Airbnb: tra case in affitto e tasse non pagate, i segreti del sito

Gli uffici della sede principale di Airbnb

Airbnb è il sito più famoso dove cercare e trovare case in affitto, soprattutto da privati, a costi contenuti. Il risvolto della medaglia, niente è gratis, riguarda la montagna di tasse evase dal colosso americano. Che ha anche altri segreti.

Dal 2007 Airbnb offre a chi visita il sito web una vasta gamma di appartamenti in affitto e case vacanza con canoni molto vantaggiosi.

Oggi il portale è leader del settore, gli incassi sono ingenti e i ricavi per i privati che affittano sono notevoli.

Per brevi soggiorni all’estero o per lunghi periodi di vacanza è possibile risparmiare trovando camere, appartamenti, ville e addirittura barche. Tutto a prezzi concorrenziali.

Ma Airbnb è un caso mediatico anche per i numerosi guai giudiziari che l’hanno coinvolta.

Evasioni fiscali e irregolarità degli utenti ne hanno offuscato la notorietà.

La storia di Airbnb, dalla nascita alla quotazione in Borsa

IL MIGLIOR SITO PER CERCARE CASA

Come Uber, anche Airbnb è un prodotto della sharing economy, ovvero di una forma di commercio basato sullo scambio o sulla condivisione di beni materiali o servizi, per lo più tra privati. Che, infatti, sono la maggioranza dei cosiddetti host, quelli che offrono case in affitto senza intermediari.

La crescita della sharing economy

Il sito venne aperto nell’ottobre del 2007 da Brian Chesky, Joe Gebbia e Nathan Blecharczyk per ovviare ad un problema fondamentale di chi viaggia: la reperibilità di un tetto a costi contenuti.

I fondatori: da sinistra, Joe Gebbia, Nathan Blecharczyk e Brian Chesky

Questa domanda andava incontro all’esigenza del mercato privato: dare in affitto le stanze libere della casa, o l’intera casa, e arrotondare così lo stipendio.

Da questo incontro tra domanda e offerta nasce Airbnb.

UN SUCCESSO, IN ITALIA E NEL MONDO

Nel 2012 ha aperto i suoi uffici anche in Italia. E gli italiani, inizialmente soprattutto nelle grandi città di Milano e Roma, non hanno perso tempo a coglierne i benefici.

Nel 2016 Matteo Stifanelli, Country Manager di Airbnb per l’Italia, ha presentato a Roma il report Fattore Sharing: l’impatto economico di Airbnb in Italia.

Matteo Stifanelli, country manager Italia

Fra le evidenze principali dello studio:

La community ha contribuito nel 2015 a un beneficio economico complessivo di € 3,4 miliardi, supportando l’equivalente di quasi 100.000 posti di lavoro.

3,6 milioni di ospiti hanno usato Airbnb per viaggiare in Italia durante l’anno passato e 1,34 milioni di residenti italiani hanno scelto Airbnb per viaggiare all’estero.

Nel 2015, 82.900 hosts italiani hanno accolto ospiti nelle loro case. In media un host guadagna € 2,300 all’anno condividendo il suo alloggio per 24 notti.

Airbnb rappresenta un aiuto importante per numerosi host; Il reddito di molti di loro è infatti inferiore al reddito medio pro capite in Italia (€ 22.200). L’87% degli host ha solo uno o due annunci attivi sulla piattaforma ed è residente nella città in media da 32 anni.

Airbnb accresce l’affluenza turistica, portando un sostegno economico ai cittadini, alle attività e comunità locali. Gli host in Italia hanno ricavato € 394 milioni durante lo scorso anno, accogliendo ospiti nelle proprie case, mentre questi ultimi hanno speso € 2,13 miliardi presso le attività commerciali locali (impatto netto).

La lunghezza media del soggiorno con è stata di 3,6 notti, paragonata al 3,0 delle soluzioni tradizionali.

Qui puoi leggere il report completo.

Panoramica sulla community degli host in Italia

EVASIONI, TASSE E MANCANZA DI REGOLE

Il devastante impatto della sharing economy, come dimostra anche il caso di Uber, non è ancora stato regolamentato dalla legge.

L’unica proposta politica è stata presentata alla Camera il 27 gennaio 2016 ma è ancora in fase esplorativa.

In buona sostanza, una fetta del Pil italiano sfugge alle regole fiscali dello Stato.

Ecco perché gli ingenti incassi di Airbnb hanno posto non pochi problemi per quanto riguarda il versamento delle tasse.

I furbetti di Airbnb nell’infografica de La Stampa

Il risultato porta al proliferare di quelli che Gabriele Martini per La Stampa definisce furbetti:

Nel vuoto normativo crescono evasione e illegalità.”

La Guardia di Finanza può poco contro il colosso americano, come ammette il generale Alberto Reda:

“Nell’inverno 2015 siamo stati nella sede italiana di Airbnb. È stata una visita conoscitiva. Abbiamo chiesto gli elenchi dei locatori, ma non ce li hanno forniti spiegando che i dati erano custoditi sui server all’estero.”

Il problema vero riguarda la discrepanza tra le strutture ricettive ufficiali registrate e quelle presenti invece sul sito di Airbnb:

“A fine 2014 l’Istat censiva 117mila strutture tra B&B, affittacamere e agriturismi. Ma le offerte sul sito erano 170 mila. Resta da capire se le decine di migliaia di affittacamere fantasma, oltre a sfuggire al censimento, paghino o meno le tasse. Il sospetto è per lo meno legittimo.”

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