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DON LUIGI CIOTTI/ “La memoria deve diventare impegno, non parole di circostanza.”

Sabato 17 marzo, domani, a Genova si terrà la diciassettesima edizione della “Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie”, promossa dall’associazione Libera. Una giornata intera dedicata alle oltre 900 vittime innocenti delle mafie. Abbiamo intervistato, in esclusiva, il Presidente dell’associazione antimafia, don Luigi Ciotti. Con lui abbiamo parlato di mafie al Nord, di Tav, di Expo. E, soprattutto, dell’importanza della memoria, ‘condicio sine qua non’ per un impegno responsabile, costruttivo, dinamico. Solo così si può garantire, come ci dice don Ciotti, “quel cambiamento culturale necessario a fare terra bruciata attorno alle mafie”.

di Carmine Gazzanni

Ci ha colpito lo slogan che accompagnerà la manifestazione: “Genova, porta d’Europa”. Perché?

Per dire che Genova – e con lei l’Italia – deve dimostrarsi degna della sua storia di realtà costiera, che accoglie nell’Europa benessere materiale, ma anche ricchezza sociale e culturale. Porta aperta all’incontro fra le genti e ai diritti di ogni persona, ma sbattuta forte in faccia alle mafie, alla corruzione e a tutte quelle forme d’illegalità che calpestano la libertà, la dignità e le speranze umane.

Pensiamo alla storia di molti migranti: donne e uomini disperati che vengono in Europa cercando dignità e futuro, e finiscono invece nella rete di trafficanti senza scrupoli, del caporalato, dello sfruttamento sessuale. Sono vittime di giochi criminali, certo, ma anche di tutte le ingiustizie sociali, le morali di comodo, le intolleranze e gli egoismi che quei giochi favoriscono. Cose che vorremmo lasciare fuori dall’Europa di domani.

 

Il cambiamento che propone Libera con tale manifestazione è anzitutto culturale. Non a caso la “Giornata è della Memoria e dell’Impegno”. Due parole strettamente legate. Come si traducono, nella prassi di Libera in vista di tale auspicabile cambiamento, tali parole?

Si chiama “Giornata della Memoria e dell’Impegno”, ma l’impegno viene prima della memoria: è la sua indispensabile premessa. Una memoria che si ferma alle parole di circostanza non è vera memoria: è una celebrazione sterile, indegna dell’esempio di chi è morto per la giustizia, del dolore dei suoi famigliari e delle speranze di tutti coloro che ancora vivono prigionieri dei ricatti e della violenza mafiosa. Per raggiungere le coscienze e stimolare appunto quel cambiamento culturale necessario a fare “terra bruciata” attorno alle mafie, la memoria deve diventare impegno. Deve diventare responsabilità: lo sforzo di tutti, e di ciascuno, nel fare fino in fondo la propria parte per promuovere la legalità e la democrazia.

Questo è il messaggio forte della “Giornata, che ogni anno raccoglie, col suo grande abbraccio intorno ai famigliari delle vittime, decine di migliaia di persone che tale impegno cercano di viverlo nel quotidiano: studenti, insegnanti, amministratori, rappresentanti del mondo dell’associazionismo, della cultura, dell’informazione, dell’economia, del sindacato e delle varie Chiese.

 

Per giunta, poi, le iniziative di Libera non si fermano qui …

Per quanto riguarda Libera, sono diverse le iniziative concrete che si alimentano in tutta Italia: dal lavoro sui beni confiscati ai percorsi educativi nelle scuole, dal sostegno alle vittime del racket alle occasioni pubbliche di formazione e informazione.

 

 

Intanto, però, la politica pare avere gli occhi chiusi. Nello speciale di ieri sulle infiltrazioni delle mafie al Nord, giustamente Biagio Simonetta ha ricordato quanto affermato dal pentito Rocco Varacalli: “la politica ha bisogno della ‘ndrangheta e la ‘ndrangheta ha bisogno della politica”. È una mafia “da salotto” quella del Nord, che tuttavia rivela anche la mala gestio delle amministrazioni pubbliche. Quanto sono connesse le due cose?

