Dossier Marcegaglia, tra crac, amici e Alitalia
Nel vero Dossier Marcegaglia è coinvolta la famiglia di Lady Confindustria, dal fratello Antonio al papà Steno. Ma si parla anche di amici importanti e Alitalia.
La prima parte del Dossier Marcegaglia, pubblicata ieri, si concludeva con un passaggio dedicato al papà di Emma, Steno Marcegaglia, protagonista – secondo la magistratura – insieme al figlio Antonio di movimenti finanziari sospetti: secondo l’accusa, il gruppo Marcegaglia, a cavallo tra gli anni Novanta e i primi anni del 2000, avrebbe comprato acciaio da alcune società di trading che riversavano i margini di guadagno su appositi conti, chiaramente cifrati. Il meccanismo prevedeva continui passaggi tra società di trading in maniera tale che il guadagno lievitasse e i beneficiari finali di questi continui passaggi erano padre e figlio, Steno Marcegaglia e Antonio.
D’altronde Steno è più volte finito sotto la lente della magistratura. Sempre in quegli anni (2003) infatti Steno Marcegaglia venne indagato e condannato in primo grado per il crac Italcase/Bagaglino: una truffa da manuale per miliardi e miliardi di vecchi lire. In pratica, l’agenzia, una volta una delle più importanti in Italia, ma in quel periodo già dichiaratamente in fallimento, prometteva ville, vacanze da sogno, soggiorni in giro per il mondo; tutti castelli in aria ovviamente, ma intanto gli acquirenti continuavano ad abboccare. L’inchiesta colpì anche numerose banche creditrici (furono indagati anche nomi di spicco della finanza italiana, tra i quali, ad esempio, Geronzi e Colaninno): tra il 1998 e il 2001 i banchieri, infatti, avrebbero dato via libera a crediti per oltre 250 miliardi di lire alle società del gruppo Bagaglino, ben sapendo che ormai quelle aziende erano decotte.
Ma dietro, chiaramente, uno scopo preciso: secondo l’accusa, tramite le ipoteche rilasciate a garanzia, le banche sarebbero riuscite a “salvare” buona parte dei finanziamenti degli imprenditori di Italcase, con grave danno, di contro, di migliaia di altri creditori che non vedevano tutelati, in questo modo, i propri interessi. Si sono, in pratica, agevolati alcuni creditori (amministratori delle società Italcase) a danno di altri. E, tra queste banche, anche la Banca Agricola Mantovana che contava, tra i suoi amministratori, anche Steno Marcegaglia. Ciò gli è valsa la condanna in primo grado per bancarotta preferenziale a quattro anni ed un mese; condanna poi ritirata in appello perché “il fatto non sussiste”. Stessa sorte anche per Colaninno.
Ma si vede che la vicenda ha unito i due imprenditori, Marcegaglia e Colaninno. Fulcro ed oggetto della loro “unione imprenditoriale” l’Alitalia. Marcegaglia S.P.A., infatti, aveva aderito alla “cordata italiota” guidata da Colaninno, per salvare l’Alitalia dalle mani straniere. Ricordate? Silvio Berlusconi due anni fa aveva costruito buona parte della sua campagna elettorale dicendo che la compagnia aerea doveva rimanere tutta italiana e che aveva i nomi di chi avrebbe potuto salvarla. E i nomi c’erano. Ed anche un accordo: nessuno avrebbe dovuto vendere le azioni (e dunque abbandonato la compagnia aerea) prima del 2013. E invece cosa fa Emma Marcegaglia? Dopo nemmeno un anno, nel novembre 2009, annuncia in un’intervista che abbandonerà l’Alitalia non appena AirFrance sottoscriverà l’accordo (ma non si era detto niente stranieri?).
E dunque abbandona la cordata con le seguenti parole: “Il mio ruolo si è concluso”. Un giorno ci spiegherà quale sia stato il suo ruolo e il suo sacrificio, dato che “Lady Confindustria” ha solo guadagnato da questa sporca manovra: ha comprato le azioni ad un prezzo stracciato (poiché l’Alitalia era indebitata) e le ha rivendute al prezzo di mercato (alto, visto che nel mentre lo Stato ha pagato i debiti). Un guadagno assicurato per gli amici del Capo che ha concepito la manovra. E a farne le spese, come sempre in questi ultimi anni, noi, il popolo italiano che dovrà realmente far fronte ai debiti cancellati all’Alitalia.
Insomma, la compagnia aerea è stata pseudosalvata (o meglio salvata, trasferendo i debiti sul groppone degli italiani) da una cordata costituita da indagati e pregiudicati. I Marcegaglia, infatti, erano in ottima compagnia nel consiglio di amministrazione. Si andava da Angelo Riva (il cui gruppo aziendale ha vissuto diversi casi giudiziari legati all’inquinamento e agli infortuni sul lavoro; basti pensare all’Ilva di Taranto), a Salvatore Ligresti (condannato nel ’92, durante Tangentopoli, per tangenti, patteggiò con la giustizia 2 anni e 4 mesi; ultimamente è stato indagato per corruzione a Firenze. Sono molti, poi, coloro che ritengono ci siano rapporti tra l’imprenditore e la mafia); da Carlo Toto (arrestato con un funzionario Anas durante il periodo pre-Mani Pulite per falso), a Marco Tronchetti Provera (attualmente indagato per presunti dossier illeciti); da Salvatore Mancuso a Gaetano Miccichè (due amici di vecchia data che gestivano la Equinox, azienda coinvolta in diverse operazioni discutibili, che costarono la presidenza del Banco di Sicilia, tanto caldeggiata dall’allora Governatore Cuffaro, a Mancuso).