nel ’75 l’imprenditore Mario Ceretto, reo di essersi opposto agli interessi di Roccuzzo, venne rapito e assassinato), poi dei fratelli Vincenzo e Francesco Mazzaferro. E già da allora gli interessi criminali erano legati all’edilizia: Traforo del Frejus e Tav su tutti.
E, infine, la Liguria, regione in cui oggi sono due i comuni sciolti per mafia: Bordighera e Ventimiglia (quest’ultimo il 6 febbraio di quest’anno). Scrive d’altronde Legambiente nel dossier Mare Monstrum: “L’ombra della ‘ndrangheta si è allungata su tutta la Liguria, soprattutto sulla costa, la parte più ambita per occultare e “lavare” denaro sporco”. A far gola, anche qui, sono soprattutto gli appalti: alcuni mesi fa la commissione prefettizia rivelava i forti interessi ‘ndranghetisti “legati al ripascimento delle spiagge e agli interventi successivi all’alluvione che aveva devastato le coste liguri nel 2006”. Tutti questi lavori, secondo le indagini, sono stati portati avanti da ditte facenti capo alla famiglia calabrese dei Pellegrino, un clan al quale lo scorso 27 maggio la Dia ha sequestrato beni per 9 milioni di euro.
Ma gli appalti del litorale fanno gola a molti: nella regione, infatti, è stata accertata anche la presenza di un’associazione di tipo mafioso diretta emanazione della fazione di Cosa Nostra, riferibile al noto Giuseppe Piddu Madonia. Ad agire sono due famiglie, la famiglia Fiandaca dedita a “lotto-toto clandestino, usura ed estorsione”; l’altra facente capo ai già citati fratelli Emmanuello, dedita soprattutto al traffico di stupefacenti. A far gola, però, sono anche i rifiuti: l’11 marzo 2011 il Tribunale di Palermo ha sottoposto a sequestro beni e società per oltre 20 milioni di euro riconducibili “ad un elemento mafioso del Rione Kalsa di Palermo che da alcuni anni si era ritagliato una posizione di preminenza nel settore del trattamento di rifiuti nel Settentrione”. A cominciare, appunto, dalla Liguria.