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VINCENZO CALCARA/ Il pentito che doveva uccidere Borsellino: “Cosa Nostra mi ha usato.”

Di Matteo Messina Denaro, il nuovo capo dei capi, dice che “lui si ricorda molto bene di me, perché quando era piccolo l’ho difeso in una rissa tra ragazzini”.  Di Massimo Ciancimino, il figlio di Don Vito, rivela che “è un doppiogiochista”. Vincenzo Calcara, il pentito che doveva uccidere Borsellino,  ne ha per tutti e in questa intervista parla a cuore aperto di quello che era e di ciò che è diventato. “Ho capito che Cosa Nostra prima ti usa e poi….”

Vincenzo calcara
Un giovane Vincenzo Calcara

Secondo Tucidide “i più coraggiosi sono coloro che hanno la visione più chiara di ciò che li aspetta, così della gioia come del pericolo, e tuttavia l’affrontano.”

Vincenzo Calcara ha vissuto gioie e dolori con la stessa consapevolezza e lucidità con cui rivela che “voglio tornare a Castelvetrano”, nella tana di Matteo Messina Denaro, “per dimostrare a me stesso e agli altri che della mafia non bisogna avere paura”.

Un pentito, che parla delle “cinque entità” e che torna lì dove tutto era cominciato. Senza scorta…

Si è messo in testa di girare l’Italia per svelare che “Cosa Nostra mi ha usato: i ragazzi devono capire che la mafia fa schifo e che il vero eroe è il Dott. Borsellino, che non era secondo a nessuno, nemmeno a Falcone”. E per far questo ha persino aperto un gruppo su Facebook, “Le mie verità“.

Vincenzo Calcara, il pentito che aveva ricevuto l’incarico “da Messina Denaro Francesco di uccidere Borsalino (così lo chiamavano) che sta facendo troppi danni e deve mangiare terra”, non ha fatto in tempo a rispettare la consegna del capomafia.

Lo hanno arrestato prima, ma ha capito che qualcosa lo univa a quel giudice magro, con i baffi, che fumava troppo e che ti guardava fisso negli occhi: la morte.

Sia Vincenzo Calcara che Paolo Borsellino, seppur per motivi diversi, dovevano morire.

Tu eri il killer di riferimento della cosca dei Messina Denaro.

Anche se sapevo sparare bene, io ero un uomo d’onore riservato, cioè all’interno della stessa famiglia mi conoscevano solo le persone più influenti .

Perché?

Quando si tratta di omicidi eccellenti o di sbrigare “faccende” importanti, non si prende il soldato qualsiasi ma quello “riservato”, che non è conosciuto all’interno della famiglia da altri uomini d’onore. Io rispondevo solo al mio capo, a Messina Denaro Francesco, a Tonino Vaccarino e a Michele Lucchese, gli uomini di maggior spessore all’interno di Cosa Nostra.

Hai mai ucciso?

Sono stato condannato a quindici anni, con sentenza definitiva, per l’omicidio di Francesco Tilotta. Ma io, a differenza di altre persone sempre pronte ad uccidere, non ero nel gruppo di fuoco.  Non c’è stata occasione di uccidere altre persone. Chi dovevo uccidere era il dott. Borsellino.

Ricordi le sensazioni di quell’omicidio?

Erano sensazioni di un ragazzo di venti anni, ma ovviamente non di piacere. Il leone uccide per fame, perché deve mangiare, la tigre uccide per il piacere di uccidere.

Immagino che un killer faccia una vita diversa – che so – dal postino…

Ero latitante in quel periodo.

E che facevi?

La bella vita. Con la paura di essere ucciso. Ma faccio fatica a parlare di certe cose.

Chi è Vincenzo Calcara?

Quello che sono adesso o quello che ero prima?

Partiamo da quello che eri prima.

Un paio di mesi prima del mio arresto (5 novembre 1991, ndr) mio fratello maggiore, che subiva moltissimo la mia personalità, mi accompagnò in un posto isolato, vicino alla strada che porta al mare di Selinunte, a Castelvetrano. Mio fratello non sapeva nulla di ciò che sarebbe accaduto e un chilometro prima di arrivare nel luogo indicato gli dissi di tornarsene a casa.

Cosa avevi in mente?

Volevo uccidere una persona che aveva compiuto un pesante tradimento, ma vengo bloccato dai carabinieri. Io scappo e loro mi sparano. Il primo colpo in aria, il secondo mi buca il giubbotto nero che indossavo. Riesco a fuggire e dopo una decina di giorni mi incontro con il mio capo e con Messina Denaro Francesco, il capo assoluto della famiglia di Castelvetrano.

E cosa succede?

Lì ho l’incarico di uccidere il Dott. Paolo Borsellino. Mi dissero: “Vincenzo, tieniti pronto perché questo Borsalino (così lo chiamavano) deve mangiare terra, sta facendo un sacco di danni, di lui non deve rimanere niente, neanche le sue idee. Deve sparire assolutamente.” Il Messina Denaro Francesco specificò: “Abbiamo organizzato due piani e per essere sicuri che non fallisce niente, il migliore lo mettiamo in atto. Se si tratta di ucciderlo con il fucile di precisione sarai tu a premere il grilletto, se si tratta di ucciderlo con l’autobomba, farai di copertura”.

