Storytelling su Lifestyle, Sport, Tech e Food

Renzi-Prodi, si stringe il nuovo asse con vista Quirinale

Prodiani in movimento: Parisi, Flick e Gozi in lizza per il governo Renzi. Tutto in ottica Quirinale.

 

Romano Prodi ha un sogno nel cassetto: diventare presidente della Repubblica entro il 2015 quando a Milano arriverà l’Expo, la manifestazione che il suo governo fece vincere all’Italia nel 2008 a Parigi. L’ex-presidente del Consiglio continua a negare di voler aspirare al Colle. Lo sostiene ogni giorno anche la prodiana Sandra Zampa che ricorda la “bruciatura” dello scorso anno, con i 101 franchi tiratori del Partito Democratico che affossarono il professore bolognese, facendo mancare i voti al leader dell’Ulivo e preferendogli –  alla fine – Giorgio Napolitano.

Da quel che trapela dal Palazzo l’attuale inquilino del Quirinale dovrebbe farsi da parte nei prossimi mesi. Lo ha fatto capire nell’ultimo discorso di fine anno. C’è persino chi azzarda che la situazione possa precipitare non appena Matteo Renzi otterrà la fiducia da Camera e Senato, la prossima settimana. Del resto, Renzi lo ha ripetuto spesso in queste settimane a parlamentari e senatori: «Questo parlamento eleggerà il prossimo presidente della Repubblica». E la corsa verso il Quirinale vede ormai un numero ristretto di candidati. 

Si parla di Pietro Grasso, attuale presidente del Senato, di Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, di Emma Bonino, ministro degli Esteri uscente, ma il candidato naturale è lui: Romano Prodi. L’ex presidente della Commissione Europea è più che mai attivo nelle ultime settimane. E con lui si muovono i suoi uomini, da Arturo Parisi fino a Giovanni Maria Flick – di recente impegnato a sostenere l’incostituzionalità della Fini Giovanardi davanti alla Corte Costituzionale – senza dimenticare Sandro Gozi, tutti già papabili ministri per il nuovo governo Renzi.

Dall’inizio di febbraio l’ex presidente della commissione Europea ha prima chiesto a Enrico Letta uno scatto in avanti, poi ha tuonato contro possibili staffette, quindi ha spiegato di essere un semplice osservatore, di non dare giudizi: «Guardo dalla finestra già da un pezzo». 

 In realtà il telefono del professore in questi giorni è rovente. Sono in tanti a contattarlo per chiedergli consigli, informazioni sullo stato dell’economia, della politica italiana, fargli i complimenti per la Legion d’onore francese, persino indicazione sulla partita delle nomine pubbliche di primavera in Eni, Finmeccanica, Enel e Terna. Si mormora che proprio Renzi si sia sentito con il professore, chiedendo a lui consigli sul valzer delle 500 poltrone che sconvolgerà a breve l’apparato statale dell’Italia. E che un confidente d’eccezione di Prodi sia quel Marco Carrai, eminenza grigia del renzianesimo, sorta di gran ciambellano e consigliori, impegnato nella scelta dei prossimi manager pubblici insieme con Luca Lotti, capo organizzazione del Partito Democratico.

Indirettamente Carrai e Prodi sono pure “soci” in affari. Il fondo di private equity italo-cinese Mandarin Capital di Alberto Forchielli, longa manus in oriente del professore, possierde al 26% della società fiorentina Kontact srl, a suo volta controllante di Cki Srl dove Carrai è consigliere di amministrazione: dal 2010 a oggi il prodiano ha investito ben 25 milioni di euro. 

Non è una novità che Renzi e Prodi siano in perfetta sintonia. Il primo riconosce il secondo come suo padre politico. Il secondo riconosce al primo capacità politica e acume tattico. Nel 2007, quando celebrò il centenario degli scout, Romano lo disse chiaro e tondo:  I valori dello scoutismo «servirebbero anche alla politica […] hanno attraversato e migliorato tutto il ’900 […] sono ancora attuali»: oggi quei valori «ci devono aiutare a umanizzare la globalizzazione, per essere uniti in un modo più serio, più profondo, più di pace». Non è chiaro se Renzi rappresenti al meglio lo scoutismo, dopo la cannibalizzazione di Letta a palazzo Chigi. Di certo ora c’è uno scout come presidente del Consiglio. E non potrà che essere soddifatto. I prodiani però sono divisi. A Bologna si dice che sarebbe meglio che il professore prendesse le distanze dalle manovre renziane e del Pd. Per questo motivo in tanti invitato Prodi a fermare l’ascesa di Parisi e Flick al ministero. Il primo potrebbe tornare alla Difesa, mentre il secondo ambirebbe al ministero di Grazia e Giustizia, poltrona che aveva già occupato nel governo Prodi I, anno 1996.

A spuntarla potrebbe essere Sandro Gozi, giovane prodiano, con una forte esperienza comunitaria e di diplomazia estera, tale da permettergli di aspirare alla Farnesina. Eppure, se i suoi lo sconsigliano, Prodi continua a muoversi in continuazione. Il 24 febbraio, a Bologna, parteciperà all’incontro organizzato da Nomisma dal titolo «Come risvegliare l’Italia dal coma?». Insieme con lui Bill Emmott, ex direttore deThe Economist, autore diGirlfriend in a Coma, documentario del 2012 sull’Italia, malato terminale alle prese con l’untore Silvio Berlusconi. E proprio Il Cavaliere, in questi giorni più che mai defilato e quasi scocciato dalla situazione politica, potrebbe essere l’ago della bilancia nell’elezioni di Prodi al Quirinale. Sia perché Berlusconi, da sempre, ha aspirato a salire al Colle, sia per un odio personale tra i due che già ai tempi dell’elezione del 2013 aveva fatto tramontare la candidatura di Prodi al Quirinale.

Dopo la vittoria dell’Expo 2015 nel 2008, tra i due volarono gli stracci. La soddisfazione bipartisan, sindaco di Milano era la pidiellina Letizia Moratti, sfumò in fretta, per lasciare il campo ad una contesta su chi fosse il vero vincitore. L’Esposizione universale fu uno degli ultimi terreni di scontro per Romano Prodi e Silvio Berlusconi.

Il primo disse che l’evento era un successo dell’Italia e del governo. Il secondo commentò lapidario: «Non è merito del presidente del Consiglio».

L’altro lo accusò di “«rovinare un bel momento per il Paese» e gli intimò persino di «vergognarsi». Paolo Bonaiuti, all’epoca portavoce del leader di centrodestra chiuse così: «Si vergogni lui».

Il Cavaliere al momento non prende posizione, ma di certo un altro sgambetto al centrosinistra e al professore è fra le ipotesi nelle stanze di Arcore.