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Dossier Marcegaglia, cosa si vuol nascondere?

Dalle intercettazioni si nota il timore di Rinaldo Arpisella di fronte alle minacce di dossieraggio. Perché il (vero) dossier Marcegaglia fa così paura?

di Carmine Gazzanni

Nei giorni scorsi due delle questioni che hanno tenuto banco sono state la perquisizione alla redazione de “Il Giornale” e le conseguenti indagini per violenza privata aperte dal pm Woodcock su Nicola Porro e Alessandro Sallusti, i quali, secondo l’accusa, avrebbero “minacciato” di aprire un dossier Marcegaglia, per “attaccare” il Presidente di Confindustria. Sappiamo bene com’è andata a finire: il quotidiano di famiglia Berlusconi annuncia “quattro pagine di dossier sulla Marcegaglia”, ma alla fine sono tutti articoli ripresi da altri quotidiani, quali “Il Fatto Quotidiano”, “La Repubblica”, “L’Espresso” e “L’Unità”. Insomma, alla fine questo dossier si rivela essere una bufala: una notizia annunciata e portata avanti soltanto per vendere qualche copia in più.

 

Tuttavia poniamoci alcune domande. Sentendo le intercettazioni, infatti, tra Porro e Rinaldo Arpisella (portavoce della Marcegaglia) è facile notare che la preoccupazione monta quando partono le intimidazioni, le minacce di dossieraggio. E allora vuoi vedere che qualcosina sotto davvero c’è?

E in effetti c’è più di qualcosina. Iniziamo da un’inchiesta nata nel 2004 e chiusa soltanto due anni fa, nel marzo del 2008, con il patteggiamento di Antonio Marcegaglia. Ma andiamo con ordine: i pm Francesco Greco ed Eugenio Fusco cominciano ad indagare su presunte tangenti, versate in più tranche (per un totale di circa 300 mila euro) da ABB Italia a Enipower. L’inchiesta era nata proprio in seguito ad una denuncia presentata dalla casa madre elvetica di ABB (azienda che produce impianti elettrici): il gruppo aveva infatti portato avanti indagini interne all’azienda riscontrando irregolarità finanziarie nel corso di un controllo in ABB Italia. E a cosa arrivano i pm?

Scoprono, appunto, che erano state pagate tangenti a Enipower e, partendo da queste prime tangenti (per le quali furono arrestati per associazione a delinquere e corruzione Luigi Cozzi e Mauro Cartei, due manager della ABB), Greco e Fusco fanno luce su un meccanismo molto più ampio, tant’è che i pm parlarono di un giro di denaro che “fa impallidire gli anni ’90”, di “una seconda tangentopoli”. In pratica, infatti, molte altre società oltre alla ABB (una ventina in totale) avevano pagato tangenti per milioni di Euro a dirigenti di Enipower (società del gruppo ENI), avendone in cambio appalti per la fornitura di servizi e macchinari per le centrali termoelettriche di Mantova, Brindisi, Ravenna e Ferrera Erbognone (Padova). Il meccanismo era semplice: si mettevano a disposizione conti correnti riferibili a queste società, i quali servivano, come affermato dall’accusa, “per riciclare i proventi delle attività corruttive nonché per tenere i contatti con i rappresentanti delle società corruttrici e definire i sistemi di pagamento”.

E la “Marcegaglia S.P.A” cosa c’entra? Tra le società che, secondo l’accusa, avevano versato “mazzette”, c’è anche l’azienda di Lady Confindustria. Come volevasi dimostrare: con il passare degli anni (ben 4), nel 2008 il fratello di Emma, Antonio, ha patteggiato undici anni di reclusione (con sospensione della pena di corruzione), ammettendo di aver versato nel 2003 una tangente molto corposa (1.158.000 euro) all’ex project manager di Enipower Lorenzo Marzocchi (anche lui implicato nella vicenda) per avere, in cambio, un appalto di fornitura di servizi e macchinari dal valore di 127 milioni di euro. Oltre al patteggiamento di Antonio Marcegaglia, anche quello dell’azienda che ha dovuto risarcire l’Enipower per circa 6 milioni di euro.

Ma non è finita qui.  Proprio da quest’inchiesta si è aperto un nuovo filone riguardante conti registrati all’estero, in Svizzera.  Sono ben diciassette, infatti, i conti correnti che sono stati congelati perché bisogna porli “in collegamento con le dichiarazioni rese da Marcegaglia Antonio”, come disse il Pubblico Ministero elvetico in una missiva inviata nel 2008 allo stesso pm che si era occupato delle tangenti Enipower, Francesco Greco. Ora, per competenza territoriale, le carte processuali sono in mano al pm di Mantova Antonino Condorelli. L’accusa, questa volta, è di falso in bilancio. Come detto, questo filone è partito dalla precedente inchiesta di cui abbiamo parlato: era stato lo stesso Antonio Marcegaglia, infatti, a parlare di quei conti come “risorse riservate che abbiamo sempre utilizzato nell’interesse del gruppo per le sue esigenze non documentabili” (verbale del 30 novembre 2004).

Non è un caso, infatti, che di quei diciassette conti correnti, quattro già erano stati scandagliati durante l’inchiesta che ha visto, alla fine, il rampollo di famiglia patteggiare. Ora, invece, la procura di Mantova vuole andare oltre vederci chiaro. In pratica, secondo l’accusa, il gruppo Marcegaglia, a cavallo tra gli anni Novanta e i primi anni del 2000, avrebbe comprato acciaio da alcune società di trading che riversavano i margini di guadagno su appositi conti, chiaramente cifrati. Il meccanismo era facile: continui passaggi tra società di trading in maniera tale che il guadagno lievitasse. Un esempio concreto per capire meglio: una società di trading – di “passaggio” – nell’acquisto di acciaio, la londinese Steel Trading, riversava le plusvalenze milionarie sul conto Q5812710 registrato presso la Banca Ubs di Lugano e intestato ad una società delle Bahamas (Lundberg Trading).

Beneficiario finale di questi continui passaggi, chiaramente, era Steno Marcegaglia, padre di Emma ed Antonio. In questo modo i soldi sono lievitati a dismisura: basti pensare che, quando ad agosto 2004, si sono interrotti i rapporti tra Steel Trading e Lundberg, il saldo era di 22 milioni (e stiamo parlando solo di due conti su 17), un importo che è stato subito trasferito a Singapore, prima, chiaramente, che arrivasse la magistratura.