Follia UE, in programma il Debt Redemption Fund: 1.000 euro all’anno di tasse per persona per 20 anni
Alzi la mano quanti hanno sentito parlare dell’ultima, mostruosa, follia targata Unione Europea: il Debt Redemption Fund. I giornaloni nostrani, tutti protesi a contarci le gesta renziane, si sono “dimenticati” di svelare l’arcano. Potevano non sapere? No, perché persino il quotatissimo Financial Times, nel novembre 2011, descriveva “l’urgenza europea di creare un Debt Redemption Fund”. Ma tutti i nodi vengono al pettine e Marzo 2014 è il termine ultimo che il Gruppo di Esperti, incaricati da Bruxelles, si è dato per presentare il report finale su DRF. Cerchiamo, allora, di capire cos’è e perché (quasi) tutti ce lo tengono nascosto.
La migliore descrizione di quanto folle, stupida e pericolosa sia l’idea del Debt Redemption Fund l’ha data Alessandro Guzzini su Micromega.
“Si è fatta strada negli ultimi tempi l’idea di un Fondo di Redenzione come alternativa agli Eurobond. Ma se davvero fosse attuato, il 10% del PIL italiano dovrebbe, per 20 anni, andare al servizio (e all’estinzione) del debito: una follia per chiunque abbia una minima nozione di Macroeconomia e di Fiscalità.”
Guzzini è amministratore delegato e presidente del comitato investimenti di FinLABO Sim, società d’investimenti. Laureato con lode in ingegneria e diplomato al Master ISTAO in gestione di impresa, ha iniziato la sua carriera come consulente di direzione alla JMAC Europe. E’ socio AIAF (Associazione Italiana Analisti Finanziari) e membro del consiglio di amministrazione di Fimag Spa (Gruppo Guzzini), della IGuzzini Spa e di Finlabo Investments Sicav SA.
Non è, quindi, un anti-europeista alla Grillo o un “complottista” alla Barnard, per capirci.
“L’idea dei tedeschi – continua Guzzini su Micromega – è di creare un fondo che acquisti il debito pubblico di ogni paese che ecceda il 60% del PIL dello stesso. Secondo i piani, il fondo dovrebbe avere una garanzia congiunta di tutti i paesi dell’Eurozona e dovrebbe finanziarsi emettendo titoli di debito sul mercato. (…) Il fondo andrebbe ammortizzato in 20 anni, quindi ogni anno ogni paese si dovrebbe impegnare a versare gli interessi (che rimarrebbero ugualmente elevati, non è previsto infatti una rimodulazione degli stessi essendo i titoli già emessi sul mercato) ed una quota del debito stesso.
Facendo l’esempio dell’Italia quindi, il fondo acquisterebbe un ammontare di debito pubblico pari a circa il 65% del PIL (quindi circa 1000 miliardi): ogni anno l’Italia dovrebbe versare al fondo quindi circa 50 miliardi come rimborso del capitale ed altri 40 circa a titolo di interesse; in pratica al fondo andrebbe versato ogni anno quasi il 6% del PIL. Da notare che all’Italia poi rimarrebbe sempre in carico il 60% del proprio debito (sempre in rapporto al PIL): questo debito diventerebbe di fatto subordinato al primo ed è quindi evidente che i tassi di interesse sui nuovi titoli emessi salirebbero invece di scendere! È probabile quindi che per servire il debito che rimarrebbe in carico direttamente al paese l’Italia dovrebbe, con tutta probabilità, spendere circa un altro 3-4% del proprio PIL. In totale quindi il 10% del PIL italiano dovrebbe, per 20 anni, andare al servizio (e all’estinzione) del debito: chiunque abbia la minima nozione di Macroeconomia e di Fiscalità pubblica può capire come sia del tutto assurdo che ciò possa essere realizzabile!”
50 miliardi all’anno fa, less or more, circa 1.000 euro a testa all’anno, compressi vecchi in punto di morte e neonati.
Gli esperti, o presunti tali, che compongono il gruppo di lavoro sul Debt Redemption Fund sono undici: qui trovate tutti i nomi. Su cui spicca un nome in particolare, perché esaustivo del sistema alla base del DRF: parliamo di Beatrice Weder di Mauro, tecnocrate con un passato lavorativo prima al Fondo Monetario Internazionale poi alla Banca Mondiale. Oggi la signora siede nel board della ThyssenKrupp, l’azienda tedesca condannata al risarcimento danni per il rogo di Torino e la morte di 7 operai, ed nel board di Hoffman-La Roche, l’azienda svizzera accusata, insieme a Novartis, di disastro doloso per aver fatto “cartello” sui farmaci.
Ora, la domanda è questa: possono siffatti “esperti” decidere, senza condizionamenti, del destino di un’Europa intera?
La risposta la avremo a breve. E ci sarà poco da stare allegri.