Una sentenza…

Una sentenza, certo. E io aspetto ogni giorno che mi chiamano per eseguirla. Ma il 5 di Novembre del 1991 vengo arrestato dai carabinieri di Castelvetrano.

E come arrivi al pentimento?

In precedenza avevo avuto una relazione con una figlia di un uomo di onore, cosa che io non potevo assolutamente fare. Quelli sono sgarri che si pagano con la vita e io sentivo puzza di bruciato. Non avevo l’ergastolo, avevo solo 7 anni da scontare, però umanamente avevo un pò di paura per la mia incolumità. Sapevo come si uccide una persona in carcere: gli mettono delle medicine nel cibo, o lo impiccano facendo finta che sia un suicidio…

E, di solito, quando si è costretti a scegliere tra la vita e la morte…

Ho vissuto un lungo travaglio interiore, ho pensato a  tutto quello che era stata la mia vita , l’ho analizzata e alla fine ho capito che la sentenza di morte nei miei confronti era stata emessa e che nella mia vita io sono stato usato da questa forza del male, da Cosa Nostra. La cosa più bella a cui potevo pensare era il Dott. Borsellino, perché fra me e lui c’era una cosa in comune: la morte. Per entrambi. E allora mi sono detto che se dovevo morire io, che nella vita ho fatto del male, mi andava pure bene, ma quest’uomo – di cui i mafiosi avevano una paura tremenda – io dovevo cercare di salvarlo.

E così lo contatti…

Tutti devono sapere che il Dott. Borsellino non era secondo a nessuno. Lui voleva apparire un po’ inferiore nei confronti di Falcone, ma professionalmente era più preparato di Falcone, te lo posso assicurare. Nel 1991 io ho fatto una reale scelta di collaborazione ma lui all’inizio era abbastanza sospettoso, pesava ogni mia parola, non è facile fidarsi di un uomo d’onore. Gli spiegai che era condannato a morte e come volevano ucciderlo. Ho iniziato a parlargli della mia famiglia mafiosa, del mio capo, però le cose più pesanti, quelle più toste che riguardavano i colletti bianchi non gliele potevo dire. Gli ho detto: “È inutile che gliene parlo, perché si accelera la sua morte. E anche la mia.”

Ma se era condannato a morte, e tu lo sapevi, perché non parlavi?

E infatti gliene ho parlato. Ma queste cose contribuivano ad accelerarne la morte. Se qualcuno poteva blindarlo per evitare che lo uccidessero, parlando di certe cose quella blindatura non serviva a niente. Io gli facevo capire che Cosa Nostra non è solo Costa Nostra, che da sola non sarebbe sopravvissuta e che è viva solo grazie alle alleanze con massoneria, servizi deviati, Vaticano e ‘Ndrangheta. Le famose 5 entità…

Che gli hai detto dei colletti bianchi?

Subito dopo che Borsellino ha trovato le prove di tutto quello che dicevo, è subentrato tra noi due un sentimento di affetto. Lui ha visto la mia lealtà, perché ogni cosa che gli dicevo veniva riscontrata: indagava come si deve, aveva i canali riservati e scopriva cose per lui inimmaginabili, a cui quasi non credeva quando gliele raccontavo.

Quali erano queste cose inimmaginabili?

Queste entità rappresentano una potenza economica incredibile, possono condizionare – e in alcuni casi condizionano – il potere politico italiano, rappresentato anche da persone pulite. Si sono create delle situazioni tali che il potere politico non può fare a meno di questi poteri occulti. Le 5 entità sono autonome e nessuna può interferire nel campo dell’altra. Ci sono regole uguali a quelle di Cosa Nostra. C’è una commissione, una supercommissione, ci sono i triumvirati che Borsellino non conosceva. Gli ho spiegato il traffico internazionale di armi, il traffico internazionale di cocaina, i rapporti con le banche, con lo Ior e con Marcinkus. C’era un macello. Io gli dicevo come trovare le prove e lui le trovava.

Che rapporti avevano tra loro queste cinque entità?

Nessuna entità può fare a meno di un’altra, sono come parti di un unico corpo umano. Tutti hanno lo stesso interesse, che le tiene unite da anni e anni.  Se Cosa Nostra ha la commissione, loro hanno una super commissione, perché ogni entità al vertice ha un triumvirato, con un capo e due sottocapi. Ogni capo si incontra con i capi delle altre entità, che rispondono all’Idea.

Messa così, sembra che non ci siano speranze di salvezza…

Non bisogna temere la verità, ricordando sempre le parole del Dott. Borsellino: “Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola.” E io sono pronto anche a morire per amore della verità.

SCARICA IL MEMORIALE DI VINCENZO CALCARA

(Pubblicato per intero da Salvatore Borsellino su 19luglio1992.com)