Bisogna stare attenti a non generalizzare. C’è una parte della politica che guarda con consapevolezza e preoccupazione al problema dell’illegalità diffusa, della corruzione e delle mafie, e ci sono amministrazioni, al nord come al sud, che lo affrontano con serietà, attivando strumenti di prevenzione e controllo. Poi certo ci sono realtà che invece tendono a minimizzare, quando non a colludere con la criminalità. È ovvio che le mafie sono più forti là dove la politica è più debole, una politica condizionabile e funzionale agli interessi privati prima che al bene pubblico. Ma questa politica è anche il segno di una povertà civile e culturale, di una rinuncia, da parte della maggioranza dei cittadini, a vigilare e a pretendere comportamenti diversi. In troppi hanno “depenalizzato” certi reati nella propria coscienza. E quando siamo pronti a chiudere un occhio sulle piccole o grandi scorrettezze private, inevitabilmente finiamo col tollerare quelle pubbliche.

 

 

Tav ed Expo. Due grossi progetti che fanno gola a diversi clan. Ci sono alcune operazioni – Minotauro ad esempio – che rivelano quanto detto. Secondo lei in che modo si può evitare infiltrazioni? Lo si sta facendo, al momento, nel giusto modo?

È un discorso complesso, e non sta a me “promuovere” o “bocciare” i singoli provvedimenti. Mi pare che dei segnali positivi ci siano: il sindaco di Milano, intervenuto a un convegno promosso da Libera sul tema delle mafie al nord, si è detto pronto a fare tutto il possibile per prevenire le infiltrazioni nei cantieri dell’Expo. E il 13 febbraio scorso è stato firmato un “protocollo di legalità” tra Prefettura di Milano ed Expo 2015 S.p.A., con lo scopo appunto di garantire la trasparenza di tutto il sistema di appalti.

 

Esatto. Anche se i dubbi di una garanzia certa rimangono, come ci ha confermato anche il consigliere regionale lombardo Gabriele Sola.

Non possiamo dire se basterà, ma è un primo passo. Per quanto riguarda la Tav, il Commissario straordinario del Governo Mario Virano ha a sua volta assicurato che c’è grande attenzione sul tema. In questo caso però il nodo è a monte, e non riguarda solo le infiltrazioni mafiose. Come ho già detto in diverse sedi, mi auguro che ci sia spazio per riallacciare un dialogo con la popolazione locale, e non imporre l’operazione dall’alto. Anche perché la vigilanza e la collaborazione dei singoli cittadini sono un elemento prezioso contro i tentativi di abuso delle mafie.

 

 

Torniamo al 17. Sabato sarà una giornata di sorrisi. Di gioia. Di ritrovo. Ma anche di riflessione. Una riflessione che oggi a volte manca e che rivela, spesso, una distonia tra politica e società civile: la prima spesso assente e sorda, la seconda attiva, dinamica, cosciente. In che modo questo divario (culturale prima ancora che politico) potrebbe essere colmato?

Ripeto, non mi piace generalizzare. Come Libera collaboriamo con tanti politici e amministratori onesti che, a rischio della sicurezza propria e dei propri cari, combattono una quotidiana battaglia contro la prepotenza mafiosa nei loro territori.

Allo stesso modo, c’è parte di una società che ama definirsi “civile”, ma non sempre è sufficientemente “responsabile”: cioè informata, combattiva, partecipe nella costruzione del bene comune. Il discrimine è quello dell’etica, privata prima ancora che pubblica. Se c’è una volontà di guardarsi dentro, di saldare le parole ai fatti, le speranze all’impegno concreto per realizzarle, il dialogo è possibile e costruttivo fra singoli cittadini e cittadini ed istituzioni. È possibile insomma realizzare insieme quel “noi” che è l’unico soggetto in grado affermare la legalità, la giustizia sociale, i diritti e la dignità di ogni persona.